Una scommessa impegnativa sul terreno
dei nuovi diritti
di Stefano Rodotà - 15.05.02
Discorso del presidente del Garante per la protezione dei dati personali
tenuto l'8 maggio 2001alla presentazione della Relazione per il 2001. La
relazione completa, in formato PDF (368 pagine!) può essere scaricata dal sito
del Garante.
Signor Presidente della Repubblica,
proprio l'8 maggio di cinque anni fa entrava in vigore la
legge sulla protezione dei dati personali, che il linguaggio corrente
avrebbe poi chiamato legge sulla privacy. Una novità importante per la
legislazione (qualcuno ha parlato di "rivoluzione"); una scommessa
impegnativa sul terreno dei nuovi diritti; una incognita per i suoi
effetti nella società.
Un lustro, nella vita delle persone come in quella delle
istituzioni, assume sempre un valore simbolico. Non voglio abusare di
questo riferimento temporale. Ma ogni ricorrenza significativa si presenta
pure come uno spartiacque, obbligando così a riflettere sul passato e,
soprattutto, a lanciare uno sguardo sul futuro. Se oggi tracciamo un
bilancio, non è per compiacerci di quel che è stato realizzato (che pure
non è poco). Lo facciamo perché solo in questo modo si può misurare quale
sia divenuto il senso sociale, prima ancora che istituzionale, della
tutela dei dati personali, e definire meglio i compiti che ci attendono,
che affronteremo con il forte spirito collegiale che sempre di più
accompagna il nostro lavoro.
Le attese sociali sono cresciute, le domande a noi
rivolte si sono fatte più esigenti. Il legislatore ha fatto crescere i
nostri poteri e le nostre responsabilità. La frontiera, lungo la quale
dobbiamo muoverci, si fa sempre più lunga.
Il controllo delle informazioni su di noi
cittadini
Nella percezione sociale e nel sistema istituzionale, il
Garante di oggi non è più quello di cinque anni fa.
Non lo è soprattutto perché si è definitivamente radicata
in Italia, come nel resto del mondo, una idea di privacy che la proietta
ben oltre una visione della tutela della sfera privata limitata alla
possibilità di allontanare da sé gli sguardi indesiderati, come
possibilità estrema di isolamento individuale. Il diritto ad essere
lasciato solo non scompare. Ma, immersi come siamo in un flusso di
informazioni personali che noi stessi continuamente rilasciamo in cambio
di merci e servizi, sappiamo da tempo che il punto essenziale diviene
sempre di più la possibilità di non perdere il controllo di queste
informazioni, sparse in una molteplicità crescente di banche dati, che
circolano senza più vincoli di tempo e di luogo. È un controllo necessario
proprio per evitare che i molti benefici della società dell'informazione,
le opportunità di partecipazione sociale che essa offre, vengano
sopraffatti da interessi particolari, o vanificati da usi impropri o
mancati aggiornamenti delle grandi banche dati.
Queste non sono enunciazioni astratte d'un particolare
modo d'intendere la privacy. Sono, invece, la registrazione delle decine
di migliaia di richieste a noi rivolte dai cittadini. In esse si
riflettono i timori della discriminazione e della stigmatizzazione
sociale, il rifiuto delle sopraffazioni burocratiche e del mercato
selvaggio delle informazioni personali, le preoccupazioni per la riduzione
degli spazi sociali determinata da forme di sorveglianza capillare,
l'attenzione per la salute, le difficoltà di accesso al credito o alle
assicurazioni, il nuovo organizzarsi del mondo del lavoro. Registriamo un
bisogno di rispetto e una richiesta di libertà esistenziale e di libertà
nella sfera pubblica. In occasione dell'ultimo censimento, l'Istat ha
ricevuto dai cittadini ottocentomila telefonate: di queste, più di
duecentomila riguardavano problemi di privacy, indice d'un mutamento
qualitativo radicale, visto che nulla di paragonabile era avvenuto nei
censimenti precedenti.
Le pratiche sociali, dunque, hanno dato concretezza alle
enunciazioni dell'articolo 1 della legge n. 675 del 1996, dove si parla di
rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, del principio di
dignità. Questo chiedono i cittadini, protagonisti d'un mutamento
culturale che ancora molti commentatori non avvertono nella sua pienezza,
insensibili anche di fronte al fatto che il termine privacy, ignoto ai più
cinque anni fa, sia oggi d'uso comune. I mutamenti del linguaggio
rispecchiano spesso, più di altri indici, i cambiamenti della società e
della cultura.
Dall'habeas corpus all'habeas data
I cittadini mostrano di preoccuparsi assai del loro
"corpo elettronico", di una esistenza sempre più affidata alla dimensione
astratta del trattamento elettronico delle loro informazioni. Le persone
sono ormai conosciute da soggetti pubblici e privati quasi esclusivamente
attraverso i dati che le riguardano, e che fanno di esse una entità
disincarnata. Con enfasi riduzionista, per molti versi pericolosa, si dice
che "noi siamo le nostre informazioni". La nostra identità viene così
affidata al modo in cui queste informazioni vengono trattate, collegate,
fatte circolare.
Proprio da qui nascono le nuove esigenze di tutela. Si
invoca da tempo un habeas data, indispensabile sviluppo di quell'habeas
corpus dal quale si è storicamente sviluppata la libertà personale. Questa
è la prospettiva nella quale si colloca oggi la privacy, confermando quel
che da anni diciamo e pratichiamo: la tutela dei dati è un diritto
fondamentale della persona, una componente essenziale della nuova
cittadinanza. Così ci siamo mossi anche prima che l'articolo 8 della Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea attribuisse autonoma
rilevanza alla tutela dei dati personali. Stiamo interpretando la legge
appunto come un habeas data, non solo per respingere invasioni illegittime
o indesiderate, ma anche per evitare di essere "costruiti" dagli
altri.
Parlavamo l'anno scorso di una "costituzionalizzazione"
della persona, e l'espressione parve a qualcuno eccessiva, quasi una
forzatura. Poiché, invece, essa comincia ad entrare nell'uso, con echi
significativi anche nei lavori di importanti studiosi stranieri, oggi ci
si può spingere oltre e sottolineare che un processo "costituente" è in
corso, che associa sempre più strettamente tutela complessiva della
persona e protezione dei suoi dati, come garanzia nei confronti di ogni
potere, pubblico o privato che sia.
L'11 settembre, una sfida anche alla
privacy
Questa idea ricca di privacy è stata sfidata dagli
avvenimenti drammatici dell'11 settembre. Può la privacy sopravvivere
nell'età del terrore? E questa domanda è stata accompagnata dal rinascere
di altri interrogativi, volti a presentare la privacy come un intralcio
per il mercato, un limite alla libertà d'informazione, un costo
burocratico, un impaccio per la ricerca, un fattore di rigidità, un
ostacolo alla trasparenza delle relazioni sociali.
I Garanti europei hanno affrontato la questione in un
parere del dicembre dell'anno scorso, dedicato proprio alla questione più
scottante - il rapporto tra privacy e sicurezza. Ne cito le parole finali:
"I provvedimenti contro il terrorismo non devono compromettere gli
standard per la protezione dei diritti fondamentali che caratterizzano le
società democratiche. Un elemento fondamentale della lotta al terrorismo è
costituito dall'impegno per la salvaguardia di quei valori fondamentali
che costituiscono la base di ogni società democratica, ossia proprio i
valori che quelli che praticano l'uso della violenza tentano di
distruggere".
La protezione dei dati personali va collocata in questo
orizzonte. Incarnando esigenze profonde di tutela della persona, la
privacy dev'essere sì bilanciata con altri valori, ma non può essere
cancellata o mortificata, pena l'impoverimento stesso della democrazia.
Quest'opera di attento bilanciamento degli interessi è concretamente
possibile, e lo dimostrano i nostri interventi in materie delicatissime,
come l'uso di tecniche di videosorveglianza in aree particolarmente a
rischio.
Peraltro, proprio la sicurezza individuale e collettiva
esige in molti casi maggiore, e non minore, tutela dei dati personali. La
riservatezza delle liste dei passeggeri delle linee aeree, ad esempio, è
essenziale per evitare che un determinato volo venga scelto come bersaglio
perché su di esso viaggia una determinata persona o un gruppo di fedeli di
una determinata religione, identificabili attraverso le abitudini
alimentari rivelate dalla richiesta di un pasto speciale a bordo. La
sempre maggiore facilità tecnologica nella creazione di grandi banche dati
- qualora non venga riservata a necessità particolarmente rilevanti e non
sia accompagnata da forti garanzie per i cittadini e da rigide misure di
sicurezza - porta con sé anche il rischio di violazioni che metterebbero a
disposizione di criminali informazioni importanti. La circolazione
transnazionale dei dati personali dev'essere accompagnata da garanzie
idonee ad evitare la nascita di "paradisi dei dati", che possono avere
effetti perniciosi non minori di quelli dei "paradisi fiscali",
drammaticamente rivelati proprio dai fatti di terrorismo.
Bastano questi esempi per sfatare il luogo comune che
addita nella riduzione della protezione dei dati personali la via per
soddisfare altre esigenze socialmente rilevanti. Ma essi ci dicono
qualcosa di più. Siamo in presenza di situazioni nelle quali non opera la
tradizionale tecnica di bilanciamento tra valori diversi, con parziale
sacrificio dell'uno o dell'altro. Assistiamo piuttosto a quella che già
chiamammo un'"alleanza virtuosa", grazie alla quale è proprio il pieno
rispetto della privacy a rappresentare la condizione per il raggiungimento
di altre importanti finalità.
L'informazione come diritto e come
responsabilità
Dove, invece, il bilanciamento tra valori diversi assume
specifica rilevanza, è nella delicatissima materia del diritto
d'informazione, seguita con impegno in particolare da Mauro Paissan. La
nostra bussola è sempre stata, e non poteva essere diversamente,
l'articolo 21 della Costituzione, che definisce il bene dell'informazione
come un diritto del cittadino prima ancora che come una prerogativa dei
giornalisti. Ma l'esercizio concreto dell'attività d'informazione è
collocato in un contesto istituzionale che mette in evidenza la necessità
di rispettare la dignità e gli altri diritti fondamentali di ogni
cittadino.
L'entrata in vigore della legge sulla privacy ha avuto
due effetti. Uno ha riguardato la crescita tra i giornalisti di una
cultura del rispetto, visibile ad esempio nella cura con cui vengono
oscurate le immagini di taluni soggetti, nel ricorso a nomi di fantasia o
alle sole iniziali per rendere non identificabili alcune persone. L'altro,
nelle apparenze paradossale, è stato quello di rendere possibile ai
giornalisti l'utilizzazione e la diffusione di notizie che, soprattutto
nelle materie economiche, erano prima considerate inaccessibili. Allo
stesso tempo più privacy, nelle zone dove dignità e intimità prevalgono; e
più trasparenza, dove si manifestano legittime esigenze di controllo
sociale.
Ma negli ultimi tempi, per pubblica ammissione anche di
responsabili delle organizzazioni dei giornalisti, vi è stata una caduta
di tensione. Più d'una volta, si è insistito su dettagli intimi,
irrilevanti come notizie, ma fortemente lesivi della dignità degli
interessati; persone minori sono state illegittimamente esposte
all'attenzione del pubblico, com'è accaduto in particolare per il delitto
di Cogne. Si sono moltiplicate le notizie che rendevano possibile
l'identificazione dei protagonisti di fatti di cronaca, senza che la
conoscenza di tale identità avesse alcuna rilevanza informativa,
determinando sempre gravi lesioni della dignità. Mi riferisco, in
particolare, al caso della donna siciliana affetta dalla variante umana
della malattia di Creutzfeldt-Jakob e a quello di alcune studentesse
coinvolte in una deplorevole vicenda universitaria: il nostro intervento è
stato particolarmente deciso, ricorrendo anche, per la prima volta, al
divieto di proseguire la diffusione dei dati personali.
Nessuna limitazione del diritto di cronaca, nessuna
censura. Il Garante non ha mai ceduto alla tentazione di farsi custode di
una particolare etica o del semplice buon gusto, anche quando a ciò lo
sollecitavano un'opinione pubblica preoccupata e persino autorevoli
giornalisti. Ma è dovere nostro ricordare che, al di là della stessa legge
sulla privacy, esistono norme di legge e regole deontologiche, liberamente
adottate dai giornalisti, che impongono un particolare rispetto per taluni
soggetti, in primo luogo i minori, gli ammalati, le vittime di violenze
sessuali. Per tutti - anche per le figure pubbliche, anche per i
protagonisti della cronaca - esiste comunque un irriducibile nucleo di
intimità, che coincide con il rispetto della dignità al quale ognuno di
noi, per volontà costituzionale e per irrinunciabili ragioni di civiltà,
ha diritto. Così ci si orienta in tutta l'Europa, come dimostrano
decisioni recentissime, e una evoluzione in questo senso è sollecitata
negli Stati Uniti proprio dalla cultura più attenta alla dimensione
globale dei diritti.
Sappiamo di muoverci su un terreno difficile, e ben
vengano le critiche ad accompagnarci in questo arduo lavoro. Registriamo
un consenso crescente tra i giornalisti, e sempre più spesso sono proprio
loro a sollecitare il nostro intervento. Ci conforta l'attenzione per i
nostri ultimi provvedimenti in questo campo da parte del Presidente della
Repubblica, al quale manifestiamo la nostra gratitudine.
500 miliardi di dati telefonici conservati,
un'anomalia italiana
Ma nella materia dell'informazione, come nell'intera
questione dei dati personali, l'incessante innovazione tecnologica
determina mutamenti qualitativi, ai quali dedica attenzione continua in
particolare il Vice Presidente, Giuseppe Santaniello. Qui l'intero
impianto della protezione dei dati è messo alla prova, qui si gioca la
partita più impegnativa per i destini individuali e collettivi.
Affidiamoci all'eloquenza dei dati quantitativi, partendo
dal settore della telefonia e dai dati aggregati relativi all'attività dei
cinque maggiori operatori, che ringraziamo per questa collaborazione. Nel
2001 i dati riguardanti il solo traffico telefonico vocale in uscita,
fisso e mobile, e gli Sms si attestano sopra i 70 miliardi, senza
considerare i dati riguardanti gli altri circa 250 operatori del settore.
Poiché le norme vigenti prevedono che questi dati debbano essere
conservati per cinque anni, si deve concludere che siamo prossimi ad una
raccolta che arriva a 350 miliardi. Una stima che, guardando all'immediato
futuro, è sicuramente approssimata per difetto, perché non prende in
considerazione il fatto che la dinamica quantitativa del settore prevede
ritmi intensissimi di crescita e che qualche gestore, in base ad improprie
interpretazioni di magistrati, è indotto a conservare i dati per dieci
anni. Non è azzardato, allora, dire che ci si avvia verso una soglia di
500 miliardi di informazioni personali conservate, considerando le sole
chiamate in uscita.
Questa situazione italiana è del tutto anomala. In nessun
paese il termine legale di conservazione supera l'anno, e quindi non
esistono banche dati sul traffico telefonico paragonabili a quelle
italiane. Negli Stati Uniti lo stesso rigidissimo Patriot Act, approvato
dopo l'11 settembre, non ha introdotto alcun obbligo specifico di
conservazione dei dati. Solo in Italia, quindi, è possibile ricostruire
analiticamente, e per un notevole arco di tempo, l'intera rete delle
relazioni, delle preferenze e degli spostamenti di ogni cittadino
attraverso i dati del suo traffico telefonico. Una situazione
preoccupante, che avevamo più volte denunciato, e che risulta ora
clamorosamente confermata dai dati appena ricordati.
È vero che l'integrale conservazione dei dati di traffico
può essere di ausilio per scoprire, anche a distanza di molto tempo, i
responsabili di atti criminali. Ma questo argomento, che portato alle sue
estreme conseguenze imporrebbe di non cancellare mai alcun dato,
dev'essere considerato alla luce delle già ricordate esigenze di
bilanciamento tra esigenze diverse. Bisogna effettuare sempre una
valutazione di proporzionalità sociale, una analisi dei costi e dei
benefici. Può la sola eventualità di avere un indizio in più per scoprire
un criminale a distanza di molti anni giustificare la permanente
esposizione di tutti i cittadini al rischio di una impropria utilizzazione
dei loro dati personali? Si può fare un uso di massa delle tecnologie del
trattamento dei dati trasformando tutti i cittadini in potenziali
sospetti?
Il livello delle garanzie nelle
telecomunicazioni
Non spetta al Garante fissare i termini di conservazione
dei dati di traffico. Ma è nostro dovere segnalare al Governo, al
Parlamento e all'opinione pubblica gli ineludibili problemi posti dalle
nuove dimensioni del ricorso alla telefonia e dalle tecnologie che
l'accompagnano, destinati a divenire più acuti nei prossimi anni per le
molte novità che trasformeranno ulteriormente questo settore. Aggiungiamo
che il problema della conservazione dei dati e della loro accessibilità si
fa particolarmente acuto per gli interventi in rete, nei newsgroup e
chat line, che possono contenere anche dati sensibili, quali quelli sulla
salute, l'orientamento sessuale, le opinioni politiche, il credo religioso
dei partecipanti.
Le caratteristiche proprie delle telecomunicazioni,
dunque, esigono sempre un elevato livello di garanzie, come chiedono con
insistenza moltissimi utenti e come fanno con benemerite iniziative le
associazioni dei consumatori. Abbiamo, quindi, ribadito la centralità del
consenso degli interessati in materie nevralgiche come quelle
dell'attivazione di nuovi servizi, dell'invio di comunicazioni politiche o
pubblicitarie, della creazione dei nuovi elenchi della telefonia fissa e
mobile (per i quali è in atto una proficua collaborazione con l'Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni). Per quanto riguarda l'accesso ai
dati raccolti, è stata approfondita la distinzione tra dati in uscita
(generati dallo stesso interessato) e dati in entrata (generati da terzi)
che, qualora accessibili senza limiti, potrebbero determinare indebite
interferenze nell'altrui sfera privata.
Si deve aggiungere che gli impieghi sempre più larghi
degli Sms ne fanno uno strumento importante anche per la comunicazione
pubblica. Riteniamo, tuttavia, che l'invasività di tale forma di
comunicazione e la possibilità di abusi delle motivazioni d'interesse
generale possano consentire l'invio di Sms ai cittadini da parte di
soggetti pubblici soltanto in situazioni eccezionali o di emergenza.
Peraltro, affrontando forme più tradizionali di comunicazione pubblica
(come l'invio di lettere ai cittadini da parte dei sindaci), abbiamo messo
in evidenza come la disciplina attuale richieda un adeguamento, non solo
per le novità tecnologiche, ma per quelle istituzionali, legate
soprattutto alla forte personalizzazione di molti ruoli pubblici. Un
intervento normativo è necessario anche per garantire meglio gli utenti
rispetto all'invio di Sms anonimi.
Un vasto monitoraggio dei siti web
I problemi dell'informazione e del consenso, del
controllo sulle utilizzazioni dei dati raccolti, diventano particolarmente
rilevanti quando si entra nella dimensione della rete. Abbiamo svolto
un'indagine sui siti web operanti in Italia che, per dimensioni, non ha
precedenti in altri Paesi, e che ha avuto come obiettivo la verifica delle
loro effettive politiche di privacy. L'attività generale di monitoraggio,
che ha riguardato circa 650.000 siti, è stata basata fondamentalmente su
una raccolta automatica di dati e sulla loro successiva valutazione
statistica con strumenti software. L'indagine è stata approfondita grazie
ad una analisi su cento siti tra quelli più visitati, con esame
approfondito del sito e compilazione di una dettagliata scheda statistica.
I risultati di questa indagine, che saranno resi noti in
dettaglio nelle prossime settimane, mettono in evidenza notevoli e diffuse
inadempienze rispetto alle norme sulla protezione sui dati personali. Le
informative sono spesso incomplete; la richiesta di consenso è
generalmente omnibus; l'indicazione dei responsabili è carente; vi è
spesso discordanza tra le conseguenze dichiarate dal gestore e quanto
accade effettivamente nel caso di mancata prestazione del consenso da
parte dell'utente; i diritti di quest'ultimo spesso non sono elencati, e
ci si limita a un rinvio all'art. 13 della legge. Al tempo stesso, viene
svolta una intensa attività di profilazione di massa dell'utenza web, in
forme che sono state più volte criticate in sede europea.
Una inedita questione democratica
L'analisi dei servizi di telefonia e delle utilizzazioni
delle reti, dunque, conferma con evidenza sempre maggiore che non ci
troviamo soltanto di fronte a mezzi di comunicazione, ma a potenti
strumenti di controllo sociale. Il tema della sorveglianza, sul quale
insistiamo fin dall'inizio del nostro lavoro, assume così importanza
essenziale, poiché risulta ormai evidentissimo che il futuro delle nostre
organizzazioni sociali sarà fortemente condizionato, da una parte, dal
modo in cui verranno impiegate le diverse e sempre più sofisticate
tecnologie di controllo e, dall'altra, dalla qualità dei dati raccolti,
tra i quali spiccano per delicatezza quelli genetici e, più in generale,
quelli biometrici.
Vengono continuamente ridisegnati, infatti, i rapporti
dei cittadini con le istituzioni pubbliche e con il sistema delle imprese,
che si appropriano di spazi prima riservati all'autonomia dei privati. In
questo modo, però, non viene messa in gioco soltanto la dimensione
individuale. È pure il nostro modo di vivere in pubblico ad essere
influenzato, cambia il modo in cui percepiamo e viviamo la nostra stessa
libertà. È troppo dire che si è ovunque aperta una nuova, e inedita,
questione democratica?
Abbiamo letto titoli giornalistici che, nella loro forse
inconsapevole sommarietà, richiamano alla memoria gli slogan immaginati da
George Orwell. "Più controllo, più libertà" riecheggia sinistramente uno
dei tre slogan del Partito che compaiono in apertura di 1984: "la libertà
è schiavitù".
Le intemperanze del linguaggio riflettono una cultura
sbrigativa, dalla quale il Garante non si è mai lasciato suggestionare. Al
tema dei sistemi di controllo non abbiamo dedicato generiche denunce.
Siamo intervenuti più volte costruendo un sistema di regole che,
puntualmente basato su norme e principi della legge n. 675 del 1996,
costituisce attualmente l'unica disciplina in materia, partendo dalla
videosorveglianza, alla quale fin dal novembre 2000 abbiamo dedicato un
analitico "decalogo". Nel corso dell'ultimo anno, su richiesta delle
banche, abbiamo regolato le modalità di raccolta delle impronte digitali
all'ingresso dei locali, fissando alcuni criteri di carattere generale:
eccezionalità delle situazioni (il passaggio dalla lira all'euro);
predisposizione di misure alternative per chi rifiuta il prelievo delle
impronte; raccolta dei dati in forma criptata; temporaneità della loro
conservazione (una settimana); accessibilità solo da parte di polizia e
magistratura; rispetto del principio di proporzionalità, valutando
l'adeguatezza dei mezzi rispetto alle finalità da realizzare.
Le nuove frontiere della biometria e dei dati
genetici
Questi criteri generali debbono essere sempre tenuti
presenti in un momento in cui, invocando anche in maniera estremamente
generica ragioni di sicurezza, si propone di diffondere sistemi di
controllo basati sui più diversi dati biometrici - dall'iride al
riconoscimento facciale, fino ai dati genetici. Per valutare questa nuova
dimensione del trattamento dei dati personali, è indispensabile
considerare anzitutto le particolarità dei dati biometrici, che
"catturano" la personalità di ciascuno anche in forme che esigono un
rigoroso rispetto del criterio di proporzionalità e del principio di
dignità, riferimento per noi sempre obbligato, al quale dedicheremo presto
un incontro internazionale di studio.
Siamo peraltro di fronte a tecnologie che richiedono
analisi attente sia delle modalità di utilizzazione, sia
dell'affidabilità. Per le tecniche di riconoscimento facciale, ad esempio,
molte indagini hanno messo in evidenza come muti la loro affidabilità con
il variare dei contesti, delle modalità di ripresa e d'illuminazione. Sì
che, riscontrando un numero rilevante di falsi positivi e negativi, questi
sistemi sono stati abbandonati in aree in cui già era stata avviata la
loro utilizzazione. Inoltre, una cosa è il ricorso alle tecniche
biometriche quando si tratta di verificare, ad esempio, l'identità di chi
accede ad un'area protetta; altro sarebbe la loro adozione per finalità di
identificazione di massa. Una cosa sarebbe utilizzare anche su larga scala
dati biometrici senza che ciò comporti la parallela costituzione di banche
dati (come si sta proponendo di fare in Francia); altro sarebbe passare a
raccolte che consentano improprie forme di classificazione delle persone
in base a loro particolari caratteristiche, o permettano controlli
eccedenti la specifica finalità dell'identificazione.
Né si possono ignorare i problemi legati al "furto
d'identità", particolarmente sentiti negli Stati Uniti, ma tutt'altro che
ignoti in Europa. Ora, se questo tipo di furto si concreta, come nella
maggior parte dei casi, nell'utilizzazione abusiva di una carta di credito
o di uno dei tanti codici d'identificazione personale, le conseguenze
possono essere assai sgradevoli, le dimensioni del fenomeno possono avere
contraccolpi negativi sulla diffusione del commercio elettronico, ma
esiste tuttavia rimedio, che consiste nel cambiare il numero della carta
di credito o il codice d'identificazione. Non è così, invece, quando ci si
appropria di un dato identificativo personale permanente e non
modificabile, qual è ad esempio l'impronta digitale. In questo caso, il
"furto" produrrebbe effetti pesantemente negativi per l'interessato, che
verrebbe escluso da tutti i circuiti che condizionano l'accesso a quel
particolare sistema di identificazione. Vi sono dunque ragioni assai
concrete che impongono di valutare con estremo rigore la legittimità
dell'utilizzazione dei dati biometrici e, in ogni caso, di prevedere per
le loro raccolte severe misure di sicurezza.
Tutti questi problemi diventano più acuti quando si
considerano i dati genetici. Una loro tutela specifica è comparsa per la
prima volta nel 1997 proprio in una autorizzazione del Garante, e da
allora abbiamo dedicato a questo tema una attenzione continua,
accompagnando la riflessione scientifica, anticipando legittime
preoccupazioni dell'opinione pubblica, definendo i nuovi diritti delle
persone interessate. Qui il tema dei diritti si colloca in una dimensione
particolarmente impegnativa, poiché è lo stesso principio d'eguaglianza ad
essere sfidato da utilizzazioni di questi dati che possono determinare
gravi discriminazioni, fino alla nascita di un "sottoproletariato
genetico", come abbiamo sottolineato anche in un recente convegno
internazionale organizzato insieme con il Consiglio nazionale delle
ricerche.
Ma, quando i dati genetici sono raccolti per finalità di
identificazione, nascono ulteriori e gravi problemi, poiché quei dati non
consentono soltanto una più accurata identificazione di un determinato
soggetto, ma contengono molte altre informazioni non solo sulle condizioni
personali sue, attuali e future, ma anche sugli altri appartenenti al suo
stesso gruppo biologico. Vi è, dunque, una pericolosa eccedenza
informativa che impone di considerare con particolare rigore
l'utilizzazione dei dati genetici, in un contesto peraltro segnato anche
dalla legge 28 marzo 2001, n. 145, che ha ratificato la Convenzione
europea sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, assai restrittiva nel
fissare le condizioni per il legittimo ricorso ai test genetici.
Il Parlamento non può rimanere
assente
Queste diverse indicazioni ci mostrano come la protezione
dei dati costituisca ormai anche un luogo dove informatica e genetica -
discipline simbolo di questo nostro tempo - s'incontrano e fanno nascere
problemi inediti. A questi dobbiamo rispondere, con un impegno di nuova
cultura che ci sembra essenziale nella fase che si è aperta, nella quale
accentueremo la collaborazione con istituzioni e studiosi di altre
materie, consapevoli come siamo che si tratta d'una impresa che non può
essere condotta in sterile solitudine e che richiede anche nostri
strumenti adeguati, quali la ricca biblioteca di prossima apertura e la
sala per convegni appena inaugurata.
Ma dobbiamo porre una questione più radicale, perché ci
muoviamo sul terreno dei diritti fondamentali, e del loro destino. Può il
Parlamento rimanere assente di fronte a mutamenti quantitativi e
qualitativi delle raccolte di informazioni personali quali sono quelle,
non a caso richiamate, dei dati biometrici o del traffico telefonico?
Pensiamo che debba discuterne prima che superficiali infatuazioni
tecnologiche e pressioni commerciali chiudano la società in una
insidiosissima "gabbia d'acciaio", e determinino improprie spinte verso la
generalizzazione di sistemi di controllo che, trasformando tutti i
cittadini in sospetti, genererebbero diffidenze reciproche che potrebbero
determinare conflitti, e dunque nuove insicurezze. I cittadini cominciano
ad avvertirlo, come dimostra il fatto che l'introduzione di sistemi di
videosorveglianza suscita ormai diffuse proteste e continue richieste di
nostri interventi. Un grande antropologo, Marvin Harris, ci ha ricordato
che "il momento decisivo per una scelta consapevole si ha soltanto durante
la fase di transizione da un modo di produzione all'altro. Dopo che una
società ha scelto una particolare strategia tecnologica ed ecologica per
risolvere il problema dell'efficienza declinante, può essere impossibile
modificare le conseguenze di una scelta poco intelligente per un lungo
periodo futuro".
La privacy come grande questione
economica
In questa prospettiva, assume un forte rilievo la
dimensione economica della privacy, alla quale Gaetano Rasi in particolare
sta dedicando una continua cura. In un recente incontro che una
delegazione dei Garanti europei ha avuto a Washington con i responsabili
del Dipartimento del commercio, il sottosegretario Grant Aldonas ha
parlato della circolazione internazionale dei dati personali come della
"più grande questione economica con cui oggi si ha a che fare nel mondo".
È ovvio che sia così. Nella società dell'informazione i dati personali
sono divenuti una essenziale materia prima, determinando problemi che
esigono analisi capaci di cogliere la molteplicità degli interessi in
gioco.
Confermando un'indicazione della relazione dell'anno
scorso, possiamo dire che è si è rafforzata la tendenza a non configurare
mercato e privacy come due entità necessariamente in conflitto. Certo,
molte resistenze permangono. Ma le alleanze virtuose possono estendersi,
soprattutto perché il bisogno di riservatezza e sicurezza dei dati
continua ad emergere come preoccupazione primaria dei consumatori, sì che
al soddisfacimento di tale bisogno si lega lo sviluppo del commercio
elettronico. Molte imprese, soprattutto di grandi dimensioni, sviluppano
politiche di privacy particolarmente impegnative, presentano la protezione
dei dati personali come un valore aggiunto offerto ai loro clienti, e
dunque anche come un elemento concorrenziale, che le rende più competitive
nel mercato. Una ulteriore conferma è venuta dalla conferenza su
"Computers, freedom and privacy", svoltasi in aprile a San Francisco ed
alla quale abbiamo partecipato. Dire che, nella dimensione economica, la
privacy sta passando "da costo a risorsa", non è uno slogan. È il tema,
impegnativo, di un convegno internazionale che dedicheremo entro l'anno a
questo problema essenziale.
Numerosi, comunque, sono stati i nostri interventi nella
materia dei rapporti economici, per assicurare il rispetto della legge in
settori delicati come quelli delle banche e delle assicurazioni, delle
centrali rischi e del direct marketing. Ci impegna il rapporto tra
lavoratori e imprese, in particolare per quanto riguarda l'accesso alle
valutazioni dei dipendenti e il controllo sugli usi nei luoghi di lavoro
della posta elettronica e di Internet: alla nostra discussione interna
accompagneremo una consultazione pubblica.
I nuovi delicati compiti del Garante
Individuando questi problemi, indicando priorità ed
enunciando le linee di futuri interventi, continuiamo a chiederci se
disponiamo di tutti i mezzi necessari per adempiere a compiti così
impegnativi, soprattutto dopo che il decreto legislativo n. 467 del 28
dicembre 2001 ha ampliato poteri e responsabilità del Garante.
Questo decreto ha proseguito la linea di semplificazione
che, sulla base dell'esperienza via via maturata, il Garante ha fin
dall'inizio praticato. I privati sono stati liberati da inutili
appesantimenti burocratici, sono state eliminate improprie sanzioni
penali. Al tempo stesso, però, sono state introdotte misure capaci di
scoraggiare l'aggiramento di essenziali norme della legge, ed è stato
chiarito che essa si applica a chiunque impieghi, per il trattamento dei
dati, mezzi situati sul nostro territorio.
Al Garante spettano ora l'individuazione delle garanzie
riguardanti i cosiddetti dati "semisensibili", la promozione dei codici di
comportamento in materie di rilevanza grandissima, come Internet, il
direct marketing, la videosorveglianza, il credito al consumo, la
previdenza e i rapporti di lavoro, gli archivi pubblici, che verranno così
ad aggiungersi ai molti già approvati o in via di definizione (attività
giornalistica, ricerca storica, statistica pubblica e privata, attività
investigative, banche). Per quest'ultima materia, avvertiamo la
delicatezza di un compito che continua ad impegnarci sul terreno delle
fonti del diritto e della rappresentanza sociale, dovendo noi individuare
i soggetti pubblici e privati che parteciperanno alla stesura dei codici
con una procedura pubblica che abbiamo già avviato.
Su questa realtà normativa, che rafforza ulteriormente la
funzione di garanzia di diritti fondamentali tipica della nostra Autorità,
bisogna riflettere. Non intendiamo entrare nel dibattito sulla riforma del
sistema delle autorità indipendenti, di cui condividiamo la necessità.
Vogliamo però ricordare che un rafforzamento dello statuto delle autorità
di garanzia ci appare indispensabile, anche al fine di affidare la tutela
di diritti fondamentali ad organismi di sicura, non incerta, definizione.
A parte questo intervento istituzionale, che giudichiamo necessario e per
il quale riteniamo coerente il mantenimento dell'origine parlamentare
delle autorità di garanzia, confidiamo che molti chiarimenti possano
venire dal testo unico sulla protezione dei dati personali, che dovrà
essere approvato entro l'anno ed alla cui stesura stiamo dando tutta la
nostra collaborazione.
La riorganizzazione interna e i dati
sull'attività
Proprio per fronteggiare meglio compiti vecchi e nuovi,
abbiamo dato rilievo particolare alla riorganizzazione interna,
rispettando l'impegno assunto l'anno scorso. Non solo sono state tracciate
nuove linee organizzative. Entro giugno sarà portato a compimento un
ulteriore processo di decentramento, valorizzando poteri e responsabilità
dei dirigenti. L'attribuzione di due incarichi specifici consentirà una
gestione più efficiente e un più efficace sostegno al lavoro essenziale
dei dipartimenti giuridici.
Alla fase di riorganizzazione non ha corrisposto un
ristagno dell'attività o un attestarsi sull'ordinaria amministrazione. Al
contrario. Non abbiamo abbandonato la linea promozionale che ci ha
consentito di assecondare il formarsi e il consolidarsi di una cultura
della privacy grazie soprattutto alla collaborazione con i soggetti
pubblici e privati. Ma, rendendo anche qui effettivo un programma
annunciato, siamo passati ad una fase nella quale ricorriamo più
frequentemente alle ispezioni per verificare il rispetto della legge, alla
conseguente applicazione di sanzioni amministrative e, nel caso di
violazioni configurabili come reati, alla segnalazione all'autorità
giudiziaria.
Proprio i risultati delle ispezioni mettono in evidenza
sacche preoccupanti di violazioni della legge, dovute a ritardi e
inadempienze gravi, a scarsa conoscenza delle norme. Con l'applicazione
delle sanzioni, più incisiva ed estesa, intendiamo ridurre l'area
dell'illegalità, contando anche sull'effetto dissuasivo che questo nuovo
orientamento potrà determinare. Mentre, infatti, hanno avuto risultati
positivi le ispezioni effettuate su un campione di comuni nel periodo del
censimento, violazioni sono state accertate per quanto riguarda la
videosorveglianza in aree pubbliche e private e il rispetto da parte dei
comuni delle norme sul trattamento dei dati sensibili.
Poiché, tuttavia, rimaniamo convinti che il rispetto
della legge dipenda molto dalla sua conoscenza, stiamo migliorando il
nostro sito web ed avvieremo nell'autunno prossimo una campagna
informativa. Meglio informati dei loro poteri d'intervento diretto, i
cittadini potranno rafforzare un controllo capillare, che il Garante da
solo non potrebbe realizzare.
Intanto, però, i dati sull'attività svolta non registrano
significative variazioni per quanto riguarda i ricorsi (211 rispetto ai
243 dell'anno precedente), tutti risolti nel termine di 30 giorni. Vi è,
invece, un aumento delle segnalazioni e dei reclami (4.295 rispetto a
3.661) e dei quesiti (1.755 rispetto a 1.569), mentre diminuiscono le
richieste di parere (81 rispetto a 170) e di informazioni telefoniche
(7.000 rispetto a 9.000). La vera novità, tuttavia, è rappresentata
dall'accresciuta capacità di risposta dell'Autorità: gli atti e i
provvedimenti relativi a segnalazioni e reclami sono passati dai 687 del
2000 ai 2.327 di quest'anno (+239%) e le risposte a quesiti da 118 a 898
(+661%). Questo non vuol dire che siano stati risolti i problemi
determinati dalla grande quantità di richieste rivolte al Garante. Indica
però una significativa inversione di tendenza, e l'esistenza nell'Ufficio
di grandi possibilità di crescita, già rafforzate dalla qualità di molti
collaboratori e che riceveranno nuovo impulso dal reclutamento di nuovo
personale già avviato.
Il rapporto con le altre istituzioni
Ma vi sono risultati che non possono essere realizzati
senza la collaborazione di altri soggetti istituzionali. Abbiamo
riannodato i rapporti con l'Anci, e speriamo che ciò possa contribuire ad
eliminare le inadempienze fin troppo diffuse per quanto riguarda i
regolamenti sul trattamento dei dati sensibili da parte degli enti locali
(per i quali abbiamo da tempo fornito anche nostri precisi contributi).
Troviamo proficue occasioni d'incontro con il Ministro per
l'innovazione e le tecnologie, e speriamo che ciò si rifletta in particolare sui progetti in corso per la carta d'identità elettronica.
Auspichiamo che il Ministero della salute possa superare le difficoltà
finora incontrate nel mettere a punto i provvedimenti in materia di
consenso dei pazienti, di trattamento dei dati sensibili, di indicazioni
sulle ricette mediche.
Ricordiamo che questi interventi rispondono a diffuse
aspettative dei cittadini, e che il Garante è intervenuto più volte per
impedire discriminazioni e dare piena tutela al fondamentale diritto alla
salute. Con il Ministro per gli affari regionali abbiamo affrontato, in
occasione del censimento, il delicatissimo problema della dichiarazione di
appartenenza linguistica nella provincia di Bolzano, che continua a
presentare aspetti discriminatori, e di compatibilità con il quadro
comunitario, che è necessario eliminare .
Sono aperte molte altre questioni, per la cui corretta
soluzione pensiamo che la nostra collaborazione con i ministeri competenti
possa essere utile. Questo riguarda, in particolare, i nuovi sistemi
informativi del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali, e l'attuazione di direttive
comunitarie come quella sul commercio elettronico.
Quando ci riferiamo al contesto istituzionale, non
possiamo limitarci a quello del nostro Paese. Al solo livello nazionale,
la protezione dei dati è destinata ad essere sempre meno incisiva. È per
questo che abbiamo lavorato, e ancor più lavoreremo, al rafforzamento del
contesto europeo, nella prospettiva di regole capaci di operare a livello
globale.
Qui ci troviamo in una posizione privilegiata e, di
nuovo, particolarmente impegnativa. Il prestigio della nostra autorità a
livello europeo è testimoniato dal fatto che a capo delle due maggiori
istituzioni europee si trovano appunto due italiani.
Sono stato da poco riconfermato alla presidenza del
Gruppo dei garanti europei, e la presidenza dell' Autorità di controllo
comune Schengen è stata affidata al nostro segretario generale, Giovanni
Buttarelli .
Guardando al modello europeo, possiamo ben dire che la
nostra azione si caratterizza per una capacità di anticipazione e di
rapidità nel tradurre le indicazioni dell'Unione. Per quanto riguarda le
comunicazioni commerciali, la revisione della direttiva sulle
telecomunicazioni si è orientata verso il consenso preventivo del
destinatario, adottando proprio la linea del nostro legislatore. E il
Garante italiano è stato il più rapido a dare piena attuazione alle
diverse misure per il trasferimento dei dati fuori dell' Unione europea,
dal "Safe Harbor" alle clausole contrattuali standard,
mostrandosi così attento anche alle esigenze di certezza del sistema
delle imprese, che vorremmo a loro volta attente alle regole ormai
pienamente vigenti.
Il bisogno mondiale di discipline
uniformi
Ma il modello europeo dev'essere oggi seriamente
considerato perché è riuscito a mostrare come sia possibile creare una
zona amplissima (oggi quindici paesi, domani ventisette) dove i dati
personali circolano liberamente e, al tempo stesso, i cittadini godono di
un elevato livello di tutela. L'adozione di questo modello aveva indotto a
contrapporre impropriamente gli Stati Uniti, regno
dell'autoregolamentazione, e l'Unione europea, dove l'insistenza sulla
legge avrebbe trasformato la privacy in un vincolo improprio. Questa
contrapposizione, di cui altre volte abbiamo sottolineato la schematicità,
deve ora essere considerata alla luce degli ultimi sviluppi nel Congresso
degli Stati Uniti, al quale sono proprio le imprese a chiedere una
disciplina uniforme di tutte le utilizzazioni commerciali dei dati
personali, con una legge che dovrebbe addirittura escludere che, in questa
materia, i singoli stati possano continuare a legiferare.
Si conferma così il bisogno di discipline uniformi,
comuni alle diverse aree del mondo, anche per ragioni di economicità di
gestione delle politiche di privacy da parte delle imprese. Avevamo visto
giusto quando due anni fa, a Venezia, facemmo includere nella
dichiarazione finale della Conferenza mondiale sulla protezione dei dati
personali una indicazione relativa proprio alla necessità di una
convenzione internazionale sulla privacy. Vi è, dunque, una ragione di più
per tornare a segnalare al Governo l'opportunità di una iniziativa che lo
veda protagonista in una materia dove, più che altrove, si sta disegnando
il nostro futuro.
Sono in gioco valori fondativi della persona e
della democrazia
Viviamo tempi in cui la diffusione e il rafforzamento dei
diritti possono costituire un forte vaccino democratico contro rischi e
tentazioni che accompagnano il tumultuoso sviluppo tecnologico e gli
immensi interessi economici ad esso collegati. Il nostro lavoro quotidiano
ci rende ben consapevoli di comportamenti che, utilizzando tecnologie al
tempo stesso capillari e di facile impiego, guardano alle persone solo
come fonte di dati, "miniere" alle quali attingere liberamente.
Se secondassimo queste tendenze, ci renderemmo complici
di una degradazione della persona da soggetto ad oggetto, di una riduzione
del cittadino a puro consumatore. Tradiremmo così la stessa lettera della
legge che oggi compie cinque anni, e che ha voluto aprire proprio una
nuova prospettiva per la difesa della persona, attribuendo a ciascuno di
noi pienezza di diritti sui dati che ci riguardano.
Per questo non possiamo associarci a chi professa una
fede assoluta nell'autoregolamentazione, pur continuando a contribuire ad
una sua ragionata utilizzazione. Le modalità d'impiego dei dati personali
non consentono disattenzioni dei poteri pubblici, poiché sono in gioco
valori fondativi della personalità e della democrazia, la cui tutela non è
delegabile a soggetti non legittimati democraticamente.
Per questo riteniamo sbagliato considerare il Garante
come una sorta di custode della "tirannia dell'intimità", che chiuderebbe
ciascuno in una angusta sfera privata, confinandolo nella solitudine.
Verifichiamo ogni giorno, intervenendo su casi concreti, come la pienezza
della libertà nella sfera privata costituisca ormai una condizione
necessaria per la piena libertà nella sfera pubblica, per stabilire legami
sociali senza condizionamenti, per rimuovere ostacoli di fatto
all'eguaglianza dei cittadini. |