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 Tutela dei dati personali - Comunicazioni del Garante

Garante per la protezione
dei dati personali

Comunicato stampa
09.01.98

Sull' "Espresso" oggi in edicola compaiono una lettera aperta al Presidente dell'Autorità Garante, Stefano Rodotà, ed altri articoli sull'applicazione all'attività giornalistica della legge sulla protezione dei dati personali. Solo per evitare equivoci, l'Ufficio del Garante fa notare quanto segue:
- non è una forzatura della legge italiana il considerare soggette alle regole sulla privacy anche le informazioni personali raccolte dai giornalisti. Lo prevede la direttiva 95/46 dell'Unione europea, che peraltro consente ai diversi Stati di far "beneficiare di deroghe e limitazioni" l'attività giornalistica "solo qualora si rivelino necessarie per conciliare il diritto alla vita privata con le norme sulla libertà di espressione" (Art. 9). Raccogliendo questa indicazione, la legge italiana. contiene norme che, appunto, differenziano nettamente il trattamento dei dati personali nell'esercizio della professione di giornalista da ogni altra forma di trattamento;
- nel testo degli articoli citati si lascia intendere che il Garante avrebbe esercitato pressioni sull'Ordine dei giornalisti per condizionare la stesura del codice di deontologia previsto dall'art. 25. Il Garante si è limitato ad alcune segnalazioni, volte soprattutto ad evitare contrasti tra il codice e le leggi vigenti in attuazione di un preciso dovere previsto dall'articolo 25 citato: segnalazioni che non sembrano aver condizionato la libertà dell'Ordine, visto che sono state accolte solo in parte. Gli interventi del Garante, peraltro, rispondevano agli inviti alla collaborazione venuti dallo stesso Ordine dei giornalisti, il cui Presidente ha pubblicamente riconosciuto lo spirito con il quale il Garante ha collaborato. Con lo stesso spirito il Garante sta valutando lo schema inviato dall'Ordine sul quale, peraltro, si è già avviata una discussione, auspicata dal Garante, nella quale sono stati espressi anche giudizi diversi da quelli contenuti negli articoli dell' "Espresso";
- non si comprende perché il civile diritto di accesso dei cittadini alle banche dati dei mezzi di comunicazione per l'eventuale correzione dei dati inesatti, l'integrazione di quelli incompleti, la cancellazione di quelli illegali, dovrebbe favorire concussori o corruttori e non, invece, una maggiore precisione e correttezza nell'attività giornalistica;
- non si comprende perché il giornalismo di inchiesta dovrebbe essere cancellato dalle norme che, solo nei casi in cui si raccolgono dati personali, prevedono che il giornalista renda nota questa sua qualità. Purtroppo, la crisi del giornalismo di inchiesta in Italia ha radici che nulla hanno a che vedere con la legge sulla privacy.
Questa legge e gli interventi del Garante, al contrario, hanno prodotto effetti dì trasparenza sociale che hanno favorito proprio il lavoro di inchiesta (basta ricordare la vicenda degli stipendi di chi lavora in istituzioni pubbliche);
- è ben nota la preoccupazione del Garante per il rispetto della libertà di espressione. Ad una sua sollecitazione, ed alla sensibilità del ministro di Grazia e Giustizia, si deve la correzione della legge, il giorno stesso della sua entrata in vigore, in un punto che, imponendo l'obbligo di informative scritte agli interlocutori, davvero avrebbe bloccato il lavoro dei cronisti.
Ad una sua interpretazione, rigorosamente aderente all'art. 21 della Costituzione, si deve l'esclusione di ogni "autorizzazione" in materia di dati sensibili, pur richiamata dall'art. 25 della legge. Inoltre, già da tempo con pubbliche dichiarazioni, il Presidente del Garante aveva reso nota l'intenzione dell'Autorità di sollecitare una revisione dell'art. 25 nella parte in cui subordina al consenso dell'interessato la possibilità di pubblicare notizie sulla salute e sulla vita sessuale (e, comunque, vale la pena di ricordare che si sono dimostrati infondati tutti gli allarmismi manifestati a proposito di questa norma, visto che hanno continuato pacificamente ad essere pubblicate notizie di questo genere su "figure pubbliche"). Ora che la legge ha avuto otto mesi di sperimentazione e lo schema del codice di deontologia è stato consegnato al Garante, si stanno determinando le condizioni per una correzione di questo punto della legge, peraltro già ipotizzata dalla Camera in sede di approvazione finale della legge e ribadita dal Governo in occasione del Consiglio dei ministri del 9 maggio 1997;
- il codice di deontologia non nasce da una volontà di potenza del Garante, ma da una scelta parlamentare, alla quale sono stati attenti alcuni pochi studiosi, nel silenzio quasi totale del mondo dell'informazione. Tuttavia, come molti giornalisti e qualche ordine regionale hanno già messo in evidenza, può anche essere l'occasione per introdurre alcuni principi che, insieme, rassicurino i cittadini e diano certezza al lavoro degli stessi giornalisti. Il codice, infatti, nasce da un obbligo legislativo che prevede che siano in tal modo specificati i principi legislativi già vigenti, che tutelano la dignità personale nei riguardi dell'attività informativa;
- la professione giornalistica non è consegnata ad un organo "politico", come in maniera un po' sprezzante si esprimono gli articoli citati all'inizio. La designazione parlamentare e le regole di funzionamento, al contrario, attribuiscono a questo organo una indipendenza sostanzialmente maggiore di quella propria di altre "autorità" e che ha fondamento anche in una precisa volontà comunitaria. Il giudizio andrebbe espresso sul modo in cui finora sono stati esercitati i poteri del Garante, nel quadro d'una legge di grande innovazione sul terreno dei diritti fondamentali della persona, visto che disciplina la privacy nel più ampio quadro del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini, della loro dignità e identità: valori che, come ogni buon garantista sa, non possono essere lasciati ad oscillanti decisioni giurisprudenziali. Peraltro, una disciplina legislativa dei dati personali e l'istituzione di un Garante erano condizioni indispensabili per dare attuazione a precisi impegni internazionali dell'Italia.