Nella lotta al cybercrime, il Gruppo dei Garanti
europei chiede maggiori garanzie per i cittadini, in particolare riguardo alle
intercettazioni telefoniche, allo scambio di informazioni sul contenuto delle
telefonate e delle e-mail, al periodo di conservazione dei dati personali.
Il 22 marzo scorso il Gruppo dei Garanti europei,
costituito ai sensi dell'Articolo 29 della Direttiva sulla protezione dei dati
personali, ha reso noto il parere espresso sul progetto di Convenzione del
Consiglio d'Europa per la lotta alla criminalità informatica. Per
"criminalità informatica" si intende la realizzazione di attività
criminali attraverso l'impiego di strumenti telematici.
Si tratta di un testo la cui elaborazione è in
corso dal 1997: la Convenzione mira a favorire la cooperazione internazionale
nella lotta alla criminalità informatica, attraverso l'armonizzazione delle
procedure e il potenziamento dell'assistenza giudiziaria in questi settori.
Tali attività comportano necessariamente lo scambio di dati personali (dati sul
traffico telefonico o telematico, registrazione di comunicazioni, ecc.) non
sempre connessi a forme di criminalità informatica. Il Gruppo ha pertanto
ritenuto di dover valutare la rispondenza del progetto di Convenzione (nella
versione del 22 dicembre 2000, l'ultima resa pubblica) ai principi di
protezione dati sanciti sia nella Convenzione del Consiglio d'Europa in
materia di protezione dati, sia negli altri strumenti successivamente adottati
in questo settore. Il Progetto sarà sottoposto entro breve all'Assemblea
Parlamentare del Consiglio d'Europa, e dovrà essere successivamente adottato
dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa.
Il Gruppo ha rilevato, in primo luogo, che le
disposizioni del progetto di Convenzione hanno un impatto considerevole in
termini di diritti fondamentali. Nel preambolo al progetto di Convenzione ci si
richiama alla Convenzione europea del 1950 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
(CEDU), il cui articolo 8 sancisce il diritto fondamentale alla privacy. Da ciò
discende la necessità di valutare se le misure che comportano una limitazione
di tali diritti ai fini della lotta alla criminalità (come, ad esempio, le
intercettazioni telefoniche o lo scambio di informazioni sul contenuto di
conversazioni telefoniche o telematiche) siano effettivamente necessarie e non
eccessive secondo quanto richiesto dalla Convenzione stessa. Il fatto è che
alcuni degli elementi del progetto sono del tutto nuovi, e il loro impatto in
termini di diritti fondamentali non sembra essere stato valutato appieno dal
comitato che si è occupato della redazione del progetto. Occorre quindi
introdurre specificazioni maggiori quanto ai criteri che giustificano l'adozione
delle misure previste per la lotta alla criminalità informatica in termini di
necessità, adeguatezza e proporzionalità.
Va inoltre sottolineato che non tutti i Paesi
potenziali firmatari del progetto di Convenzione sono anche membri del Consiglio
d'Europa (USA, Canada, Giappone, Repubblica Sudafricana): ciò porterebbe ad
una sostanziale discriminazione di trattamento, in quanto gli Stati membri del
Consiglio d'Europa sono tenuti anche al rispetto di tutti gli strumenti
adottati dal Consiglio e, in particolare, della Convenzione 108 sulla protezione
dei dati personali, delle Raccomandazioni elaborate dal Consiglio in questo
settore e delle direttive dell'Unione Europea concernenti la protezione dei
dati (in particolare, la direttiva 95/46). Soprattutto, il progetto nella sua
versione attuale non prevede l'obbligo per gli Stati non membri del Consiglio
d'Europa di introdurre salvaguardie e condizioni conformi agli strumenti
indicati.
Nel parere vengono quindi evidenziate alcune
lacune più specificamente riguardanti disposizioni in materia di protezione
dati. In particolare, il progetto prevede in sostanza un obbligo generale di
cooperazione comprendente anche la fornitura di informazioni, materiali ecc.,
con pochissime eccezioni. Un articolo introdotto nel progetto in via provvisoria
(articolo 27 bis) sembra in parte rispondere all'esigenza di tutelare la
riservatezza delle persone oggetto delle informazioni suddette. Tuttavia, esso
prevede la possibilità (non l'obbligo) per lo Stato al quale venga fatta una
richiesta, di fornire le informazioni o i materiali in oggetto solo se non
sussistono limitazioni in termini di segretezza o utilizzo. Non si fa invece
menzione esplicita della tutela dei dati personali quale condizione limitante.
In sostanza, non è chiaro se questa disposizione sia sufficiente a giustificare
il rifiuto di prestare assistenza sulla base del rischio di violare il principio
dell'adeguatezza del livello di protezione dei dati personali che, in base
alla direttiva 95/46, costituisce il criterio fondamentale ai fini del
trasferimento di dati verso Paesi terzi. Il Gruppo dei Garanti ha quindi
proposto di inserire nella Convenzione l'articolo suddetto in modo permanente,
modificandolo nel senso indicato e specificando meglio il livello di protezione
che deve essere garantito ai singoli che siano oggetto dei provvedimenti citati
nel Progetto di Convenzione. Questo anche perché i principi sanciti dalla
direttiva europea in materia di protezione dati si applicano alle attività del
cosiddetto "terzo pilastro" (ossia, alla cooperazione di polizia e
giudiziaria): potrebbe, dunque, verificarsi che la situazione in atto in un
Paese terzo (cioè non membro dell'UE) che richiede informazioni sia tale da non
garantire un livello adeguato di protezione dei dati personali, come invece è
necessario in base alla direttiva affinché il Paese richiesto proceda al
trasferimento dei dati. Se dunque il progetto non prevederà la possibilità per
la il Paese cui vengono richieste le informazioni di imporre specifiche garanzie
e condizioni ai fini del loro trasferimento, potrebbero nascere conflitti
(soprattutto per i Paesi membri dell'UE) fra l'obbligo di prestare
assistenza, da un lato, e l'obbligo di rispettare diritti fondamentali imposto
dalla CEDU e dagli strumenti comunitari.
Il Gruppo ha peraltro rilevato con favore che
nell'ultima versione del Progetto non si prevede più un obbligo generalizzato
di conservazione di tutti i dati sul traffico a carico dei fornitori di servizi
Internet. I Garanti hanno chiesto che tale obbligo non sia più introdotto in
eventuali successive versioni del Progetto. Anche in questo ambito, tuttavia,
non è prevista la possibilità per lo Stato richiesto di rifiutare la
comunicazione di dati sul traffico per motivi connessi alla protezione dei dati;
inoltre, si fa obbligo di conservare i dati telematici e sul traffico, su
richiesta, per almeno 60 giorni in attesa della decisione sulla necessità di
disporne e sulle modalità di utilizzo - il che comporta un onere non
indifferente per gli operatori di TLC, i fornitori di servizi Internet ed anche
i privati.
I Garanti europei hanno valutato positivamente lo
sforzo compiuto dal Consiglio d'Europa per migliorare il testo del progetto
alla luce dei principi che regolano la protezione dei dati, ma hanno invitato i
responsabili della sua formulazione a tenere in maggiore conto le osservazioni e
le competenze degli esperti nazionali in materia di protezione dati.