Garante
per la protezione
dei dati personali
Relazione per
l'anno 1998
Discorso del presidente Stefano Rodotà
12.04.99
Signor Presidente della
Repubblica,
come definire, a due anni
dall'inizio della sua attività, il Garante per la
protezione dei dati personali? Una "istituzione di
frontiera", forse, anche se si tratta di una
espressione tutt'altro che originale. Ma è proprio li,
su una frontiera, che il Garante lavora, misurandosi ogni
giorno con problemi inediti e ostinate resistenze,
muovendosi tra incomprensioni e incitamenti e, come
accade a chiunque stia su una frontiera incerta e
contestata, gli è capitato anche di trovarsi tra due
fuochi.
Una frontiera
istituzionale, economica, sociale, culturale. Non si
comprenderebbe la singolare vicenda che si è aperta ai
primi di maggio del 1997 se non si tenessero nel giusto
conto tutte queste dimensioni. Infatti, la legge sulla
tutela dei dati personali si è via via rivelata come un
dato forte, persino ingombrante, che obbligava a mettere
in discussione certezze consolidate, abitudini
amministrative e scientifiche, e a dare una diversa
ricostruzione del sistema nel suo complesso.
Tutto questo ha
determinato pure spaesamenti e ansie, che il Garante si
è impegnato a fugare con un lavoro collegiale di
adattamento dei principi alle molteplici situazioni
considerate dalla legge. Alle certezze promosse dal
Garante, tuttavia, si chiede di far seguire quelle che
possono venire da norme più analitiche: e ciò avverrà,
grazie ai decreti delegati che prevedono specifiche
discipline in determinati settori. Ma bisogna guardarsi
anche dal rischio di irrigidire il sistema con troppe
regole di dettaglio, che lo priverebbero della
flessibilità indispensabile in una materia in costante
divenire, dominata dall'incessante mutamento determinato
dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche.
Si è misurata, intanto,
una influenza che non rimaneva nel chiuso cerchio delle
norme giuridiche. Lo dico con uno spirito che è,
insieme, di orgoglio e timore: non v'è alcun paese al
mondo dove una legge come questa abbia suscitato risposte
così intense dei cittadini, reazioni delle istituzioni e
del sistema delle imprese, attenzioni continue e persino
aggressive del sistema della comunicazione. La conferma
è nelle cifre. Tra il marzo del 1998 e quello del 1999 i
maggiori giornali nazionali hanno dedicato ai problemi
della privacy 2500 pagine, di cui 600 alla specifica
attività del Garante. Ventisettemila richieste dei
cittadini nel primo anno di attività potevano far
pensare (e forse sperare, visto lo scarto tra l'immane
lavoro e le ridotte dimensioni dell'ufficio) che si
trattasse soltanto di una fiammata iniziale, dovuta alla
novità, ed agli interrogativi che questa provocava.
Così non è stato. Il nostro secondo anno è stato
accompagnato da ventimila richieste, sì che a questo
punto s'impone una riflessione sulle ragioni del
permanere di una attenzione tanto forte. Una analisi
qualitativa deve seguire la rilevazione quantitativa.
E' legittimo un dubbio. E
se tutta questa attenzione fosse dovuta soprattutto alle
difficoltà determinate dalla legge, che spingono ad
interrogare continuamente il Garante? Una analisi
dell'insieme dei ricorsi, reclami, segnalazioni e quesiti
ci dice che non è così. Esistono richieste in cui si
esprimono difficoltà oggettive e soggettive: ma si
tratta di una percentuale ridotta, che si può stimare
intorno al dieci per cento del totale, sicuramente
fisiologica, e che scompare del tutto se si esaminano le
richieste avanzate in forma di ricorso.
La grandissima parte delle
richieste, quindi, ha radici e motivazioni ben diverse,
che possono essere raggruppate in tre filoni. Si può
parlare di una "privacy/rispetto", invocata da
tutti quelli che, finalmente, dispongono di strumenti
efficaci per respingere indebite invasioni e
discriminazioni, e così sviluppare pienamente la loro
personalità di una "privacy/alibi", dietro la
quale si trincerano quanti vogliono sottrarsi al
controllo o coprire inefficienze, di un intreccio tra
"privacy e trasparenza"; che si è manifestato
nei moltissimi interventi del Garante volti ad eliminare
barriere alla conoscenza di dati significativi, che non
trovavano alcun fondamento nella legge. Vi è, poi, un
numero ridotto di richieste che esprimono esigenze che
non possono essere soddisfatte attraverso gli strumenti
previsti per la tutela dei dati personali, e che tuttavia
meritano d'essere considerate perché in esse,
probabilmente, è una delle chiavi interpretative per
comprendere la spinta dei cittadini verso il Garante.
Qui si manifesta non tanto
un travisamento dei fini della legge, quanto piuttosto un
estremo tentativo di arrivare alla soluzione di problemi
incancreniti. Il Garante per la protezione dei dati
personali si presenta così come una istituzione
"scialuppa"; dove si cerca di salire quando
ogni altro appiglio sembra perduto, come una sorta di
difensore civico senza confini. E' ovvio che, in casi
come questi, il Garante comunica di non poter
intervenire. Ma l'atteggiamento di chi considera il
Garante come l'unico appiglio si ritrova anche in casi in
cui è certa la sua competenza. E allora bisogna dire con
franchezza che il flusso delle richieste esprime anche
una sorta di distacco da altre istituzioni, ed un
trasferimento delle attese verso una istituzione appena
creata, quasi che questa potesse ricostituire un circuito
di fiducia che altrove appare spezzato.
In questo atteggiamento si
può certo cogliere il rischio d'una distorsione. In
realtà, siamo di fronte ad un effetto della innovazione
più significativa introdotta dalla legge n. 675: il
trasferimento al cittadino del diritto di governare
direttamente i propri dati personali ha determinato una
redistribuzione di poteri che non poteva non investire
nel suo insieme il sistema istituzionale.
Proprio partendo da questa
constatazione, abbiamo fatto la scelta - impegnativa, ma
a nostro giudizio obbligata - di cercar di rendere al
massimo agevole l'accesso al Garante, di spogliarlo
d'ogni formalismo e, di conseguenza, di rispondere a
tutte le richieste. Ho parlato di scelta obbligata,
perché la novità del sistema non consiste nell'aver
creato un organo al quale il cittadino deve
necessariamente rivolgersi quando viene messo in
discussione o violato uno dei suoi nuovi diritti.
L'innovazione vera sta nell'aver costituito ogni
cittadino come garante di se stesso, dal momento che
ciascuno può direttamente curare la tutela dei propri
diritti senza alcuna intermediazione burocratica. Anzi, i
ricorsi al Garante, previsti dall'art. 29 della legge,
sono in via generale ammissibili solo dopo che i diritti
indicati dall'art. 13 siano stati esercitati nei
confronti del responsabile.
S'impone, a questo punto,
un'altra considerazione. La dimensione quantitativa
dell'"utenza" della legge n. 675 non può
essere misurata solo con il riferimento, già imponente,
alle quarantasettemila richieste al Garante. In questa
cifra, infatti, non è compreso il numero di cittadini
che si sono rivolti direttamente alle amministrazioni
pubbliche o al settore privato per far valere i diritti
riconosciuti dalla legge n. 675. Molteplici indizi,
tratti da diversi materiali di cui disponiamo, ci dicono
che si tratta di un fenomeno ormai diffuso: ma non siamo
in grado di misurarne l'ampiezza e la frequenza. Un dato,
tuttavia, merita d'essere riferito. In diversi settori,
molti hanno avvertito come un fastidio l'invio di moduli
d'informativa e di richieste di consenso al trattamento
dei dati, lamentando soprattutto la loro prolissità e
oscurità (di questo ci siamo preoccupati, e proprio in
questi giorni abbiamo messo a punto un nuovo schema,
estremamente semplificato). Molti altri, però, hanno
percepito che in quel fastidio era contenuta pure una
opportunità: più di tre milioni e mezzo di clienti
delle banche hanno chiesto di ricevere solo i materiali
strettamente necessari per la gestione del loro rapporto
con la banca. Un "sondaggio di massa"; se così
vogliamo chiamarlo, davvero senza precedenti, e che
merita d'essere attentamente considerato per comprendere
le diverse valenze sociali ed economiche della disciplina
dei dati personali, se a queste si guarda partendo dal
suo primo protagonista, il cittadino.
Ma v'è un'altra
considerazione che impone di guardare ai
quarantasettemila casi come ad un punto di partenza e non
come ad un dato definitivo. Vi sono provvedimenti del
Garante che, pur riferiti ad un soggetto specifico, in
realtà riguardano una pluralità di soggetti, fino ad
interessare la totalità dei cittadini. E' quel che è
accaduto, ad esempio, quando si sono affrontate questioni
riguardanti la salute, le notificazioni giudiziarie, il
traffico telefonico. E non si tratta di effetti
indiretti: in questi casi, il provvedimento del Garante
modifica immediatamente la condizione di tutti i
potenziali interessati. Siamo di fronte ad una tutela con
effetti collettivi.
Questo, dunque, è il
circuito istituzionale e sociale che si va delineando,
con innovazioni notevoli e problemi di cui non può
essere sottovalutata la portata. In questo circuito si
manifesta la presenza anche di soggetti che possono
arricchirne il significato e rendere più agevole la
trasmissione delle domande sociali. E' già avvenuto che
taluni temi siano stati segnalati al Garante da difensori
civici locali, che finiscono così con l'adempiere ad una
duplice funzione: rilevazione di questioni significative
e selezione di quelle più rilevanti. L'importanza della
dimensione locale, peraltro, è stata ben considerata dal
Garante che ha sottoscritto con l'Anci una convenzione
per la diffusione dei suoi provvedimenti riguardanti
l'amministrazione locale, e per "formare i
formatori" in un settore nuovo e complesso. Si
intravedono così occasioni di decentramento che possono
consentire una migliore percezione ed utilizzazione della
disciplina di tutela dei dati personali.
Accanto all'articolazione
territoriale si colloca quella sociale, di cui può
essere buona espressione l'iniziativa delle associazioni
dei consumatori, che ha avuto un ruolo significativo
nell'avvio dell'attività del Garante, la cui prima
pronuncia rispondeva appunto a loro sollecitazioni. Ora
è possibile che la nuova disciplina delle associazioni
rappresentative dei consumatori determini una loro
maggior presenza nel complesso circuito istituzionale
individuato dalla legge n. 675.
Parlare di un nuovo
circuito istituzionale, che sta prendendo forma, non è
una forzatura, determinata da una pretesa di attribuire
al Garante una posizione di particolare rilievo. Il tipo
di richieste rivolte al Garante, i soggetti che le
alimentano, le risposte del Garante e i loro effetti
collettivi mostrano che siamo di fronte non solo ad una
istituzione di garanzia, ma ad un insieme di strumenti e
di procedure che possono contribuire ad una più diffusa
e radicata democrazia dei cittadini.
Non sono parole. La nostra
Relazione è, in primo luogo, un catalogo dei casi in cui
sono cresciuti i diritti di tutti, non di un manipolo di
privilegiati. E' la testimonianza di come sia possibile
eliminare discriminazioni odiose dei più deboli,
ammalati di Aids o portatori di handicap. E'
l'indicazione concreta del modo in cui si possono
respingere piccole e grandi prevaricazioni di
amministrazioni pubbliche o di poteri privati, si tratti
dei questionari sottoposti a dipendenti comunali o dei
test sul posto di lavoro, dei rapporti con
l'amministrazione fiscale o dell'uso dei dati nelle
indagini giudiziarie. Gli ammalati guadagnano rispetto,
ai consumatori viene data voce. Emergono i diritti dei
cittadini nel sistema delle telecomunicazioni, nei
rapporti con i gestori dei diversi servizi. Si affrontano
le questioni di un futuro già presente - il controllo
capillare dei cittadini attraverso reti internazionali,
schedature, videosorveglianza.
Nella discussione
pubblica, così intensa da risultare persino
sorprendente, questa dimensione è talvolta oscurata da
una accezione ristretta e inadeguata del termine
"privacy"; ormai entrato stabilmente nel
linguaggio comune. Si è detto che la propensione dei
cittadini non è tanto quella di cercare maggiore
riservatezza, quanto l'opposto desiderio di apparire, di
esibirsi, di denudarsi in pubblico. Si è aggiunto che
troppo diverso è l'humus culturale di un paese come
l'Italia perché possa attecchire una pianta nata e
cresciuta nel ben diverso ambiente degli Stati Uniti. Si
è sottolineato il rischio di un crescente isolamento
individuale, di un allentarsi dei legami sociali, che
proprio l'accento posto sulla privacy potrebbe
determinare.
E' questa la frontiera
culturale dalla quale il Garante non può ritrarsi,
proprio perché la legge stessa gli dà il compito di
contribuire a definire davanti all'opinione pubblica il
significato della tutela dei dati personali. E allora
bisogna ricordare che la società dell'informazione e
della comunicazione non genera spinte tutte convergenti.
Convivono al suo interno pulsioni diverse, tutte
parimenti forti: il bisogno di notorietà, per il quale
nessun prezzo è troppo alto, fosse pure il sacrificio
d'ogni pudore o intimità; e la richiesta imperiosa di
rispetto o di silenzio, estesa anzi anche ad aree che in
passato non l'avevano conosciuta. Sono, se si vuole,
culture a confronto. E chi crede che la cultura del
rispetto, di sé in primo luogo, meriti d'essere
secondata, ha oggi a disposizione uno strumento che prima
mancava.
Peraltro, negli stessi
Stati Uniti dall'antico bozzolo del "diritto ad
essere lasciato solo" è progressivamente uscita una
nozione più ricca e comprensiva di privacy, che ne fa
una condizione della cittadinanza, una premessa per un
comprensivo statuto delle informazioni personali uno
strumento per la definizione di relazioni personali, e
sociali dunque di quella "vita comune" che per
l'individuo è condizione di esistenza. Trasferita in
Europa, questa nozione non solo non ha trovato
difficoltà ad attecchire ma, incontrandosi con la
tradizione della tutela legislativa dei diritti
dell'uomo, si è irrobustita al punto da raggiungere un
livello di tutela che oggi non ha pari nel mondo. Ed è
proprio qui, in questo paradossale divario tra una tutela
che s'indebolisce nel paese d'origine e si rafforza nel
continente europeo, che s'innesta la dialettica tra
Unione Europea e Stati Uniti per quanto riguarda il
trasferimento in quest'ultimo paese dei dati personali
trattati in Europa, perché si dubita che il sistema
statunitense offra quell'"adeguata protezione"
che la Direttiva 95/46 esige nel paese di destinazione,
per evitare la creazione di "paradisi dei dati"
che vanificherebbero la tutela raggiunta dai cittadini
europei.
In questo confronto il
Garante italiano ha avuto un ruolo di rilievo, tanto che
sotto la sua presidenza è stato possibile giungere ad un
documento unanime dei garanti europei sulla trattativa
ancora in corso. Si dilata così la dimensione
istituzionale, che condiziona anche i diritti dei
cittadini italiani e, quindi, impone al Garante un
continuo allargamento dei confini della sua azione, con
una crescita degli stessi impegni quotidiani che è stato
possibile fronteggiare solo grazie al permanere
nell'intero personale di una tensione e di una
abnegazione particolari.
Infatti, mentre il Garante
si trovava a partecipare come protagonista alla nascita
di un nuovo circuito istituzionale, si palesavano
difficoltà non trascurabili all'interno dei circuiti
formali e consolidati.
Lunga è stata l'attesa
del regolamento, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale solo
il 1 febbraio 1999 (d.P.R. 31 marzo 1998, n. 501);
faticoso è stato l'approdo, sempre nel febbraio di
quest'anno, ad un provvedimento indispensabile, quello
che definisce la complessiva situazione del personale
(d.l. 26 febbraio 1999, n. 51); difficile permane il
rapporto con alcune strutture amministrative.
Dobbiamo dar atto alla
Presidenza del Consiglio dello sforzo fatto nell'ultima
fase per chiudere definitivamente la partita
organizzativa, sì che oggi possiamo ben dire che i
maggiori problemi sono alle nostre spalle, anche se non
sarà breve il tempo necessario per tradurre i
provvedimenti in concrete attività organizzative.
Permangono, invece, diversi altri problemi, in primo
luogo quelli legati alla mancata consultazione del
Garante, come vuole l'art. 31.2 della legge n. 675, su
diversi atti normativi e amministrativi che pure
interessavano la protezione dei dati personali e
contenevano specifiche norme in materia. Qui non sono
tanto le prerogative formali del Garante ad essere
vulnerate: sono messe in discussione le garanzie dei
cittadini per la cui salvaguardia, appunto, si è voluto
prevedere il parere obbligatorio del Garante. Peraltro,
la mancanza di tale parere determina un vizio della
procedura di adozione dei provvedimenti con immaginabili
e non lievi conseguenze. Ci auguriamo, quindi, che una
più energica azione della Presidenza del Consiglio possa
consentire il definitivo superamento di questa
situazione, che certamente non favorisce il buon
andamento dell'azione amministrativa.
Di alcuni atteggiamenti
dell'amministrazione, ad ogni modo, conviene parlare
ancora per un momento. La documentazione delle resistenze
al cambiamento da parte di ogni apparato appartiene da
tempo agli studi sulle organizzazioni pubbliche e
private. Ma è nostro preciso dovere ricordare che in
molti casi, puntualmente documentati nella Relazione,
queste resistenze hanno provocato carenze
nell'informazione dei cittadini, mancata nomina di
responsabili e incaricati dei trattamenti, genericità
della regolamentazione di cornice di nuovi strumenti
rilevanti per il trattamento di dati personali, ritardo
nell'emanazione di atti importanti anche per il settore
privato, come il regolamento di sicurezza. Ma,
soprattutto, qui si è talvolta manifestato un ritorno
verso una chiusura della macchina amministrativa, che ha
fatto ricorso alla "privacy-alibi" per cercar
di ridurre la trasparenza dell'attività, costringendo il
Garante ad interventi che lo hanno trasformato, come si
è detto, in un vero e proprio Garante "della
trasparenza". L'amministrazione rischia così di
contribuire al diffondersi e al radicarsi di un fenomeno
che ci preoccupa assai, e al quale ci ripromettiamo di
dedicare la massima attenzione nei prossimi mesi, cioè
una disapplicazione della legge anche in momenti e
situazioni di particolare rilevanza.
Al Garante potrebbe esser
mosso un rimprovero, appunto quello di non aver
esercitato in questa direzione un'adeguata vigilanza,
anche perché, proprio in occasione della presentazione
della Relazione dell'anno scorso, si era manifestata la
consapevolezza del problema. Bisogna, tuttavia, tener
conto di due fattori. Il primo riguardava l'assenza del
regolamento, e dunque di tutte le garanzie legate allo
svolgimento di una attività ispettiva che può avere
conseguenze assai pesanti, anche sul piano penale, una
volta accertate violazioni della legge. Il secondo era
legato all'esiguità del personale, che ha imposto un
ordine di priorità nel quale risultavano assolutamente
preminenti i provvedimenti relativi al fiume di
segnalazioni, reclami, quesiti, ricorsi.
Ora quest'insieme di
fattori negativi è, almeno formalmente, superato. Ci
avviamo, quindi, verso una fase nella quale l'attività
di ispezione andrà via via assumendo la sua giusta
importanza, né vessatoria, né compiacente. Un'attività
indispensabile: non solo per cancellare sacche di non
applicazione della legge, ma anche per evitare disparità
di trattamento, soprattutto nel settore privato, tra
operatori che hanno attuato la disciplina sui dati
personali, sopportando i relativi costi, e operatori che
disapplicano la legge, raccolgono i dati in maniera
scorretta e finiscono così con l'esercitare anche una
forma di concorrenza sleale, che danneggia altri
imprenditori e vanifica le garanzie per i cittadini.
Queste non sono soltanto ipotesi. Informazioni da noi
raccolte sull'andamento in alcuni settori, come quello
del direct marketing, provano come l'attenta applicazione
della legge n. 675 abbia avuto anche effetti di
moralizzazione, eliminando operatori poco corretti o
scarsamente affidabili.
E' evidente che questi
comportamenti virtuosi potranno proseguire e radicarsi,
determinando quel mutamento culturale che poi è la
ragione stessa della legge, solo se il Garante sarà
capace di dare una continua e piena assicurazione di
efficienza. E questa, per gli organismi che si pongono
come interlocutori diretti dei cittadini, viene di solito
misurata attraverso la capacità di risposta
istituzionale, e le attese più o meno lunghe dei
cittadini.
L'analisi dei dati
relativi a questo aspetto dell'attività del Garante
richiede alcune distinzioni. Se si volesse semplificare,
e dare una interpretazione blandamente trionfalistica del
nostro lavoro, si potrebbe mettere l'accento sul fatto
che, per quanto riguarda lo strumento più importante
nelle mani dei cittadini, cioè i ricorsi, non esiste
nessun arretrato. Si può aggiungere, anzi, che la
decisione del Garante arriva in tempi brevissimi, i venti
giorni prescritti dalla legge, anche se proprio
l'esperienza di queste ultime settimane ci fa ritenere
che un termine più congruo potrebbe consentire una più
adeguata presenza delle parti ed un miglior
approfondimento delle questioni, come vuole la natura di
"giustizia alternativa" che caratterizza questo
aspetto dell'attività del Garante.
Ma non ci si può fermare
a questo dato, pur rilevantissimo, senza velare la
realtà complessiva e rischiare di cadere prigionieri
d'una contraddizione. Si ricordava prima che una delle
decisioni più impegnative del Garante è stata quella di
offrire ai cittadini un accesso ampio e non formalizzato:
non si può trascurare, quindi, la situazione relativa a
segnalazioni, reclami, quesiti, che rappresentano la gran
massa delle richieste rivolte al Garante. Qui l'esiguità
delle risorse a disposizione dell'ufficio ha determinato
ritardi, che non possono essere sottovalutati. E' vero
che molte richieste hanno ricevuto indiretta risposta
attraverso provvedimenti del Garante che decidevano
questioni analoghe o prossime; attraverso l'opera di
chiarimento, anche telefonico, della portata della legge;
attraverso pareri generali dati ad organismi
rappresentativi di intere categorie. E tuttavia queste
considerazioni ci sembrano insufficienti, sì che abbiamo
già deciso di destinare al presidio di questa frontiera
forze ben più consistenti di quelle finora disponibili,
e che non era possibile accrescere fino a che non fossero
state approvate le norme sull'aumento del personale.
E' per questo motivo, e
non per una modesta mania di grandezza, che abbiamo
insistito presso Governo e Parlamento perché al Garante
fossero messi a disposizione i mezzi umani e finanziari
indispensabili per svolgere un compito la cui ampiezza
non era prevedibile al momento dell'entrata in vigore
della legge. Muovendosi in tale direzione, non è
necessario considerare soltanto la dimensione
quantitativa. Davanti a noi sta pure il compito di
definire più precisi e rigorosi percorsi procedurali
anche per gli strumenti diversi dai ricorsi, ai quali si
affida la grande maggioranza dei cittadini. Queste sono
regole che il Garante può definire autonomamente, grazie
ai poteri che ormai gli sono stati riconosciuti.
Sia per disegnare meglio
le modalità del proprio agire, sia per stimolare la
necessaria cooperazione di altre istituzioni, dunque,
rimane indispensabile una continua iniziativa del
Garante. Che, tuttavia, non può essere autoreferenziale,
finalizzata unicamente alla maggiore efficienza
dell'ufficio. E' la stessa legge ad imporgli il dovere di
segnalare al Governo l'opportunità di Provvedimenti
legislativi richiesti dall'evoluzione del settore e di
stimolare una produzione normativa qualitativamente
diversa, che coinvolga le categorie interessate,
approdando a codici di deontologia e buona condotta, che
il Garante verifica e di cui contribuisce a garantire
diffusione e rispetto.
Il nuovo circuito
istituzionale si arricchisce così in una ulteriore
direzione, con una significativa innovazione sul terreno
delle fonti del diritto. E' una dinamica che si coglie
già nella dimensione internazionale e che, accanto ai
tradizionali "produttori" di norme, vede
crescere il ruolo di altri soggetti, in particolare
privati. A questi si riconoscono spazi di autonomia, che
tuttavia non si presentano come fine a se stessi, ma
rappresentano la premessa di forme originali di
integrazione con l'azione di soggetti pubblici.
In Italia questa tendenza
ha avuto la manifestazione più significativa nel Codice
di deontologia dell'attività giornalistica, entrato in
vigore il 29 luglio 1998. L'innovazione è grande
perché, dietro la formula tradizionale del codice
deontologico, in realtà si trova una normativa
secondaria che, pur fondata sulla previsione dell'art. 25
della legge n. 675, è il risultato della collaborazione
tra il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti e
il Garante per la protezione dei dati personali. Si
tratta di un insieme di norme che si rivolgono a tutti
coloro i quali operano nel sistema dell'informazione,
iscritti o no all'albo dei giornalisti; sono applicabili
quindi anche in sede giurisdizionale; e, soprattutto,
trovano la loro fonte immediata in un potere affidato
integralmente ad un soggetto privato (l'Ordine) e ad una
autorità indipendente.
Il Codice è nato tra
furibonde polemiche, suscitate soprattutto da chi
indicava in quel testo uno strumento limitativo del
diritto d'informazione e nel Garante l'incarnazione di un
nuovo censore. Ora quelle polemiche, più che infondate,
appaiono lontane, e al suo posto troviamo significativi
riconoscimenti di tutte le associazioni rappresentative
dei giornalisti, che hanno indicato quel testo come un
significativo punto di equilibrio tra due valori in
eterna tensione, cronaca e riservatezza. E, con il
passare del tempo, è probabile che si apprezzerà sempre
di più che le regole contenute in quel codice
rappresentano pure un importante elemento di garanzia per
i giornalisti, la cui attività non potrà essere più
giudicata secondo criteri, non dirò arbitrari, ma
eccessivamente discrezionali.
Questa vicenda, ad ogni
modo, ha proiettato il Garante sulla frontiera certamente
più esposta, quella appunto del sistema
dell'informazione, essenziale per la comunicazione tra il
Garante e i cittadini ma che può anche determinare una
presentazione della nostra attività comprensibilmente
condizionata dalle specifiche esigenze professionali dei
giornalisti. E tuttavia, malgrado distorsioni e
incomprensioni, molti timori e molti fantasmi sono stati
dissipati dalla forza dei fatti, dall'esperienza concreta
di questi pochi mesi.
Quando, ad esempio, il
Garante intervenne nella materia dei cosiddetti
"fuori onda", segnalando la necessità di
evitare la diffusione di immagini raccolte all'insaputa
di un soggetto invitato ad una trasmissione per finalità
diverse, non ci si limitò ad esercitare un più che
legittimo diritto di critica verso quella decisione. Con
toni aggressivi si disse che non sarebbe stato più
possibile render note indiscrezioni, diffondere foto che
non fossero "posate", e via dicendo.
Nessuna di queste
previsioni pessimistiche si è verificata. E non perché
il Garante abbia poi adottato interpretazioni più
"benevole", ma perché nulla nel suo
provvedimento autorizzava quella conclusione. Questo non
vuol dire che siano mancate difficoltà tuttavia legate
spesso al fatto che l'entrata in vigore della legge n.
675 ha, in questa materia come altrove, amplificato
segnali in passato deboli, determinato una rinnovata
attenzione istituzionale e sociale per norme a tutela
della riservatezza che, già presenti nell'ordinamento,
erano tuttavia inapplicate. Si coglie qui un altro
effetto di sistema di questa legge, consistente appunto
nell'aver dato un centro ed una rinnovata forza a
discipline sparse e disorganiche (norme sui minori, sulla
violenza sessuale, sull'uso delle manette), con una
particolare evidenza della "privacy-rispetto".
Al di là delle singole
vicende, nel sistema dell'informazione è venuta
crescendo una spontanea adesione non tanto a questa o
quella norma della legge n. 675, quanto piuttosto ai
valori che questa intende promuovere. Non è un caso che
il Codice di deontologia, e significative decisioni del
Garante, facciano intenso riferimento alla dignità della
persona come costante ed ineliminabile principio di
riferimento.
Il segno della percezione
dell'alto significato di questa prospettiva si coglie non
soltanto nella più rispettosa presentazione di molte
notizie, ma negli interventi di molti ordini regionali e,
soprattutto, nel fatto che a sollecitare l'intervento del
Garante siano stati, in casi particolarmente delicati,
gli stessi giornalisti, individualmente o attraverso i
loro organismi associativi. Tuttavia, proprio l'analisi
di questi casi, come quello triste e recente della
ragazza uccisa a Gravina, ha messo in evidenza come
all'origine di molte notizie giudicate lesive della
riservatezza vi sia non un comportamento aggressivo del
giornalista, ma la violazione di segreti investigativi,
professionali, d'ufficio. Il Garante ha così evitato di
indicare nei giornalisti gli unici responsabili di
eventuali violazioni, e ha preso specifiche iniziative
per impedire "alla fonte" il sorgere di tali
violazioni. In questa prospettiva si è rivelata
particolarmente importante la collaborazione con la
Polizia di Stato, l'Arma dei Carabinieri, la Guardia di
Finanza e la Polizia penitenziaria, che stanno mettendo a
punto regole per evitare, fuori dei casi in cui ciò
corrisponde a necessità istituzionali, le traduzioni in
manette e la diffusione di foto segnaletiche.
Ma non corrisponderebbe
alla realtà dei fatti una rappresentazione dei rapporti
tra sistema dell'informazione e attività del Garante
integralmente risolta nella crescita di limitazioni. Il
Garante ha agito e continua ad agire come
"istituzione della trasparenza", tanto che
quasi un terzo dei suoi provvedimenti va proprio in
questa direzione. E' così cresciuta la disponibilità di
informazioni rilevanti alle quali i giornalisti possono
liberamente accedere, come dimostrano diversi
provvedimenti, relativi ad esempio a retribuzioni e
incarichi. Lungi dall'essere compresso, il giornalismo
d'inchiesta trova così nuovi canali e materiali.
La costruzione progressiva
di un nuovo circuito istituzionale, tuttavia, non può
passare soltanto attraverso comportamenti virtuosi e
interpretazioni che valorizzano la nuova dimensione
individuata dalla legge n. 675 e dai suoi principi. E'
indispensabile il completamento del sistema voluto dal
legislatore attraverso la delega contenuta nella legge n.
676 e il suo rinnovo. Alcuni decreti legislativi sono
già stati emanati, ma rimangono da regolare materie
complesse e di grandissima rilevanza, come sono quelle
che riguardano i dati sensibili di cui dispone la
pubblica amministrazione, i dati sulla salute,
l'attività di direct marketing, le reti telematiche, e
quindi uno dei fenomeni oggi più importanti su scala
mondiale, Internet. I futuri decreti delegati, inoltre,
offriranno pure l'occasione per risolvere alcuni problemi
applicativi sottolineati dall'esperienza di questi due
anni, che il Garante ha già messo in evidenza e ora
segnala nella sua Relazione.
E' probabile che, una
volta completato l'intervento legislativo, divenga
necessaria la redazione di un vero e proprio testo unico,
che non solo renda immediatamente percepibile l'ampiezza
del nuovo quadro normativo, ma ne faciliti la
comprensione. Continuiamo a rilevare, infatti, casi di
scarsa attenzione per la stessa lettera delle norme.
Questa constatazione sollecita il Garante a promuovere
una conoscenza più diretta e un accesso più immediato
all'insieme delle norme, ai suoi provvedimenti e a tutto
il materiale rilevante, compreso quello internazionale.
L'ormai imminente apertura del nostro sito Web e di un
centro di documentazione, la previsione di borse di
ricerca contribuiranno alla creazione di una
indispensabile cultura diffusa.
Questo è tanto più
necessario in quanto la tutela dei dati personali non
costituisce una materia compatta, in qualche modo
settoriale. Si diffonde, invece, in tutta la società, in
ogni sua articolazione, investe l'attività economica, i
comportamenti istituzionali, le scelte individuali. E'
quindi più difficile, o comunque più lenta, la nascita
di "esperti della privacy", capaci di
abbracciare ogni interesse e ogni settore. Viene così
confermata la necessità di una forte presenza del
Garante, tuttavia né accentratrice né autoritaria, ma
che mantenga e promuova significative forme di
collaborazione nei diversi settori, come peraltro già
avviene.
Mi limito qui a ricordare
che, conformando una prassi seguita nel passato, il
Garante ha promosso consultazioni informali attraverso la
pubblicazione di bozze di suoi documenti sulla stampa,
sollecitando le osservazioni di tutti gli interessati. Ha
svolto indagini conoscitive, come quella che ha
riguardato gli oltre 800 modelli sottoposti ai clienti
delle diverse banche o quella, appena avviata, sulla
videosorveglianza, che è fenomeno che si diffonde con
straordinaria rapidità, sul quale il Garante è già
intervenuto e che, comunque, richiede un tempestivo
intervento legislativo.
Torna così il tema
dell'infinita frontiera lungo la quale si distende
l'attività del Garante. Che diventa ancor più
impegnativa se si considera la dimensione internazionale,
anzi mondiale, dei problemi, com'è nella natura stessa
della società dell'informazione. Qui, nel flusso
incessante di dati che percorre il mondo, i confini
nazionali sono una convenzione sempre più precaria, e
quindi la stessa tutela delle informazioni personali
esige regole comuni e forme di coordinamento che diano
vita ad un circuito istituzionale che superi le
frontiere.
Tra mille difficoltà e
resistenze, soprattutto da parte di chi pensa che le
regole del mercato possano sostituire ogni altra regola,
la costruzione di questo circuito va avanti. E qui il
ruolo dell'Italia è quello di un paese che conosce molte
precarietà tecnologiche, ma che sul piano istituzionale
è riuscito a guadagnare una posizione di primissimo
piano, sopravanzando anche paesi di più lunga
tradizione. Si sommano la tempestiva trasposizione delle
direttive europee sui dati personali e sui servizi di
telecomunicazioni, le norme sul documento elettronico e
la firma digitale, le iniziative per l'informatica nella
pubblica amministrazione, le sperimentazioni delle reti
civiche, la costituzione di un comitato dei ministri e di
un forum per la società dell'informazione. Si delineano
i tratti di una organizzazione istituzionale e sociale
pronta a frequentare il futuro. Ma, proprio per questo,
è necessaria un'azione più convinta, che componga in un
disegno coerente e incisivo le diverse iniziative, e che
non perda mai di vista l'esigenza di tutelare i diritti e
le libertà fondamentali, come esplicitamente vuole
l'art. 1 della legge n. 675.
La Relazione, che oggi
presentiamo, vuol essere un contributo anche in questa
direzione, nel suo forzo non solo di rendere conto di una
attività, ma pure di delineare i tragitti istituzionali
che determina. Ripetiamo l'auspicio, che già formulavamo
l'anno passato, di una sua discussione in Parlamento.
Questa può rappresentare
uno dei momenti più significativi per meglio definire il
ruolo delle autorità indipendenti, come auspicava il
Presidente della Repubblica intervenendo proprio alla
presentazione della nostra Relazione dell'anno scorso.
Conosciamo le polemiche che, nella fase più recente,
hanno riguardato queste istituzioni. E penso che siamo
tutti consapevoli della necessità di non mettere a
rischio proprio quell'indipendenza che è la loro ragion
d'essere.
Ma un ripensamento è
necessario, anche per chiarire, come già aveva cercato
di fare la Commissione bicamerale per le riforme
istituzionali, quali siano i requisiti perché si possa
dire d'essere davvero in presenza d'una autorità
indipendente. D'altra parte, già si delineano i diversi
strumenti che consentono di mantenere piena
l'indipendenza, senza però trasformarla in separazione
istituzionale: discussione parlamentare delle relazioni,
audizioni da parte delle Camere, confronti a livello
europeo, procedure di massima trasparenza, controllo
giurisdizionale sui provvedimenti, controllo contabile
sull'attività.
Ma ogni meccanismo
istituzionale non deve perdere di vista i valori da
tutelare. Il Garante ha respinto la tentazione, sempre
presente purtroppo in una parte della cultura giuridica,
di considerare le indicazioni di principio contenute
nell'art. 1 della legge come una pura enunciazione
retorica, priva di concreta portata normativa. I
riferimenti ai diritti ed alle libertà fondamentali, al
principio della dignità della persona, sono stati la sua
bussola.
E' per questa ineludibile
ragione che in diversi settori, da quello fiscale a
quello delle indagini di polizia, abbiamo incessantemente
richiamato l'attenzione sulla necessità di non
abbandonarsi ad una deriva tecnologica che, utilizzando
le infinite e crescenti possibilità di trattamento delle
informazioni, avvolga la società intera in una rete a
maglie fittissime. Proprio perché vogliamo che si possa
continuare a parlare di "tecnologie della
libertà", dobbiamo evitare che lo strumento
tecnologico venga invece piegato alla costruzione di una
società della sorveglianza e della classificazione.
Dobbiamo evitare un inquinamento tecnologico
dell'ambiente delle libertà civili e politiche.
Riteniamo che il Parlamento abbia voluto il Garante come
presidio dei nuovi diritti nella società
dell'informazione.
Nell'azione nostra
quotidiana pensiamo d'aver contribuito all'inveramento di
essenziali valori costituzionali. Anche in questo secondo
anno di attività crediamo d'aver operato per liberare la
tutela dei dati personali dall'angustia delle
interpretazioni che vorrebbero chiuderla in una sorta di
presidio dell'egoismo. Abbiamo cercato, in ogni momento,
di guardare ad essa come ad una componente essenziale
della cittadinanza, dunque come ad uno strumento per un
complessivo arricchimento individuale e sociale.
Il lavoro era, e rimane,
difficile. Thomas Stearns Eliot diceva che non possiamo
"sopportare troppa realtà". Ma proprio al
carico del reale non è dato sottrarci. E non per
presunzione, ma perché questo è il compito che ci è
stato affidato.
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