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 Il diritto di accesso

Dov'è nascosto il "codice della privacy"?
di Daniele Coliva - 10.07.03

Sul sito del Governo l'annuncio è del 27 giugno scorso: il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo "Codice delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali". Ma il link "documenti correlati" non porta a nulla.

Leggo il lancio ANSA sulla conferenza stampa del Presidente del consiglio a Cernobbio, e mi compiaccio della affermazione che lo sviluppo del web è una delle missioni del governo, anche se il "ueb" è già sviluppato a sufficienza per conto proprio, forse troppo.
Poi passo a consultare il sito del governo italiano, alla ricerca dei provvedimenti del Consiglio dei ministri e non trovo altro che comunicati stampa, quelli stessi riprodotti non solo dalla stampa generalista, ma anche da quella specialistica. Nessuna traccia, o quasi, di decreti legislativi, schemi di disegni di legge, regolamenti, e così via.

Qualcosa si trova, come ad esempio il testo del decreto legislativo sulla istituzione di sezioni specializzate dei tribunali competenti per le controversie in tema di proprietà industriale, reperibile sul sito del Ministero della giustizia.
Se si vuole invece cercare il "codice della privacy", allora gli sforzi sono inutili: non si trova. Eppure esiste, dal momento che il presidente Ciampi l'ha promulgato, come si legge sul sito del Quirinale nella sezione "atti firmati".

Per fortuna i trasporti e le linee di comunicazione oggi sono rapidi ed hanno in sostanza annullato gli spazi, e possiamo abbandonare la vacatio legis proporzionale alla distanza dalla capitale (Milano, all'epoca) utilizzata nel 1806 per il Codice civile per il Regno d'Italia di Napoleone il Grande. Non ci resta che darci appuntamento per l'aperitivo serale al Poligrafico dello Stato per mettere le mani sulla Gazzetta ufficiale fresca di stampa, anzi sul supplemento ordinario, date le dimensioni del codice.

Rimane la perplessità per una produzione normativa affidata a comunicati stampa e non alla divulgazione immediata dei testi dei provvedimenti, e ciò a maggior ragione quando si afferma a gran voce la vocazione, anzi la mission comunicativa del governo. Non ci si lamenti poi della scarsità, anche qualitativa, di informazione, quando lo stesso autore delle informazioni è così restio a metterle a disposizione del pubblico dei destinatari.
Il caso del codice della privacy (ci si perdoni la denominazione atecnica) è un esempio tra molti, anche se è singolare il riserbo proprio su questo atto normativo. Si provi a scorrere la serie dei comunicati dei singoli consigli dei ministri, il solo documento correlato presente è il comunicato stampa medesimo.

La richiesta avanzata all'ufficio stampa del Garante provoca una risposta quasi scandalizzata: è un decreto legislativo, l'eventuale diffusione prima della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale è affare del Governo.
"Niet" anche dal Quirinale: l'ufficio stampa rimanda a quello per gli affari giuridici, dove risponde un sistema automatico degno di un'azienda commerciale. Quando si riesce a parlare con un umano il responso è categorico: "Dopo la firma del Presidente della Repubblica il testo viene restituito al Governo".

Ma la legge non è un prodotto da vendere, si pubblica e basta, e anche subito, pur con le avvertenze del caso sulla accuratezza del testo (l'esempio della Corte costituzionale è puntualissimo). E' ormai inaccettabile, oltre che contraddittorio, che trascorrano giorni prima di leggere anche solo lo schema, e che sia possibile esaminarlo solo grazie all'amico dell'amico.
Le tecnologie esistono da anni, lo sforzo per pubblicare è minimo, occorre la volontà. E allora potremo dirci cittadini e lo Stato potrà pretendere la piena osservanza dei provvedimenti, senza che si possano invocare vuoti informativi o situazioni paradossali, come quella recentissima delle modifiche al codice della strada, il cui tecnicismo è stato travalicato dalla inevitabile ed inopportuna semplificazione giornalistica, con i ben noti problemi di applicazione.

Ma il "segreto legislativo" dovrebbe in molti casi essere abbattuto anche per i provvedimenti in discussione, specialmente quando si tratta di atti normativi destinati ad incidere profondamente in una materia di grande importanza. Si pensi a quanto fu efficace, a suo tempo, la pubblicazione delle bozze del primo decreto sulla firma digitale: la stesura finale poté sfruttare i contributi di molti addetti ai lavori. E quanto sarebbe stata utile oggi una discussione sulle ultime modifiche al testo unico sulla documentazione amministrativa! Almeno si sarebbe evitata la pessima figura della "autentificazione", poi rivelatasi un refuso, con le relative battutacce sui lapsus freudiani del legislatore.