Il cittadino del 2000: lo
Stato sono io!
di Enrico Maccarone*
- 06.01.2000
"Lo Stato sono io"!
Chissà se vedrò mai il giorno in cui, non da "Roi Soleil" ma da
semplice cittadino e contribuente, mi sarà concesso di fare tale affermazione.
I film americani ci hanno da tempo abituati a frasi del tipo "attenzione a
ciò che ne pensano i contribuenti" oppure "guai a te se spendi
inutilmente il denaro dei contribuenti"... ma l'Italia non è America.
Come tutti i miei coetanei cinquantenni ho un
vissuto da cittadino di uno Stato assistenzialista e sciupone la cui azione è
sempre stata finalizzata allo sperpero del denaro pubblico, alla creazione di
poltrone variamente riscaldate, al mantenimento per se stesso di tutto ciò che
costituisce informazione (da chiunque l'informazione venga fornita).
Oggi ci viene detto che questo modo di amministrare non esiste più, etc. etc.
Ci credo poco, ma nello stesso tempo sono convinto che i mutamenti culturali e
normativi degli ultimi anni hanno posto le basi per un profondo cambiamento dei
rapporti tra Stato e Cittadino (finalmente, e spero presto, con la C maiuscola).
E' vero che siamo soltanto agli inizi, ma la strada sembra essere ben
tracciata ed in molti di noi sembrano non mancare sia la forza sia il coraggio
di percorrerla.
Sarà percorrendo questa strada che ciascuno potrà sempre più a buon diritto
affermare "lo Stato sono io!" E con molto ottimismo - forse
eccessivo - auguro a tutti noi di poterlo fare sin dal 2000.
Ma cosa c'entra tutto ciò con l'informatica?
Molto!
Ripeto "molto", perché proprio grazie all'informatica ed alla
capillare diffusione dell'internet potranno esse abbattuti tanti ostacoli la
cui presenza giustifica i timori di quanti, come il Prof. Stefano Rodotà,
paventano la divisione della società moderna in "inforicchi" ed
"infopoveri".
La diffusione delle reti è oramai un qualcosa di inarrestabile, e l'arma
migliore per evitarne i danni è proprio quella di favorirla, quasi come se si
trattasse di iniettare un vaccino: favorire l'internet significa diffonderla
sempre più, creando una società di "inforicchi" capace di sviluppare
i propri "anticorpi" e quindi - ovviamente in un lasso di tempo più o
meno breve - incapace di produrre "infopoveri" in quantità
significativa.
L'essere "inforicchi" non costituisce
né deve costituire un privilegio, ma la situazione ordinaria e diffusa, ed il
limite massimo di tale status è dato dalla normale capacità di potere
utilmente e senza difficoltà usufruire dei servizi disponibili in rete; un
limite superato il quale si diviene specialisti dell'informatica, ed è tutt'altra
previsione.
Accettare un concetto di parità Cittadino-Stato significa anche, favorendo l'internet,
promuovere l'accesso alle reti e con esso quello alle basi dati pubbliche,
cioè a quelle basi dati che noi stessi, col nostro operare quotidiano o
addirittura per il semplice fatto di esistere, alimentiamo in qualità di
fornitori di informazioni o (pessima definizione) quali elementi di informazione
(l'uomo ridotto a un dato: che tristezza!).
Parità significa anche trasparenza: accedere
alle basi dati pubbliche significa esercitare un controllo sull'attività
statuale, ed è un controllo che da Cittadino pretendo di potere esercitare in
qualsiasi momento. E' ovvio che esistono settori (sicurezza nazionale,
giustizia, etc.) nei quali la riservatezza o addirittura la segretezza sono d'obbligo:
certamente non mi riferisco ad essi. Ma nella maggior parte dei casi non vedo
alcun motivo per limitare l'accesso all'informazione statuale, o per
subordinarlo al pagamento di diritti più o meno esosi.
Alcuni esempi:
- se costituzionalmente viene garantita la par
condicio tra accusa e difesa, tra giudice ed avvocato, perché far pagare al
privato la consultazione del CED della Corte di Cassazione mantenendola gratuita
per il magistrato? (con l'assurdo nell'assurdo: il G.O.A. paga tale
consultazione al pari del privato)
- stesso discorso per la normativa: se tutti
dobbiamo conoscere le norme di legge cui siamo sottoposti (una conoscenza, come
sappiamo, juris et de jure), perché limitarne la consultazione gratuita
soltanto alla pubblica amministrazione e non offrire gratuitamente la stessa
consultazione ai Cittadini?
- perché per conoscere la base imponibile delle
imposte fondiarie mi si obbliga (non esplicitamente, è vero, ma non esistono
agevoli alternative) alla esecuzione di una visura catastale, dal costo modesto
ma pur sempre a pagamento. Pago una tassa per pagare le tasse: assurdo!
- perché per conoscere la solvibilità o la
situazione ipotecaria del mio interlocutore - e quindi anche a fini di ordine
pubblico e nell'interesse generale dell'economia - debbo pagare le
informazioni che richiedo?
Ordinariamente a tali domande viene fornita una
risposta molto banale: "Si tratta di servizi che costano". E' vero,
ma se vediamo le componenti di tali costi e cerchiamo di capire meglio come
funzionano le cose, ci rendiamo allora conto che molto può farsi per rendere a
noi stessi la vita più semplice e, più in generale, per portare liberamente e
gratuitamente al Cittadino tutti quei servizi di informazione amministrativa e
legale che sappiamo essere divenuti oramai indispensabili per favorire il buon
andamento dei rapporti economici e patrimoniali, ma le cui chiavi sono in mano
soltanto alla pubblica amministrazione, o agli "utenti esterni
abilitati".
Le spese di impianto del sistema informativo
pubblico sono state già sostenute, da tempo: ad esse si è fatto fronte con
denaro della collettività, dei contribuenti, nostro. Altro discorso per la
gestione, che comprende sia gli aggiornamenti di macchinari e programmi, sia il
trattamento dei dati e la loro elaborazione o disponibilità.
Che tale attività abbia un costo è innegabile, ma a mio giudizio è
altrettanto innegabile il fatto che al Cittadino vengano richiesti
"balzelli" sempre più esosi, non più rapportabili al costo reale del
servizio prestato o richiesto. Costo reale e non valore: lo Stato non fa
commercio.
Ancora peggio l'imporre tali balzelli quando
colui che richiede la consultazione dei dati è la stessa persona che tali dati
ha fornito. L'attuale sistema, peraltro (pur non essendo certamente questa l'intenzione
di quanti lo hanno così concepito), genera situazioni di inaccettabile
diseguaglianza, poiché collega il costo del servizio (mi riferisco in
particolar modo a quello ipotecario) non tanto all'interesse garantito quanto
alle soggettive vicende patrimoniali ed economiche del soggetto
"ispezionato".
Mi spiego meglio con un esempio: il 1999 è stato
caratterizzato da una notevole attività finalizzata alla redazione delle
certificazioni notarili ex L. 302/98 (esecuzioni immobiliari). Nella
mia personale esperienza, e fermo restando l'ammontare del credito esecutato,
non mi è mai capitato di sostenere i medesimi costi di visura per procedure tra
loro similari: tali costi (che un criterio di equità vorrebbe eguali per
vertenze di valore eguale) sono stati sempre differenti per ciascuna relazione,
da poche decine di migliaia di lire fino a diversi milioni, sempre in rapporto
alle vicende patrimoniali dell'esecutato.
A mio giudizio ciò è immorale.
A tali costi si aggiungano poi quelli che lo
Stato sostiene per la loro esazione (in termini di personale, gestione
contabilità, rischio-denaro, software, sistemi di account, etc.), ben spesso
uguali o addirittura superiori all'ammontare dei ricavi. Basti a tal fine
ragionare sui dati forniti dal Ministero delle Finanze per l'anno 1998: in
tutto l'anno il sistema di visure catastali on-line ha fruttato ricavi per
appena 3,5 miliardi di lire ... ma non è dato sapere quanto si è speso per
incassare tale folle cifra! Ridicolo.
Mi viene un dubbio: allora lo Stato è un altro?
Non sono io?
E se cambiassimo le regole del gioco?
E' possibile favorire la formazione di quel Cittadino da me tanto amato?
Penso di sì, ed anche in modo abbastanza semplice: eliminando buona parte delle
incognite cui ho fatto cenno e rendendo il tutto più facile e trasparente.
E' scontato il fatto che gestire un sistema informativo ha un costo, e che
tale costo per (giusta?) regola generale deve essere distribuito tra coloro che
utilizzano il sistema.
Ciò posto, quale difficoltà esiste per gravare di tale costo soltanto il
"momento" della immissione - spesso obbligatoria - di ciascuna
informazione, con l'ovvia e conseguente abolizione di ogni richiesta di
diritti e balzelli per la consultazione del sistema stesso e di ogni base dati
"pubblica"?
Penso nessuna.
Tale piccola rivoluzione consentirebbe il
raggiungimento di diversi traguardi:
- l'abbattimento dei costi di gestione
- la gratuità della consultazione
- maggiore facilità di accesso all'informazione
- maggiore distribuzione dell'informazione
stessa
- eliminazione di onerosi investimenti per la
liquidazione, fatturazione e riscossione di diritti e balzelli vari.
- minore necessità di personale impiegatizio .
Senza alterare minimamente il sistema di garanzie
che ben conosciamo, ciò aiuterebbe a raggiungere con maggiore facilità quella
situazione di parità Cittadino-Stato di cui ho detto e si renderebbe più
trasparente e fluido un intero sistema di rapporti socio-economici.
Non è certo l'uovo di Colombo, ma toglieremmo così qualche pietra dal nostro
cammino.
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emaccarone@notariato.it
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