In ogni invito a cena c'è
qualcuno che paga il conto
(ovvero, attenzione alle note del Pifferaio
Magico)
di Andrea Monti - 09.09.99
(Per gentile concessione di WebMarketing
Tools)
Una storiella molto nota nell'ambiente dei
commerciali racconta di due venditori di scarpe che nell'affannoso tentativo
di aprire nuovi mercati arrivano fino in un paese del terzo mondo. Uno dei due
- constatando che la popolazione non aveva praticamente idea di cosa fosse una
calzatura, scrive alla sede centrale dicendo: "tutti scalzi, mercato
inesistente, torno alla base". Il secondo invia una messaggio totalmente
diverso: "tutti scalzi, mercato vergine, apro filiale".
La situazione dell'internet è pressappoco la stessa: un mercato
potenzialmente molto esteso ma disinteressato o refrattario al prodotto,
letteralmente invaso di venditori disperatamente in cerca di idee per riuscire
- se non a guadagnare - a tenere in piedi la filiale aperta sull'onda dell'entusiasmo.
Uno dei sistemi più gettonati del momento è quello di offrire servizi internet
gratuiti e infatti - dopo un avvio stentato - si è diffusa a macchia d'olio
la tendenza a regalare di tutto, dalla posta elettronica alle home-page fino ad
arrivare all'accesso all'internet e - pare - ai personal computer.
Non pagare non sempre vuol dire
"gratis"
Peccato che non è tutto oro quello che luccica e che molte iniziative
nascondono insidie e inganni, a partire dal fatto che in realtà praticamente
nessuno di questi servizi è veramente gratuito.
Certo, per la home-page o per l'accesso all'internet all'utente non viene
chiesta alcuna contropartita in denaro, ma questo non significa che il rapporto
con il provider sia privo di contenuto patrimoniale (anche perché altrimenti
giuridicamente non esisterebbe il contratto).
In cambio di una manciata di byte - pochi mega, in molti casi - l'utente
ospita pubblicità sul proprio spazio o cede al "magnanimo" provider i
propri dati personali (e in qualche caso anche quelli altrui). A fronte di una
"elargizione" quantificabile in poche centinaia di migliaia di lire
(il costo di un abbonamento all'internet) l'utente restituisce al provider
(sotto forma di pagine web che attirano traffico o di materiale per la creazione
di profili utenti) un "qualcosa" che ha un valore economico certamente
superiore a quello del servizio "gratuito". In altri termini questo
vuol dire che l'utente paga salatamente - in natura, ma comunque paga
- ciò di cui usufruisce. Con un piccolo particolare: che con la scusa del
finto-gratis egli viene espropriato dei suoi diritti. Il provider non ha il
dovere di fornire un servizio continuativo, può risolvere il contratto in
qualsiasi momento, l'utente deve subire spamming e accettare di vivere come un
pesce rosso nella boccia di vetro, controllato in ogni singolo palpitare di
branchie.
Un paio di esempi pratici
Recentemente Geocities, acquistata da Yahoo, cambia le regole per i suoi homstader
(gli abitanti) attribuendosi in modo unilaterale il diritto di riutilizzare in
qualsiasi modo (inclusa la realizzazione di CD contenenti le pagine degli
utenti, o la pubblicazione dei testi e via discorrendo) il materiale presente
sui suoi server. E meno male che il servizio era gratuito! La protesta degli
utenti ha indotto Geocities ad una veloce marcia indietro (i cui contenuti
comunque meriterebbero di essere tuttavia ben approfonditi), ma questo non
cambia i termini della questione. I servizi sono certamente free ma nel
senso di "liberi da usare" e non - lo ripeto - in quello di
"gratis".
Anche l'Italia dal canto suo non scherza, come dimostra il servizio di accesso
"gratuito" denominato "Libero" e promosso da una campagna
pubblicitaria estremamente aggressiva. Come il canto della sirena, la melodia
dell'internet gratis ha ipnotizzato migliaia di navigatori di lungo e breve
corso che liberatisi (almeno così credono) dalla schiavitù dell'abbonamento
ora sono "liberi" di navigare pur al costo della sola (TUTt'ora
odiatissima Tariffa Urbana a Tempo). I poveri illusi non hanno letto, o se lo
hanno fatto, non lo hanno capito, il contratto che il fornitore propone loro. In
cambio di un accesso di modico valore si forniscono tanti e tali dati sulla
propria persona, da mandare in brodo di giuggiole il più algido dei
responsabili marketing.
Interludio
L'offerta in questione è strutturata secondo modalità contrattuali molto
discutibili, segnalate con un documento ben argomentato (reperibile su http://www.alcei.it
) da ALCEI all'Autodisciplina pubblicitaria, all'Antitrust e la Garante per
i dati personali. Ad oggi - siamo alla fine di luglio - dei tre soggetti
interpellati, solo il primo ha dato notizia di sé comunicando di avere ricevuto
la segnalazione, mentre i due Garanti sembrano essere in tutt'altre faccende
affaccendati. Magari fra qualche mese spunterà fuori una "vibrante
protesta" per il modo in cui è stata condotta la campagna pubblicitaria e
per la scarsa tutela dei dati personali, ma, come si dice, passata la festa,
gabbato il Santo. Chi mai - alle prese con il gadget del momento - si
ricorderà di queste cose? D'altra parte questo null'altro è se non lo
specchio dell'ipocrisia tipicamente italiana di un legislatore che sulla carta
prevede leggi, tutele e sanzioni, poi nella realtà produce lungaggini e
burocrazia.
Si al "baratto" purché trasparente
Torniamo a bomba. In via di principio, non mi sembra censurabile il fatto che
due soggetti si accordino per scambiare un servizio con dati personali o opere
dell'ingegno. Del resto l'autonomia delle parti lo consente, e potrebbe
anche essere uno strumento utile per lo sviluppo delle attività economiche sull'internet.
Sono molto meno disposto ad accettare comportamenti commerciali che si basano su
ambiguità e cavilli formalmente forse corretti ma sostanzialmente recettivi.
Specie quando speculano sull'ignoranza delle persone, ancora una volta viste
come limoni da spremere alla bisogna piuttosto che come clienti. Per dirla con
padre Dante dunque, è il modo ancor m'offende.
La prossima volta, nell'accettare l'invito a cena del Pifferaio Magico di
turno, informatevi per tempo su chi pagherà il conto.prima che sia troppo
tardi.
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