La convergenza annunciata, una
lezione da imparare
di Manlio Cammarata - 13.01.2000
Non c'è nulla di strano o che non fosse in
qualche modo prevedibile nell'accordo tra America On Line e Time-Warner, il
maggiore internet provider e il più grande gruppo editoriale del mondo. Altro
che paragoni con l'invasione degli extraterrestri di Orson Welles o annunci di
una nuova epoca: era tutto previsto e programmato da anni. La sola incertezza
poteva riguardare i nomi della prima coppia di "sposi" provenienti
dall'internet e dall'editoria, ma non c'è dubbio che sia AOL, sia Time-Warner
fossero da tempo tra i candidati più quotati in una gara che vedrà altri
sensazionali matrimoni di interesse. Qualcuno pensa che Bill Gates starà a
guardare, proprio lui che da anni acquista "contenuti" in tutto il
mondo?
Perché dunque proprio AOL e Time-Warner? La storia di AOL è troppo nota ai
"naviganti" per ripercorrerla qui; forse a noi italiani manca un'idea
precisa di che cosa sia Time-Warner, la società che ancora oggi si rifà al
pensiero di Henry Luce, il mitico fondatore di Time, e oggi controlla giornali,
televisioni, case discografiche e quant'altro si possa controllare nel mondo dei
media (se qualcuno vuole divertirsi con una "americanata" istruttiva,
dia un'occhiata a TIME-WARNER
Inc.: A Story of WINNERS and LOSERS).
Per capire le ragioni della
"normalità" dell'evento annunciato nei giorni scorsi basta risalire a
pochi anni fa, a quel 1993 in cui negli USA ebbe inizio la Digital Collision,
la "convergenza digitale" tra le industrie dell'informatica,
dell'elettronica di consumo, delle telecomunicazioni e dei media (Le
"Quattro C": Computing, Consumer electronics, Communications,
Contents). Le "autostrade dell'informazione" erano viste come
piattaforma comune della convergenza, secondo la filosofia di un documento
ancora oggi d'attualità: Technology for America's Economic Growth, A New
Direction to Build Economic Strenght, firmato il 22 febbraio 1993 da Bill
Clinton e Al Gore.
La prima "convergenza" che ebbe gli onori delle cronache mondiali fu
quella, annunciata il 14 ottobre di quell'anno, tra Bell-Atlantic, Corp, e
Telecommunications, Inc., per la rispettabile cifra di 33 miliardi di dollari,
circa 50 mila miliardi di lire di allora. Quel fidanzamento non si trasformò in
matrimonio, ma aprì la strada alla lunga serie di acquisizioni e fusioni che
oggi vede nel merger tra AOL e Time-Warner un episodio importante, ma
eccezionale solo per la dimensione economica, pari 346 mila miliardi di lire.
Torniamo a Time-Warner. All'inizio del '94 avviò
insieme a Silicon Graphics e Bell Atlantic un interessante esperimento di TV
interattiva nella città di Orlando, in Florida: naturalmente la prima società
disponeva dei contents, la seconda, in primo piano nel computing,
voleva mettere alla prova la complessa tecnologia dei suoi potentissimi server,
la terza, naturalmente, aveva le reti delle communications.
L'esperimento fallì: in quel periodo della TV interattiva l'americano medio non
sapeva che farsene.
Qui può essere utile un ricordo personale.
Dell'esperimento di Orlando mi parlò il presidente di Silicon Graphics, James
H. Clark, in un'intervista del 13 gennaio 1994, esattamente cinque anni fa. Egli
vedeva la televisione interattiva come il punto finale della convergenza
digitale: "la televisione interattiva sfrutta il cavo a fibre ottiche,
che è la tecnologia di base dell'economia del futuro, dell'economia
dell'informazione. Perché la TV interattiva non è solo televisione. La TV
interattiva apre le porte anche alla scuola a distanza e all'accesso ai sistemi
di informazione. C'è un network a larga banda, con una grande capacità, che
collega tutte le case, tutti gli uffici, supera la sua origine di mezzo di
intrattenimento e diventa strumento di education e di informazione. Questo,
secondo me, è il fatto più importante, è la creazione di un'informazione
interstrutturale. E' l'informazione delle autostrade digitali che piace al
vicepresidente Gore, è un sistema di comunicazione che significa videotelefono,
videoconferenza, telelavoro, permette comunicazioni a larga banda di dati, voce,
immagini, film a richiesta... Tutto questo è reso possibile dai sistemi
computerizzati inseriti nell'elettronica di consumo...".
A distanza di cinque anni possiamo individuare un
errore di Clark, nel vedere la televisione via cavo e non l'internet come
elemento unificante della convergenza. Errore? Una ventina di giorni dopo,
quando l'intervista uscì (MCmicrocomputer n.137), Jim Clark non era
più presidente di Silicon Graphics: aveva fondato la Netscape!
A questo punto dovrebbe essere chiaro perché il merger tra AOL e
Time-Warner non può essere considerato né imprevedibile né straordinario.
Semmai si deve riflettere sull'aspetto finanziario dell'operazione: Time-Warner
è un gigante dell'informazione, con una lunga storia alle spalle, decine di
migliaia di dipendenti e una moltitudine di società controllate in tutto il
mondo, mentre AOL è un tipico esempio di internet company, nata nel
'91, con qualche migliaio di dipendenti e un fatturato oltre cinque volte
inferiore a quello di Time-Warner. Ma, prima della fusione, il gruppo editoriale
era quotato in borsa per 97 miliardi di dollari, AOL per 164 miliardi.
In realtà il vero significato di questa
colossale operazione è molto semplice: non si può fare molta strada se si ha
il controllo di uno solo dei settori convergenti. Il gigante dell'informazione
si avvantaggia non poco dalla fusione con quello che, a ben guardare, è un
distributore; ma anche questo non può sfruttare la potenza della sua rete se
non ha contenuti da distribuire. Non mi soffermo oltre su questo evento, perché
non farei che ripetere cose già scritte e riscritte in questi giorni (vedi, per
tutti, l'articolo
di Vittorio Zucconi su la Repubblica
dell'11 gennaio). Occorre però valutare i fatti anche nell'ottica di casa
nostra, dove situazioni del genere sembrano appartenere a un altro mondo e
accrescono la sensazione di incolmabile ritardo del nostro Paese nello sviluppo
della società dell'informazione.
E' vero che le grandi concentrazioni accentuano
gli aspetti negativi della globalizzazione, con l'omologazione dei modelli,
l'attenuazione delle voci che non fanno parte del coro, il freno alle iniziative
individuali (ai colpi di genio, se vogliamo) che hanno posto le basi della
situazione attuale, ma nello stesso tempo non è vero che "piccolo è
bello", se per piccolo si intende provinciale, limitato, incapace di
espandersi nel concetto di informazione globale.
Ci vantiamo del "formidabile sviluppo" dell'internet nel nostro Paese,
soprattutto in vista del commercio elettronico, trascurando che le cifre di
questo settore sono ancora irrisorie e che lo "sviluppo" in questione
è ottenuto con gli abbonamenti gratuiti, cioè con quattro o cinque account
per ogni utente effettivo. Sotto questo punto di vista si potrà parlare di
effettivo decollo dell'uso della rete quando il numero degli abbonamenti sarà
pari o superiore a quello della popolazione attiva...
Oggi in Italia credono nell'internet solo gli
operatori di telecomunicazioni, che però sembrano non riuscire a vedere al di
là dei benefici immediati che derivano dal vantare un numero più o meno grande
di abbonati a sbafo, e non si pongono il problema di come trarre utili reali da
un'utenza che si è formata da un momento all'altro, sull'onda della moda, e che
quindi non costituisce ancora un "mercato".
Dovrebbe essere chiaro che nessuno può guadagnare offrendo i propri servizi a
un prezzo pari a zero e che i benefici indiretti (compresi gli exploit
borsistici) non possono giustificare a lungo un'attività che, nella migliore
delle ipotesi, raggiunge un risicato pareggio. Né le modeste percentuali che si
prevede di incassare dal commercio elettronico possono offrire il margine
necessario non alla mera sopravvivenza, ma allo sviluppo delle infrastrutture di
comunicazione. Occorrono i contenuti, senza i quali le reti non servono a nulla.
E "contenuti" oggi significa prima di
tutto multimedialità e informazione 24 ore su 24, a trecentosessanta gradi e
con tutti i possibili gradi di approfondimento e personalizzazione. Qualcuno in
Italia è in grado di farla? Tecnicamente, sì. Ci sono professionalità
altissime, ci sono la creatività e la ricchezza di idee per cui non siamo
secondi a nessuno.
Però, se andiamo a vedere quello che hanno fino a oggi realizzato i nostri
maggiori gruppi editoriali, troviamo un concetto ancora molto elementare della
multimedialità, uno scarso uso delle interazioni tra i media (quante
possibilità non sfruttate, per esempio, nella Rai!), insomma una convergenza
ancora troppo embrionale.
Di fatto siamo ancora all'epoca... della
televisione e del telefono. Non è un caso se il Parlamento si appresta ora a
esaminare, tra mille difficoltà, un "antico" disegno di legge, che
nel 1997 con il pomposo titolo "Disciplina del sistema delle
telecomunicazioni" tentava l'ennesima, pasticciata riforma del sistema
televisivo. Come non è un caso se l'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni fino a oggi si è occupata solo di televisione e telefonia,
lasciando l'internet tra le "varie ed eventuali" che non richiedono
troppa attenzione.
Che la convergenza digitale sia un aspetto essenziale della globalizzazione
dovrebbe essere chiaro a tutti. Ma la globalizzazione può essere vissuta in due
modi opposti, che in estrema sintesi possono essere descritti così: "globalizzarsi"
oppure "essere globalizzati".
C'è bisogno di aggiungere altro?
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