La vicenda dei supposti brogli elettorali denunciati dal settimanale Diario
con il film-inchiesta "Uccidete la democrazia" impone qualche
riflessione in materia di informatica e diritto. E anche di informazione.
Ci sono almeno tre punti da affrontare: 1) la possibilità che i dati siano stati
alterati in fase di trasmissione, come sostengono gli autori del film; 2)
l'infelice uscita del ministro dell'interno Giuliano Amato "La firma
elettronica può essere truccata e taroccata"; l'iscrizione dei
giornalisti Enrico Deaglio e Beppe Cremagnani, nel registro degli indagati, per
pubblicazione di "notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali
possa essere turbato l'ordine pubblico".Prima riflessione. L'alterazione di dati in un sistema di trasmissione è
possibile solo se il sistema stesso non è sicuro. Che questo sia stato fatto
negli Stati Uniti (come dice il film) o in Italia è credibile poiché nelle
procedure di trasmissione non è stato previsto l'indispensabile "sigillo
informatico" dei dati (advanced electronic signature nella
direttiva 1999/97/CE, "firma digitale" nella confusa normativa
italiana). L'integrità di dati firmati digitalmente all'origine è verificabile
con certezza quasi assoluta: il margine di errore è nell'ordine di uno a
svariati miliardi, in funzione della lunghezza delle chiavi crittografiche. Su
questo punto si veda l'articolo di Andrea Gelpi Non
possiamo permetterci il lusso di tornare alla carta.
C'è un'altra possibilità di truccare informaticamente i risultati
elettorali, anche in presenza di un sistema che garantisca l'integrità dei dati
trasmessi: alterarli nella fase intermedia tra l'immissione e la trasmissione.
L'operatore scrive un dato, tutti lo possono verificare sullo schermo, ma un
software maligno nascosto nel computer lo modifica prima che sia firmato
digitalmente. Alla fine dello scrutinio il software si cancella da sé,
sparisce. Il gioco è fatto.
Come si evita questo rischio? Ce lo spiega Corrado Giustozzi in Scrutini,
sicurezze e specchietti (per le allodole): solo con la
"trasparenza" dell'intero sistema informatico e con l'uso della firma
digitale si può eliminare ogni ragionevole dubbio sulla correttezza delle
procedure di scrutinio e trasmissione dei risultati.
Tutto questo non c'era, nel sistema impiegato in occasione delle elezioni
politiche del 9 e 10 aprile scorsi. Anzi, il trasferimento di dati non firmati
digitalmente, ma inutilmente cifrati, all'interno di chiavette USB sembrava fatto apposta per consentire
di "taroccare" i risultati con disarmante semplicità.
Sulla base delle scarse informazioni sul sistema diffuse dal ministero
dell'interno, la debolezza del sistema appariva evidente prima ancora del voto.
Ed era la conclusione
di un reportage di RaiNews24 andato in onda il 3 aprile.
La seconda riflessione riguarda l'uscita del ministro dell'interno Amato sulla inaffidabilità delle
firma digitale e sull'opportunità di ritornare alle procedure cartacee. Il
ministro sa che anche con la carta i brogli sono possibili, anche se (forse) non
su una scala così grande. Nemmeno un nuovo conteggio di tutte le schede può
fugare ogni dubbio perché, a parte l'incredibile numero di errori che vengono
commessi anche in buona fede nei troppi passaggi della procedura manuale, trasformare in
voto valido una scheda bianca è un giochino alla portata di qualsiasi
prestigiatore dilettante.
Forse il Ministro ha ricevuto informazioni imprecise o tendenziose da qualche suo
consigliere. Ma Giuliano Amato è persona troppo intelligente e accorta per
scivolare su una buccia di banana così banale. Certo, preoccupa che un ministro
dell'interno non sappia (o finga di non sapere ) nulla della firma
digitale, strumento introdotto in Italia quasi dieci anni fa. O che soffra
di una così grave forma di tecnofobia.
In ogni caso c'è da preoccuparsi se un sistema così fragile è stato adottato
per incompetenza, né si può rifuggire dal sospetto che, invece, sia stato
scelto... a ragion veduta.
Resta il fatto che i verbali cartacei sono alla base dei risultati sanciti
dalla Corte di cassazione. Ma la ricostruzione della notte elettorale
fatta nel film-inchiesta (senza significative smentite) e la strana discrepanza
tra exit poll e dati finali lasciano la porta aperta a dubbi e sospetti.
Siamo così giunti alla terza riflessione: riguarda l'iscrizione nel registro
degli indagati dei due autori del film per violazione dell'art. 656 del codice penale: ""Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o
tendenziose, per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato,
con l'arresto fino a tre mesi o o con l'ammenda fino a lire seicentomila".
Il film, in novanta minuti che non passeranno alla storia del cinema, elenca una
serie di fatti che rendono legittimi i peggiori sospetti. Ma che possa turbare
l'ordine pubblico... Siamo seri!
Forse in questo modo si intende mandare un avvertimento ai giornalisti che
fanno il loro mestiere, anacronisticamente, alla ricerca della verità? Un altro
sospetto che è difficile togliersi dalla testa.
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