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Attualità

Google e la banca dati universale della conoscenza

di Dante Picca - 17.03.05

 
Lo scorso 14 dicembre Google ha presentato un nuovo ed ambizioso progetto: digitalizzare, nell'arco dei prossimi 10 anni, i testi di libera e pubblica diffusione attualmente presenti nelle biblioteche di Harvard, Stanford, Università del Michigan, Università di Oxford e la New York Public Library. Per dare un'idea dei numeri in gioco, nel 2015 Google avrà digitalizzato circa 4,5 miliardi di pagine di testo: numeri importanti se si considera che, oggi, Google indicizza circa 8 miliardi di risorse web.

Vale la pena, entrando nel dettaglio della notizia, analizzare per quali motivi questo progetto (ed i progetti simili che si stanno attuando) rappresentano un elemento abilitante per la società dell'informazione e della comunicazione.
In primo luogo una tale mole di informazioni sarà resa disponibile gratuitamente, rendendo meno remota la possibilità - per chiunque abbia una connessione all'internet - di accedere a qualsiasi informazione prodotta dall'uomo.
In secondo luogo i documenti saranno disponibili in forma testuale e non come semplice scansione delle pagine originali. Il formato testuale permette trattamenti delle informazioni (ricerca, salvataggio, modifica) impossibili nel caso di documenti memorizzati come scansioni ottiche delle pagine che li contengono. Sarà possibile trattare i testi dei libri con la stessa semplicità con la quale oggi trattiamo il contenuto delle pagine web.

Il business di Google è evidente: diventare il principale portale per l'accesso alle informazioni, indipendentemente dal formato e dal medium con cui queste sono state prodotte. Già oggi Google indicizza pagine web, immagini, newsgroup e notizie; il futuro della ricerca delle informazioni è ignoto, ma sicuramente con questo progetto il motore di ricerca americano rafforza il proprio ruolo di leader.
Al di là delle personali convinzioni sull'evoluzione della nostra società, è innegabile che la crescita della quantità dei dati disponibili imporrà strumenti di ricerca sempre migliori ed in grado di far accedere gli utenti ad un catalogo unico di informazioni, indipendentemente dal loro formato di memorizzazione.

Due osservazioni meritano di essere fatte.
La prima riguarda le dimensioni del progetto: per quanto circa 15 milioni di testi sia un numero rilevante, è praticamente trascurabile rispetto alla produzione umana.
La seconda riguarda la tipologia di testi: si tratta infatti di opere libere da copyright. Questo esclude la quasi totalità della produzione mondiale degli ultimi 70 anni.
Si tratta, comunque, di un primo ed importante passo e Google è disponibile ad ampliare il numero dei testi realizzando opportuni accordi. Il sogno di digitalizzare l'intera produzione umana e renderla disponibile gratuitamente è un progetto immenso, come mole e come spesa, ma prima o poi dovrà essere realizzato, non solo da Google: il problema sono i tempi.

Mano a mano che i testi saranno integrati all'interno del motore di Google, avremo un riscontro dell'interesse nell'iniziativa. Se tale riscontro sarà positivo, è prevedibile che nuovi attori investiranno nel progetto per ampliare il numero di documenti disponibili; è facile immaginare che saranno quindi sviluppati nuovi modelli di business che consentano l'accesso anche a testi protetti da copyright, garantendo la giusta remunerazione agli autori, come già sperimentato da iTunes per la vendita di musica on-line.
La velocità con cui la società dell'informazione si evolverà dipende in larga misura dalla quantità e dalla qualità delle informazioni che i cittadini potranno trovare, nonché dal vantaggio che si può ottenere nell'usare strumenti ed informazioni disponibili: accedere al contenuto di milioni di libri stando comodamente seduto a casa, magari davanti al camino, sarà sicuramente una forte spinta in avanti.

Questo progetto, la cui portata è facilmente comprensibile a tutti, ha consentito di mettere in luce la distanza che ancora rende molti rappresentanti della società civile pessimi cittadini della società dell'informazione.
Commentando gli scenari futuribili legati a questo progetto, emergono spesso posizioni reazionarie rispetto ad un evento che dovrebbe essere salutato con piacere.

Particolarmente illuminante, in questo senso, è un articolo pubblicato su "Le Monde" del 24 gennaio scorso a firma del Prof. Jean-Noël Jeanneney, presidente della Biblioteca nazionale di Francia.
Dopo una prima lode dell'iniziativa "Una libertà di scelta è finalmente possibile, grazie alla tecnologia, a vantaggio dei paesi poveri e delle popolazioni svantaggiate", l'autore evidenzia i gravi limiti dell'iniziativa, ed in particolare che ". i criteri di scelta [dei testi, ndt] saranno fortemente influenzati dalla visione anglosassone e dai suoi valori ." e propone quella che, secondo lui, è l'unica soluzione al problema: un'iniziativa a livello di Unione europea per opporre all'iniziativa di Google un archivio di documenti caratterizzanti della cultura europea.

Il suo appello è perentorio: "E' l'ora di un appello solenne diretto ai membri delle tre più importanti istituzioni dell'Unione Europea perché si agisca immediatamente. Altrimenti molto presto i giochi saranno fatti, le abitudini consolidate e sarà troppo tardi per fare qualunque cosa".
Più che discutere sulla condivisibilità o meno delle affermazioni del Prof. Jeanneney e sui problemi della globalizzazione della conoscenza, vale la pena riflettere sul perché tale posizione ha sempre meno senso nella società dell'informazione.

In primo luogo Google è in assoluto il motore di ricerca più utilizzato e conosciuto. Questo ne fa un portale naturale per la ricerca e l'accesso alle informazioni. Per quanto altri attori si stiano affacciando a questo mercato, è difficile che una biblioteca europea possa divenire conosciuta come Google offrendo solo l'accesso ad informazioni di carattere culturale.
In secondo luogo un progetto di questa rilevanza richiede ingenti investimenti economici (circa 150-200 milioni di dollari il budget per Google), difficilmente i governi europei saranno disposti a finanziare progetti di tale entità senza un evidente ritorno. Google, grazie alla liquidità ottenuta dalla quotazione in borsa, dispone del capitale necessario per portare a termine l'impresa.

In terzo luogo in questa fase di evoluzione della società dell'informazione le "guerre di religione" tendono a rallentare il processo evolutivo facendo spendere, troppo spesso inutilmente, risorse.
Infine, partire oggi con un progetto del genere significherebbe essere pronti con un'offerta competitiva tra molto tempo, quando ormai le abitudini saranno consolidate.
Ciò che ha favorito lo sviluppo dell'internet e, più in generale, degli strumenti della società dell'informazione è stata la disponibilità di standard aperti e liberi, che consentissero ad attori diversi di comunicare ed interagire tra loro. Oggi la battaglia si gioca ad un livello superiore, cioè nell'integrazione tra servizi ed informazioni diverse in modo trasparente per l'utente.

La tecnologia si sta rapidamente avviando ad un ruolo di commodity per i servizi che sfruttano questa tecnologia per essere erogati: un motore come Google diventerà quindi una commodity, come oggi sono gli elenchi del telefono.
Saranno gli utenti a decretare, con il loro utilizzo, in che modo queste commodity si evolveranno e quali informazioni offriranno. Invece di investire soldi nel realizzare una piattaforma alternativa a quella proposta da Google, conviene investire per integrare nella sua offerta numerosi ed importanti contributi della cultura europea "continentale", bilanciando le informazioni che ora possiede.

Utilizzando un unico fornitore per l'accesso alle informazioni, è reale il rischio che questi possa ergersi a giudice o censore dei contenuti accessibili, come è evidente già oggi nei media tradizionali. A questo rischio, però, può essere opposta solo la pluralità delle fonti tramite le quali, sulla base delle proprie preferenze e convinzioni, gli utenti accedono alle informazioni. La sopravvivenza degli attori in un mercato aperto, libero e globalizzato è legata alla capacità di attrarre con la propria offerta gli utenti, e non a logiche statalistico-protezionistiche.

Trovo importante che una posizione così estrema come quella descritta nelle pagine di "Le Monde" sia stata espressa da uno storico dei media, quale Jeanneney è, poiché evidenzia come la velocità con cui si evolvono i paradigmi ed i metri di giudizio è molto più lenta di quella con cui la nostra società si evolve verso una società dell'informazione.

 

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