Lo scorso 14 dicembre Google ha presentato un nuovo ed ambizioso progetto: digitalizzare,
nell'arco dei prossimi 10 anni, i testi di libera e pubblica diffusione
attualmente presenti nelle biblioteche di Harvard, Stanford, Università del
Michigan, Università di Oxford e la New York Public Library. Per dare un'idea
dei numeri in gioco, nel 2015 Google avrà digitalizzato circa 4,5 miliardi di
pagine di testo: numeri importanti se si considera che, oggi, Google indicizza
circa 8 miliardi di risorse web.
Vale la pena, entrando nel dettaglio della notizia, analizzare per quali
motivi questo progetto (ed i progetti simili che si stanno attuando)
rappresentano un elemento abilitante per la società dell'informazione e della
comunicazione.
In primo luogo una tale mole di informazioni sarà resa disponibile
gratuitamente, rendendo meno remota la possibilità - per chiunque abbia una
connessione all'internet - di accedere a qualsiasi informazione prodotta
dall'uomo.
In secondo luogo i documenti saranno disponibili in forma testuale e non come
semplice scansione delle pagine originali. Il formato testuale permette
trattamenti delle informazioni (ricerca, salvataggio, modifica) impossibili nel
caso di documenti memorizzati come scansioni ottiche delle pagine che li
contengono. Sarà possibile trattare i testi dei libri con la stessa semplicità
con la quale oggi trattiamo il contenuto delle pagine web.
Il business di Google è evidente: diventare il principale portale per
l'accesso alle informazioni, indipendentemente dal formato e dal medium con cui
queste sono state prodotte. Già oggi Google indicizza pagine web, immagini,
newsgroup e notizie; il futuro della ricerca delle informazioni è ignoto, ma
sicuramente con questo progetto il motore di ricerca americano rafforza il
proprio ruolo di leader.
Al di là delle personali convinzioni sull'evoluzione della nostra società, è
innegabile che la crescita della quantità dei dati disponibili imporrà
strumenti di ricerca sempre migliori ed in grado di far accedere gli utenti ad
un catalogo unico di informazioni, indipendentemente dal loro formato di
memorizzazione.
Due osservazioni meritano di essere fatte.
La prima riguarda le dimensioni del progetto: per quanto circa 15 milioni di
testi sia un numero rilevante, è praticamente trascurabile rispetto alla
produzione umana.
La seconda riguarda la tipologia di testi: si tratta infatti di opere libere da
copyright. Questo esclude la quasi totalità della produzione mondiale degli
ultimi 70 anni.
Si tratta, comunque, di un primo ed importante passo e Google è disponibile ad
ampliare il numero dei testi realizzando opportuni accordi. Il sogno di
digitalizzare l'intera produzione umana e renderla disponibile gratuitamente è
un progetto immenso, come mole e come spesa, ma prima o poi dovrà essere
realizzato, non solo da Google: il problema sono i tempi.
Mano a mano che i testi saranno integrati all'interno del motore di Google,
avremo un riscontro dell'interesse nell'iniziativa. Se tale riscontro sarà
positivo, è prevedibile che nuovi attori investiranno nel progetto per ampliare
il numero di documenti disponibili; è facile immaginare che saranno quindi
sviluppati nuovi modelli di business che consentano l'accesso anche a testi
protetti da copyright, garantendo la giusta remunerazione agli autori, come già
sperimentato da iTunes per la vendita di musica on-line.
La velocità con cui la società dell'informazione si evolverà dipende in larga
misura dalla quantità e dalla qualità delle informazioni che i cittadini
potranno trovare, nonché dal vantaggio che si può ottenere nell'usare
strumenti ed informazioni disponibili: accedere al contenuto di milioni di libri
stando comodamente seduto a casa, magari davanti al camino, sarà sicuramente
una forte spinta in avanti.
Questo progetto, la cui portata è facilmente comprensibile a tutti, ha
consentito di mettere in luce la distanza che ancora rende molti rappresentanti
della società civile pessimi cittadini della società dell'informazione.
Commentando gli scenari futuribili legati a questo progetto, emergono spesso
posizioni reazionarie rispetto ad un evento che dovrebbe essere salutato con
piacere.
Particolarmente illuminante, in questo senso, è un articolo pubblicato su
"Le Monde" del 24 gennaio scorso a firma del Prof.
Jean-Noël Jeanneney, presidente della Biblioteca nazionale di Francia.
Dopo una prima lode dell'iniziativa "Una libertà di scelta è finalmente
possibile, grazie alla tecnologia, a vantaggio dei paesi poveri e delle
popolazioni svantaggiate", l'autore evidenzia i gravi limiti
dell'iniziativa, ed in particolare che ". i criteri di scelta [dei testi,
ndt] saranno fortemente influenzati dalla visione anglosassone e dai suoi
valori ." e propone quella che, secondo lui, è l'unica soluzione al
problema: un'iniziativa a livello di Unione europea per opporre all'iniziativa
di Google un archivio di documenti caratterizzanti della cultura europea.
Il suo appello è perentorio: "E' l'ora di un appello solenne diretto
ai membri delle tre più importanti istituzioni dell'Unione Europea perché si
agisca immediatamente. Altrimenti molto presto i giochi saranno fatti, le
abitudini consolidate e sarà troppo tardi per fare qualunque cosa".
Più che discutere sulla condivisibilità o meno delle affermazioni del Prof.
Jeanneney e sui problemi della globalizzazione della conoscenza, vale la pena
riflettere sul perché tale posizione ha sempre meno senso nella società
dell'informazione.
In primo luogo Google è in assoluto il motore di ricerca più utilizzato e
conosciuto. Questo ne fa un portale naturale per la ricerca e l'accesso alle
informazioni. Per quanto altri attori si stiano affacciando a questo mercato, è
difficile che una biblioteca europea possa divenire conosciuta come Google
offrendo solo l'accesso ad informazioni di carattere culturale.
In secondo luogo un progetto di questa rilevanza richiede ingenti investimenti
economici (circa 150-200 milioni di dollari il budget per Google), difficilmente
i governi europei saranno disposti a finanziare progetti di tale entità senza
un evidente ritorno. Google, grazie alla liquidità ottenuta dalla quotazione in
borsa, dispone del capitale necessario per portare a termine l'impresa.
In terzo luogo in questa fase di evoluzione della società dell'informazione
le "guerre di religione" tendono a rallentare il processo evolutivo
facendo spendere, troppo spesso inutilmente, risorse.
Infine, partire oggi con un progetto del genere significherebbe essere pronti
con un'offerta competitiva tra molto tempo, quando ormai le abitudini saranno
consolidate.
Ciò che ha favorito lo sviluppo dell'internet e, più in generale, degli
strumenti della società dell'informazione è stata la disponibilità di
standard aperti e liberi, che consentissero ad attori diversi di comunicare ed
interagire tra loro. Oggi la battaglia si gioca ad un livello superiore, cioè
nell'integrazione tra servizi ed informazioni diverse in modo trasparente per
l'utente.
La tecnologia si sta rapidamente avviando ad un ruolo di commodity per
i servizi che sfruttano questa tecnologia per essere erogati: un motore come
Google diventerà quindi una commodity, come oggi sono gli elenchi del
telefono.
Saranno gli utenti a decretare, con il loro utilizzo, in che modo queste
commodity si evolveranno e quali informazioni offriranno. Invece di investire
soldi nel realizzare una piattaforma alternativa a quella proposta da Google,
conviene investire per integrare nella sua offerta numerosi ed importanti
contributi della cultura europea "continentale", bilanciando le
informazioni che ora possiede.
Utilizzando un unico fornitore per l'accesso alle informazioni, è reale il
rischio che questi possa ergersi a giudice o censore dei contenuti accessibili,
come è evidente già oggi nei media tradizionali. A questo rischio, però, può
essere opposta solo la pluralità delle fonti tramite le quali, sulla base delle
proprie preferenze e convinzioni, gli utenti accedono alle informazioni. La
sopravvivenza degli attori in un mercato aperto, libero e globalizzato è legata
alla capacità di attrarre con la propria offerta gli utenti, e non a logiche
statalistico-protezionistiche.
Trovo importante che una posizione così estrema come quella descritta nelle
pagine di "Le Monde" sia stata espressa da uno storico dei media,
quale Jeanneney è, poiché evidenzia come la velocità con cui si evolvono i
paradigmi ed i metri di giudizio è molto più lenta di quella con cui la nostra
società si evolve verso una società dell'informazione.
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