Questa volta non sono "effetti
speciali"
di Manlio Cammarata - 13.09.01
La polvere non si è ancora posata sulle strade e sui tetti di Manhattan,
l'onda mediatica sulla tragedia americana invade ancora le case di tutto il
mondo, ma si può già tentare qualche riflessione sul significato e sulle
conseguenze di una giornata che sarà impossibile dimenticare.
Ancora una volta, come spesso è accaduto in questi anni, un tragico avvenimento
si è trasformato in un grande evento mediatico. Ma con una dimensione in più,
molto preoccupante: le sequenze che abbiamo visto per centinaia di volte e che
continueremo a vedere per chissà quanto tempo, ricordano da vicino gli effetti
speciali a cui ci ha abituato la tecnologia digitale. Ma il regista non è
Spielberg, gli aerei che hanno colpito le torri gemelle non sono
"virtuali", i morti non si rialzeranno a telecamere spente. Forse il
filone della fantascienza catastrofica è finito, l'ultimo film è stato girato
l'11 settembre 2001.
In tutto questo, il primo dato che si impone all'attenzione è il ruolo che
ancora una volta ha svolto la televisione, surclassando nettamente l'internet
come mezzo di informazione immediata. Una situazione materialmente dovuta
all'improvviso picco di accessi che ha sovraccaricato le strutture, ma che in
realtà dipende dal fatto che la Rete non è nata per il broadcast, ma
per la comunicazione bidirezionale, e il solo fatto che si cerchi di usarla come
mezzo di massa ne provoca l'istantaneo collasso (per i dettagli si veda The
Day After, sopravvalutata internet? di Massimo Mantellini).
Si aggiunga che i grandi mezzi di informazione sono ormai
"multimediali" a tutti gli effetti e che le notizie arrivano ormai
contemporaneamente sui server dell'internet e sui satelliti della televisione.
Ma per quanto potenti possano essere i server, per quanto larga possa essere la
banda, il numero di utenti che possono collegarsi contemporaneamente con una
qualità accettabile è pur sempre un numero finito. Invece via etere non c' è
un limite alle dimensioni del pubblico che può essere servito. Questo è un
dato che dovrà essere tenuto presente nei futuri ragionamenti e nei progetti
sul ruolo e sulla convergenza dei diversi media.
Un altro aspetto, per qualche verso sorprendente, è l'assenza dell'internet
dal banco degli accusati. Forse è la prima volta, da alcuni anni a questa
parte, che la Rete non viene accusata di aver provocato o semplicemente reso
più facile il verificarsi di qualcosa di terribile.
Invece desta un grande stupore il fatto che i servizi più o meno segreti non
siano riusciti a raccogliere informazioni sui preparativi degli attentati, che
devono aver dato luogo a notevoli flussi di comunicazioni, e ci si chiede
perché il famigerato Echelon non abbia intercettato nulla che potesse far
scattare l'allarme.
Se qualcuno ha la pazienza di leggere il rapporto che ha dato luogo alla
recente risoluzione del Parlamento
europeo sulla'affaire Echelon, può rendersi conto del fatto che il
sistema non ha certo la pervasività del Grande Fratello di orwelliana memoria e
che forse solo attraverso il collegamento di molte strutture di intercettazione
si potrebbe realmente "mettere sotto controllo" una parte
significativa della Rete e delle comunicazioni telefoniche. Ma è più probabile
che i terroristi non siano stati così ingenui da scambiarsi e-mail in chiaro,
intercettabili anche per caso, o cifrate, che solo per questo possono mettere
sull'avviso chi ha motivo di sorvegliare server o zone geografiche critiche. No,
i terroristi non hanno usato l'internet, o almeno non l'hanno usata secondo
schemi prevedibili.
Ma da questa constatazione - o congettura - discende una conseguenza che ci
riguarda da vicino: non hanno senso i controlli generalizzati, le deliranti
proposte di lunghissime conservazioni dei log, le leggi che puniscono il
reato commesso col mezzo telematico più del reato tradizionale. Il vero
criminale sa nascondersi e aggirare sistemi di controllo efficaci più per
rompere le scatole a una quantità di onesti cittadini che per identificare i
criminali o prevenire i reati. Quanti delinquenti sono stati scovati nel corso
degli anni controllando a tappeto i documenti di tutte le brave persone che
passano una notte in albergo? Quali vantaggi "strategici" hanno
ottenuto gli USA vietando per anni l'esportazione di sistemi di crittografia
forte o cercando di imporre procedure di key escrow, se basta scegliere
un canale di comunicazione inconsueto per mettersi al riparo dalle
intercettazioni?
Dunque nella catastrofe americana non c'è il fallimento della tecnologia, ma
piuttosto la caduta di tanti pregiudizi sulla tecnologia. Quando riusciremo a
riflettere con calma, forse capiremo che anche per questo aspetto la giornata
dell'11 settembre ha cambiato la nostra vita e il nostro modo di pensare.
C'è solo un particolare, che fino a ora non sembra sia stato
considerato, per il quale le tecnologie informatiche potrebbero aver svolto un
ruolo non secondario: l'addestramento dei piloti suicidi con i simulatori di
volo che girano sui PC, programmi che chiunque può acquistare - o copiare -
senza problemi e completare con plug-in magari sviluppati proprio per
questa terribile missione.
Un aereo di linea non è un caccia, centrare un bersaglio relativamente piccolo
come una torre di sessanta metri di larghezza richiede certi calcoli e un
"addestramento" per il quale il simulatore di volo si presta molto
bene.
Naturalmente questo non è un motivo di soddisfazione. Non c'è
nulla di cui essere soddisfatti in questi giorni e in queste notti in cui la
mano si sposta decine di volte dal mouse del PC al telecomando del televisore e
viceversa, nell'inutile ricerca della risposta a un dubbio confuso: che senso ha
tutto quello che abbiamo costruito, se ingiustizia e fanatismo continuano a
incontrarsi generando un'incontrollabile follia?
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