Tra i diversi spunti di riflessione che le vicende di cronaca nera di Garlasco e
Perugia offrono, ve n'è uno che riguarda le tecnologie dell’informazione.
Si apprende di una verifica degli alibi attraverso l’analisi del computer,
così come anche della valutazione della personalità degli indagati mediante lo
studio dei loro scritti nei rispettivi blog. Città diverse, casi differenti, ma
con un elemento comune: il ruolo determinante delle tecnologie nelle indagini.
Non è questa la sede per muovere osservazioni sulla bontà delle attività
poste in essere dagli organi inquirenti, né intenzione lasciarsi andare ad
opinioni innocentiste o colpevoliste. Ciò che interessa è rilevare come questi
due casi siano testimonianza di come lo studio e la comprensione della natura
delle tecnologie possa incidere in modo nuovo nella fase dell'accertamento del
reato e dell'individuazione del suo autore.
Sino a poco tempo fa l’alibi di un individuo era verificabile per lo più
attraverso le testimonianze, o meglio attraverso il riscontro a quanto
dichiarato dall’indagato in ordine ai suoi spostamenti. Di fronte a colui che
non era in grado di indicare persone in grado di confermare la sua presenza in
luogo diverso da quello del commesso delitto si era soliti dire: "non ha un
alibi".
Oggi anche chi non ha la possibilità di indicare persone informate sui suoi
movimenti può trovare conferme alle sue dichiarazioni attraverso una verifica
sul proprio computer. In altre parole è possibile dimostrare la propria
innocenza grazie al fatto che il computer lascia traccia di un suo utilizzo in
un luogo eventualmente distante da quello del commesso delitto.
Il punto è che la bontà e veridicità di tale testimonianza, non umana, ma
tecnologica, dipende dalle capacità e possibilità tecniche degli organi
inquirenti, non sempre facilmente valutabili. Accanto a ciò vi è da rilevare
che il sistema può solo dimostrare un suo impiego a una data ora di un
determinato giorno, ma non l’effettivo utilizzatore. Un computer potrebbe
effettivamente risultare utilizzato all’ora del delitto, ma in assenza di
riscontri univoci il fatto di per sé non escluderebbe la partecipazione del
soggetto all’attività criminosa.
Altra novità è rappresentata dal fatto che le tecnologie divengono oggetto
di interesse per valutazioni in ordine alla personalità e pericolosità sociale
del soggetto sottoposto ad indagine. Emblematico in tal senso il caso di Perugia
ove si tenta di ricostruire la personalità dei due indagati, e di rintracciare
eventualmente il movente omicida, dai loro scritti pubblicati sul blog. Tale
modo di procedere è giustificato dal fatto che le tecnologie forniscono all’individuo
modi nuovi per esprimere la propria personalità.
Ciò posto, tuttavia, è bene ragionare sull’esatta portata delle tecnologie e
su come le stesse riflettano effettivamente il modo di essere di chi le
utilizza.
Se prendiamo a titolo di esempio il blog, potremmo dire in termini generali
che esso in tutto e per tutto può rappresentare una sorta di diario personale
ovvero un contenitore di emozioni ed aspirazioni. Visto così il blog potrebbe
rappresentare a fini investigativi un mezzo da cui desumere la personalità del
soggetto sottoposto ad indagini, con gli stessi limiti che si incontrano quando
oggetto di attenzione degli organi inquirenti è un diario personale.
Ad una lettura più attenta, tuttavia, il blog appare qualcosa di sensibilmente
diverso da un diario personale in quanto destinato alla fruizione e lettura
altrui. Di regola chi scrive nel diario personale ha come fine quello di
preservare da occhi indiscreti le sue emozioni ed aspirazioni, mentre chi scrive
all’interno di un blog ha come fine quello di comunicare a soggetti non
identificati ed indeterminati la sua sfera più intima.
Tale distinzione non è di poco conto, atteso che ognuno di noi quando esce
da se stesso per presentarsi in pubblico non si mostra per quello che è, o per
quello che vorrebbe essere, ma per come desidera essere visto dagli altri. Ne
consegue che quando si cerca di verificare attraverso uno strumento di questo
tipo l’effettiva personalità dell’indagato occorre andare con i piedi di
piombo, perché ciò che lo stesso dice e scrive potrebbe non corrispondere in
nulla a quello che lo stesso è.
Posto che l’analisi del computer ai fini della verifica di un alibi e il
giudizio sulla personalità desunta dal suo blog hanno in comune l’interferenza
delle tecnologie nello svolgimento delle indagini, non vi è dubbio che tali
attività pongano problemi differenti.
Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un’analisi tecnica, sempre più
frequente nell’espletamento delle investigazioni, e riconducibile all’interno
di quella disciplina ai più nota computer forensics. Scienza , quest’ultima,
che si occupa della preservazione, dell’identificazione, dello studio, della
documentazione dei computer, o dei sistemi informativi in generale, al fine di
evidenziare prove per scopi di indagine. Rientrano in tale ambito le regole
tecniche e giuridiche che sottendono il sequestro dei computer, l’analisi del
loro contenuto, l’individuazione dell’autore di un reato commesso attraverso
Internet ecc.
In tutti questi casi i problemi sono da un lato di carattere tecnico, nel
senso che si cercano soluzioni idonee a dimostrare in termini di certezza
determinati comportamenti e corrette individuazioni dei presunti responsabili;
dall’altro di carattere giuridico, in quanto la verifica tecnica deve
necessariamente trovare previsione nelle norme processuali, così da rendere
legittima l’attività degli organi inquirenti e utilizzabili nel processo gli
elementi raccolti.
Problemi diversi si incontrano, invece, quando, come nel caso del blog, non si
è chiamati a verifiche di carattere tecnico, tutto sommato agganciate a
riferimenti oggettivi, ma a vere e proprie valutazioni sull’incidenza delle
tecnologie sulla psicologia umana, per loro natura di carattere soggettivo e
quindi difficilmente ancorabili a certezze.
Si è detto di come l’analisi del contenuto di un blog possa contribuire
alla formulazione di giudizi sulla personalità inesatti. Si può altresì
immaginare di come da qui a breve una diversa lettura delle tecnologie potrebbe
portare a valutazioni differenti con ripercussioni sul piano eminentemente
giuridico.
E’ noto che Internet consente di agire a distanza e quindi di produrre eventi,
anche antigiuridici, in luoghi diversi da quelli ove si muove il soggetto
agente. E’ altrettanto pacifico che ciò comporti, sul piano penale, l’astrazione
totale della vittima, nel senso che l’autore del reato non vede il soggetto
che intende colpire. Posto che numerosi studi vittimologici, quelli che studiano
il rapporto tra autore e soggetto passivo del reato, evidenziano come il
soggetto agente si muove con minori freni inibitori tanto più è astratta la
vittima, è legittimo chiedersi se in un prossimo futuro ciò potrà essere
valutato da qualcuno pro reo.
Sempre in quest’ottica, riflettiamo un momento su quegli studi che parlano
di vere e proprie forme di dipendenza da Internet, equiparandole a
psicopatologie quali la bulimia e il gioco d’azzardo. E’ veramente
impossibile pensare che un domani qualcuno (organo inquirente, organo
giudicante, avvocato) non si avventuri in tesi volte a dimostrare che la “mediazione”
tecnologica comporti una menomazione della capacità di intendere e di volere al
pari di quanto avviene per le ipotesi di dipendenze da alcol e stupefacenti
finendo con l’invocare una non imputabilità relativa?
Sempre in tema di imputabilità, consideriamo quei lavori aventi ad oggetto i
condizionamenti sulla percezione del soggetto che usa programmi di realtà
virtuale. Degna di interesse in tale senso la ricerca di una studiosa americana
volta a dimostrare che nel corso della prima guerra del golfo i piloti
statunitensi erano i più risoluti a “sganciare” le bombe per essersi
addestrati per anni con simulatori, che di fatto li avevano desensibilizzati al
punto di far apparire i loro occhi un atto di guerra come una sorta di video
game in cui vince chi centra l’obiettivo.
Prendiamo quindi il caso di colui che dopo aver utilizzato per anni un
simulatore di guida si immette in strada riproducendo tecniche e velocità
sperimentate in ambito virtuale e che a seguito di ciò cagioni un incidente.
Ipotizziamo che un soggetto abusi sessualmente di una donna dopo aver utilizzato
per lungo tempo quei programmi virtuali a sfondo sessuale, che già sono sul
mercato. Ebbene, davanti a ipotesi di questo tipo, un po’ come avviene oggi
per il blog, non è da escludere che qualcuno possa avventurarsi in valutazioni
sull’impatto delle tecnologie sulla mente umana per invocare sconti di pena o
addirittura, come detto, semi infermità mentali.
Al di là di considerazioni di merito, quale ad esempio quella secondo cui
chi commette un reato a seguito di un abuso delle tecnologie è soggetto già di
per sé “disturbato”, preme evidenziare come il ruolo penetrante delle
tecnologie all’interno della nostra vita finirà inevitabilmente con ampliare
le possibilità di giudizio sui comportamenti, con riflessi anche sul piano
squisitamente giuridico.
Tali sintetiche considerazioni spingono a ritenere che le tecnologie impongono
un approfondimento non solo tecnico, ma anche culturale, sociologico e
psicologico, in modo di cogliere l’effettiva portata del fenomeno,
estremamente complesso, così da impedire interpretazioni troppo soggettive che
potrebbero tradursi un domani in sentenze eterogenee, a discapito della certezza
del diritto.
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