Una "Authority for Science" nel futuro della scienza? Dal
20 al 23 settembre scorso si è tenuta a Venezia la prima conferenza mondiale
su: "The future of Science". Una conferenza destinata a lasciare il segno
anche negli anni a venire, non solo per l'autorevolezza dei suoi firmatari, ma
anche per l'impegnativa proposta contenuta nel documento finale: un patto per
il futuro della scienza e il progresso dell'umanità.
Il documento, denominato "Carta di Venezia", si articola
in quattro punti fondamentali, che meritano di essere qui brevemente citati:
1- "Creare un'alleanza per la Scienza - che coinvolga scienziati, filosofi,
teologi, politici, economisti e giuristi - che contrasti l'isolamento della
scienza favorendo un dialogo costruttivo tra tutte le forme del sapere che hanno
come obiettivo la difesa e l'affermazione della dignità umana''.
2 - "Riportare in primo piano la vocazione umanistica della scienza, il suo
orientamento intrinseco alla tolleranza e la sua estraneità agli assolutismi".
3- Sviluppare e coltivare il pensiero scientifico e diffondere il metodo
scientifico come strumento di indagine e comprensione della realtà, soprattutto
nelle nuove generazioni e nelle società che ancora non hanno raggiunto un
livello di progresso adeguato".
4- Favorire l'istituzione di un gruppo multidisciplinare di pensiero, una Authority
for Science incaricata di stabilire gli obiettivi e i limiti del progresso
scientifico, di riflettere sul futuro della civiltà e di formulare proposte
concrete per la società del domani".
La "Carta di Venezia" al momento non va molto al di là
di una suggestiva quanto propositiva formulazione di una idea, quella appunto
che vedrebbe l'istituzione di una Authority for Science quale punto di
riferimento per i governi e le opinioni pubbliche del nostro pianeta. All'enunciazione
di un obiettivo così ambizioso non vengono fatte seguire indicazioni concrete
su un possibile percorso attuativo. Rimane però il fatto che un politico ben
dotato di pragmatismo e senso dello Stato come Giuliano Amato l'abbia
entusiasticamente sottoscritto: "In più si firma meglio è", ha dichiarato.
Ovviamente, non è stato il solo. Il documento è stato
sottoscritto, oltre che dai circa 250 partecipanti alla "First World
Conference on The Future of Science", anche da cinque premi Nobel: Renato
Dulbecco, Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia, Claude Cohen-Tannoudji, Zhores I.
Alferov.
Nel presiedere la sessione dedicata a Scienza e Potere politico, Giuliano Amato
ha tenuto inoltre ad evidenziare come il recente esito referendario in Italia
sulla fecondazione assistita costituisca un esempio emblematico di come l'orientamento
dell'opinione pubblica possa condizionare e limitare pesantemente la ricerca
scientifica. Di fatto, il tema dell'isolamento della scienza rispetto alla
società civile, dal quale ne consegue la crescente penuria di finanziamenti
pubblici alla ricerca di base, ha fatto da cornice alla conferenza.
Quasi tutti gli scienziati intervenuti, infatti, hanno in
qualche modo espresso la loro preoccupazione per il clima di crescente
diffidenza nei confronti della scienza che si sta diffondendo non solo in Italia
ma anche, in misura minore, negli altri paesi. "Sottovalutare la scienza e non
investire oggi nella ricerca scientifica può avere conseguenze devastanti per
noi e per le generazioni che verranno. Significa fermare l'innovazione che è
il volano dello sviluppo economico e della crescita dell'occupazione, significa
far trasferire all'estero le risorse intellettuali e lasciare allo sbando i
giovani che non possono emigrare, significa dover importare a caro prezzo
tecnologie e strumenti per la nostra qualità di vita" ha dichiarato Umberto
Veronesi.
Senza l'impegno e la determinazione del famoso oncologo,
non ci sarebbe stata nessuna conferenza né tanto meno nessuna "Carta di
Venezia". Nella sua veste di presidente della fondazione che porta il suo
nome, Umberto Veronesi è inoltre riuscito a coinvolgere in questa impresa
culturale, che tutto lascia prefigurare stia muovendo soltanto i primi passi di
una lunga marcia, altri due importanti partner: la Fondazione Cini e la
Fondazione Silvio Tronchetti Provera. Ambedue i presidenti delle due fondazioni,
rispettivamente Giovanni Bazoli e Marco Tronchetti Provera, hanno partecipato
alla conferenza testimoniando anche con le loro dichiarazioni l'intento
strategico conferito all'iniziativa.
Non è qui possibile rendere conto degli innumerevoli ed
interessanti spunti di riflessioni emersi nelle tre giornate di lavoro. La
sessione dedicata a "The DNA Revolution" è stata forse quella più
affascinante e al tempo stesso più problematica per le enormi potenzialità ed
implicazioni connesse a questo filone di ricerca. Viceversa, la sessione
dedicata alle future fonti energetiche, alla quale ha partecipato anche Rubbia,
si è rivelata in assoluto la più pessimista per la mancanza di prospettive
valide a breve e medio termine.
Uno spazio di rilievo è stato dato anche al futuro dell'ICT.
A questa sessione hanno preso parte personaggi del calibro di Vinton G. Cerf,
inventore insieme a Robert Kahn del protocollo TCP-IP; Adi Shamir, uno dei tre
scienziati che hanno sviluppato il famoso algoritmo di sicurezza RSA; Alan Kay
e Zhores I. Alferov , quest'ultimo premio Nobel nel 2000. Alferov
è intervenuto illustrando lo stato dell'arte della ricerca sui nuovi
materiali, dalle eterostrutture dei semiconduttori alla creazione delle moderne
eterostrutture fisiche ed elettroniche (tra i quali i pozzi e i punti quantici)
in grado di rivoluzionare ulteriormente il dinamico mondo dell'ICT.
Riflettori accesi anche sul fondamentale rapporto tra scienza
e religione: una sessione deludente per chi sperava di cogliere accenni di
dialogo sincero e costruttivo in vista della nuova alleanza proposta dagli
organizzatori.
La sessione che più delle altre è entrata nel vivo dei
problemi da cui dipende il futuro della scienza è stata quella dedicata al
rapporto tra scienza e potere economico. Partendo dall'assunto che il
progresso scientifico e tecnologico, e quindi in definitiva dell'intera
civiltà, è stato storicamente determinato non solo dalle singole scoperte ma
anche e soprattutto dalla condivisione dei nuovi saperi che ne sono scaturiti,
ovvero della cosiddetta "Open Science", come contrastare l'attuale
tendenza dei poteri economici a "proprietarizzare" i nuovi saperi al punto
da ergere steccati insormontabili agli ulteriori sviluppi della ricerca
scientifica?
Le relazioni sono entrate nel merito dei meccanismi perversi
che sovrintendono attualmente la produzione della proprietà intellettuale e dei
brevetti. Per esempio, di come molte grandi compagnie private sfruttino le
diversità legislative dei singoli paesi e i vantaggi derivanti dalle loro
economie di scala per ottenere brevetti pensati più per ostacolare gli altri
ricercatori che per conseguire a breve significative ricadute applicative.
Al di là delle specifiche soluzioni proposte, gli economisti Paul David e
Richard Nelson si sono mostrati assolutamente concordi sulla necessità di
affermare a livello internazionale un ethos in grado di contenere gli
eccessi competitivi della ricerca privata e al tempo stesso ridare forza e
spazio all'Open Science.
Come? Principalmente, esercitando pressioni sui singoli
governi affinché aumentino gli investimenti e adottino un'intelligente
politica di distribuzione delle risorse alla ricerca. La "Carta di Venezia",
pur non fornendo soluzioni concrete offre valori etici condivisibili ed
obiettivi strategici che possono fungere da polo di aggregazione per creare,
come proposto nelle battute finali del documento quel "team omogeneo di saggi
che esaminano sistematicamente le problematiche sociali che il progresso
scientifico continuamente pone, per poi sottoporre periodicamente le loro
conclusioni ai Governi e alla pubblica opinione".
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