Se nella "banda" un
suonatore stona
di Manlio Cammarata - 14.02.02
Il sito www.mininnovazione.it è
tutto nuovo e ci informa che anche in Italia c'è il MIT. Non si tratta del
celebre Massachussets Institute of Technology, ma più modestamente del
Ministro per l'innovazione e le tecnologie. "Ministro", e non
"ministero", perché il nuovo ente è un dipartimento della Presidenza
del Consiglio. E allora perché non chiamarlo DIT, come già fanno gli addetti
ai lavori?
Comunque il sito è pieno di materiale interessante (peccato che le raffinatezze
grafiche rallentino non poco lo scarico della pagine) e fornisce un quadro di
ricchezza inaspettata sulle iniziative del ministro per accelerare lo sviluppo
della società dell'informazione nel nostro Paese.
La novità forse più interessante, in questo momento, è il rapporto del
gruppo di lavoro sulla "larga banda", uno degli aspetti più spinosi
del ritardo italiano nella diffusione delle tecnologie dell'informazione. Come
tutti ormai dovrebbero sapere, se non c'è abbastanza capacità trasmissiva non
si possono vendere servizi evoluti; se non ci sono servizi evoluti da vendere, e
quindi non ci sono acquirenti che li pagano, gli operatori di telecomunicazioni
non hanno interesse a investire sulle reti ad alta capacità. Il gatto si morde
la coda...
Il rapporto
è di oltre ottanta pagine (purtroppo ancora una volta nello scomodo formato .pdf;
c'è anche una sintesi efficace, sempre in .pdf) e presenta un quadro
completo e dettagliato dei motivi per i quali in Italia di larga banda ce n'è
pochissima e le prospettive di sviluppo sono molto scarse, se affidate alle sole
dinamiche del mercato.
L'impostazione di fondo è corretta: per accelerare la diffusione della larga
banda non ci si può limitare ad aumentare la disponibilità delle
infrastrutture di trasporto, ma è necessario intervenire anche sui servizi,
stimolare quindi l'offerta e la richiesta di applicazioni che giustifichino gli
investimenti.
Il problema di fondo, osserva il gruppo di lavoro (task force, nel
compiaciuto anglicismo ministeriale) del Dipartimento per l'innovazione e del
Ministero delle Comunicazioni, è nel doppio divario digitale (dual digital
divide): il primo è tra coloro che usano abitualmente e quelli che non
usano le tecnologie dell'informazione, il secondo tra quelli che hanno e quelli
che non hanno interesse a connettersi. Un divario culturale, quindi, non meno
importante di quello tecnico.
Un terzo aspetto, ancora più critico, riguarda la scarsa propensione degli
operatori a creare le infrastrutture nelle zone a più bassa densità di
popolazione o di insediamenti produttivi (vedi Dopo
la "flat" pensiamo al digital divide).
Per superare questo limite il rapporto non offre soluzioni, ma si limita a
indicare genericamente la necessità di un intervento governativo, oltre a
citare le solite alternative del satellitare e del wireless local loop,
comunque non convenienti per le utenze residenziali.
Sul piano dei contenuti si insiste sull'opportunità della richiesta e
dell'offerta di servizi da parte della pubblica amministrazione: è un aspetto
interessante, soprattutto in considerazione dei progetti di e-government e delle
diverse iniziative che il Dipartimento sta avviando in questa direzione.
Tuttavia resta un "buco" non trascurabile: l'incentivazione dei
privati a produrre contenuti innovativi che possano stimolare la richiesta e
quindi mettere in moto il circuito virtuoso degli investimenti.
A questo punto il discorso si fa più ampio e supera l'ambito
dell'innovazione tecnologica, per investire più in generale la politica del
Governo e della maggioranza parlamentare. Perché anche se da una parte si
spinge per allargare la banda passante e dall'altra si restringono le
opportunità di sfruttarla, si resta fermi al punto di partenza.
La "banda passante", diceva una pubblicità, non è un gruppo di
suonatori che marcia per la strada. La battuta può essere presa come metafora
dello sviluppo, perché per allargare la banda non basta allargare la strada:
occorrono anche più suonatori ed è importante che nessuno stoni.
Invece di suonatori stonati ce ne sono parecchi: da quelli che vorrebbero
trasformare i provider in controllori dei contenuti e in occhiuti censori, a
quelli che vogliono sottoporre i fornitori di notizie alle decrepite limitazioni
della stampa, alle Autorità che non accelerano l'introduzione di regole certe
ed efficaci per la reale liberalizzazione del mercato.
Si tratta di problemi di stretta attualità, che devono trovare soluzioni di
grande apertura nel recepimento della direttiva europea sul commercio
elettronico, nella formulazione delle regole per la tutela dei dati personali
nei servizi on line, nell'ormai non più rinviabile codice di autodisciplina
degli internet provider.
Se nella "banda" ci sono suonatori che stonano, se non si sciolgono
questi nodi, se non si crea un clima di fiducia negli operatori e negli utenti,
è inutile parlare di larga banda e di servizi innovativi. Si rischia di restare
a guardare il gatto che si morde la coda e, come diceva la vecchia canzonetta,
non sa che la coda è sua.
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