Emergenza Internet
II conferenza dell'Associazione Italiana Internet
Providers - 27 novembre 1998
Relazioni e interventi
Paola Manacorda - Autorità
per le Garanzie nelle comunicazioni
(Trascrizione della
registrazione dell'intervento alla tavola rotonda "Industria e istituzioni:
che fare per lo sviluppo di Internet?" - Testo non rivisto dall'autrice)
..Vi chiedo di nuovo di consentirmi di uscire un
momento dal mio ruolo istituzionale e di riprendere e di discutere le idee che
appartengono alla mia storia professionale, di una persona che ha lavorato
lungamente nella consulenza, per dire che ci sono delle cose che noi pensavamo
anni fa e che sono ancora vere.
Quando stamattina Marco Barbuti ha presentato
quelle slide, dalle quali risulta che una buona parte delle motivazioni
per le quali non ci si collega a Internet dipendono dal fatto che "non si
sa cosa farne", mi pare un'indicazione molto precisa del fatto che mancano
delle motivazioni e dei contenuti seri, concreti e utili per motivare il
collegamento.
Per quale ragione un piccolissimo industriale o un artigiano di quarant'anni
(perché guardate che ce ne sono, hanno questa età, non hanno sedici anni,
oggi, gli artigiani con l'officina o i piccoli industriali), per quale ragione
una madre o un padre di famiglia, pure di quarant'anni, di buona cultura, con un
diploma o con una laurea che non sia in ingegneria, per quale motivo dovrebbero
collegarsi se non possono mandarci la dichiarazione dei redditi, prenotare le
visite all'unità sanitaria locale, non possono prenotare dei biglietti aerei o
ferroviari, non possono prenotare i biglietti per il teatro, se vogliono
comprare dei libri lo possono fare solo con Amazon? Mi sembra che uno dei nodi
intorno ai quali continuiamo a girare sia ancora questo, finché non decolla
un'offerta di contenuti veri e un meccanismo tipo electronic commerce
in senso lato.
Qualcuno dice, un autorevole personaggio del Governo dice che ci sono oggi siti
di settecento pubbliche amministrazioni. Ma quante di queste consentono
veramente la transazione? Oppure seicentocinquanta sono l'illustrazione di che
cos'è quella istituzione, il comune, la USL, l'ospedale? Quanti di questi sono
davvero interattivi?
Credo che uno dei nodi, perché Internet diventi un fenomeno di massa ed esca
dalla stretta cerchia dei professional da un verso e dei ragazzini di
sedici anni che ci giocano per l'altro, ma diventi in prospettiva uno strumento
come oggi il fax (oggi il fax è uno strumento che in qualche modo viene usato
anche al di fuori delle cerchie professionali), sia quello che ci siano dei
servizi veramente utili, efficaci e produttivi di risparmio di tempo e di soldi.
Perché mai una persona dovrebbe investire tre risorse strategiche, che sono i
soldi, il tempo e le energie intellettuali, se non acquisisce niente da questo
tipo di servizi?
Il secondo nodo riguarda sempre l'esposizione
molto interessante di Barbuti, che condivido in grandissima parte. Anche qui mi
rifaccio, scusate a un'idea che Franco Morganti conosce bene, perché abbiamo
compiuto un percorso professionale insieme Noi dicevamo allora, molti anni fa,
che ci trovavamo di fronte, per quanto riguardava lo sviluppo della società
dell'informazione e i servizi in rete, a due modelli: il modello americano e il
modello francese.
Il modello americano ha un mercato di 200 milioni di abitanti, un sistema delle
comunicazioni completamente liberalizzato, una grande effervescenza di società
che nascono, muoiono, con delle regole molto, molto elastiche. Dall'altra
avevamo un modello che era quello francese, in cui lo Stato addirittura, nemmeno
il gestore pubblico delle telecomunicazioni, all'inizio degli anni '80 aveva
introdotto il Minitel. Oggi la Francia recupera il ritardo che il Minitel aveva
fatalmente creato su Internet, un po' con gli stessi meccanismi: grandi
interventi pubblici. Delle dieci proposte di Barbuti (delle quali ne apprezzo
nove, di una dirò tra poco), mi sembra che di nuovo si intreccino questi due
livelli. Da un lato si dice "vorremmo essere come gli americani, vogliamo
un mercato completamente liberalizzato, tariffe più basse, libertà di
competere, non sussidi, lasciamo fare al mercato" (questa cosa è stata
detta più volte stamattina). Quindi non va bene nemmeno il collegato alla
Finanziaria, che in qualche modo impone a noi di favorire attraverso certe
misure l'uso di Internet, dall'altro però si chiedono incentivi fiscali,
interventi nelle scuole, l'IVA al 4 per cento, come se lo Stato dovesse prendere
certi provvedimenti.
C'è una certa mescolanza di questi due livelli. Allora io mi domando se non
possiamo trovare una terza via, che non è la famosa "terza via" del
sistema politico, ma una via europea al supporto e all'incentivo per Internet,
che non sia semplicemente la libertà di mercato. Credo che da noi il mercato si
affermerà in un ragionevole lasso di tempo e che non serva solamente il
sostegno pubblico.
Mi pare di capire, dalle misure che Barbuti ha
indicato, che questa terza via si individui sostanzialmente nel fatto di
togliere i principali ostacoli, cioè di creare le condizioni perché le forze
del mercato possano agire con la velocità che questo specifico mercato, che
ormai è un mercato europeo, saprà dare. Questa mi sembra l'ottica che si può
assumere come istituzioni italiane, complessivamente. Questo vuol dire
certamente agire anche sulla leva fiscale, agire sul tasso di alfabetizzazione
della popolazione in senso lato, quindi cercare di creare le condizioni. Di
queste ce ne sono alcune che però sono irrealistiche, per esempio le quote di
mercato: c'è un'impossibilità di definire normativamente le quote di mercato
riservate, cioè delle posizioni dominanti in Internet, dovuta al fatto che
Internet è un ibrido, è un servizio di telecomunicazioni che però ha dei
contenuti quasi di servizio di informazione. Allora nella nostra normativa il
mercato dei servizi di telecomunicazioni vede dei limiti alle posizioni
dominanti, regolate unicamente dalla normativa antitrust; invece per i sistemi
di informazione, l'editoria, la radio e la televisione, alla quale Barbuti
stesso si era rifatto stamattina, vige un diverso principio, cioè che bisogna
impedire non l'abuso di posizione dominante, ma il formarsi di posizioni
dominanti, in nome della difesa del pluralismo informativo e del pluralismo di
espressione democratica, politica, eccetera.
Internet non è un mezzo di comunicazione di massa con l'impatto molto forte che
hanno l'editoria, la radio e la televisione; può avere dei contenuti di questo
genere, è un servizio di telecomunicazioni, però evoluto nei contenuti, quindi
non è un servizio di trasporto. Non c'è oggi nessuna normativa che consenta di
inquadrarlo in un sistema diverso da quello normale dell'antitrust: se qualcuno
mette in atto operazioni anticompetitive scatta la normativa antitrust, che si
applica a tutti i tipi di servizi
Quindi, al netto di questa osservazione che mi
premeva fare, perché oggi non avremmo nessuna fonte normativa, tutte le altre
condizioni sono condizioni che chiamano a raccolta diversi soggetti.
Secondo me si potrebbe fare un passo in più e cercare di mettere nome e cognome
intorno a queste azioni.
Quello che voi proponete è praticamente un piano d'azione, che potrebbe essere
quantizzato negli obiettivi: a chi spetta, per esempio, fare l'alfabetizzazione
informatica, anzi telematica, delle piccole e medie industrie, che sono una cosa
importantissima nel nostro paese. Però oltre a dire che andrebbe fatta,
possiamo individuare a chi spetterebbe, chi è in grado di farla: le
associazioni della piccola e media industria, il ministero dell'industria, i
soggetti locali? Si può fare un passo avanti individuando anche degli specifici
driver di questo tipo di azioni, che sono azioni molto ragionevoli.
Per quanto riguarda, invece, la regolamentazione
di Internet in generale, al di là della materia tariffaria, questa è una cosa
che ricade nella nostra competenza, perché noi abbiamo competenza anche sui
servizi della "convergenza" (noi, come sapete, abbiamo un arco molto
vasto di oggetti della nostra attenzione, che vanno dall'editoria alla radio
alla televisione a tutti i servizi di telecomunicazioni, compresi i servizi
commerciali)
Io credo però che qui di nuovo occorra far attenzione alla specificità di
Internet. Internet è un mondo che è nato dal basso e in un regime anarchico,
perché è nato sostanzialmente e si è diffuso negli Stati Uniti. La
regolamentazione quindi, a nostro giudizio, dovrebbe essere molto leggera, non
deve essere una gabbia. Non partiamo da grossi assetti monopolistici, come nelle
telecomunicazioni, o duopolistici, come nella televisione. Partiamo da un
sistema e da un mercato estremamente articolati. La regolamentazione deve
assicurare da un lato la full competition, ma deve essere secondo noi
basata sui codici di autoregolamentazione, che tutti i soggetti di questo mondo
si danno, e su un consenso il più largo possibile.
Quindi già i codici, quelli di cui parlavamo l'anno scorso nella prima
conferenza di questo genere che si è tenuta a Napoli, avevamo detto
sostanzialmente che la regolazione di Internet si fonda su pochissime norme
pubbliche, molta autoregolamentazione, la responsabilità dei provider e degli
operatori, quindi anche qui su un insieme di fattori.
Credo che uno sforzo ulteriore che questa associazione, che trovo lavori in modo
molto concreto e realistico, potrebbe fare, è proprio quello di cercare di
individuare, a fianco di queste azioni, i possibili soggetti e i possibili
obiettivi concreti.
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