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 Attualità

Problemi normativi e tariffe per Internet
Note sul Summit della comunicazione "Tre anni dal duemila"
di Manlio Cammarata - 27.07.97

(Le sintesi delle relazioni sono alla URL http://www.telecomitalia.interbusiness.it/summit/relset.htm)

"Mi sento a disagio, quando confronto i dati della diffusione di Internet in Italia con quelli degli altri paesi", ha detto il ministro Maccanico nel suo ultimo intervento al Summit di Napoli. Questa frase (che cito a memoria e mi scuso per l'inevitabile imprecisione) riassume lo stato d'animo di molti osservatori alla fine dei tre giorni di un interessante dibattito che ha dato l'esatta misura della situazione delle telecomunicazioni in Italia a "tre anni dal duemila".

Anche quest'anno l'evento si è rivelato molto utile per capire in quale direzione si evolve la politica della società dell'informazione nel nostro paese. Il gruppo dei relatori era di altissimo livello: oltre al ministro delle poste e al presidente e all'amministratore delegato di Telecom Italia, c'erano il vice presidente del Consiglio, il Garante per l'editoria, il Garante dei dati personali, i vertici di IBM e TMC e una nutrita pattuglia di studiosi.. Dunque un'occasione unica, per apprendere direttamente dalla voce dei "decisori" quali sono gli orientamenti politici e industriali e qual è il contesto culturale dello sviluppo delle telecomunicazioni in Italia.
Dei contenuti del dibattito, oltre che dell'interessante rapporto predisposto dal Centro studi San Salvador, scriverò sul numero di settembre di MCmicromputer. Ora mi sembra urgente affrontare due punti emersi alla fine della discussione: il primo è l'assenza, tra i temi trattati, dei complessi problemi normativi posti dallo sviluppo delle tecnologie; il secondo è quelle delle tariffe di connessione a Internet.

Alberto Abruzzese, coordinatore del comitato scientifico, ha detto che l'aspetto giuridico è stato affrontato nell'ambito del Summit. Tuttavia, scorrendo i corposi documenti preparati dal Centro Studi San Salvador, non si trova un solo testo sui problemi normativi delle telecomunicazioni (si vedano sul Web di Telecom i rapporti del 1995 del 1996 e del 1997) Dal canto suo il ministro Maccanico ha osservato che le nuove norme risolveranno i problemi creati dalla legislazione precedente. E' un'affermazione inquietante, perché i recenti prodotti legislativi non sembrano migliori di quelli del passato. Si prenda, per esempio, l'articolo 6 del decreto legislativo 11 febbraio 1997, n. 55, che accoglie la direttiva 94/46 CE: L'abbonamento alle radiodiffusioni nazionali, nelle diverse forme ammesse, costituisce titolo alla installazione e alla utilizzazione di antenne destinate alla ricezione di programmi radiotelevisivi da satellite, collegate esclusivamente a ricevitori radiotelevisivi. Rincara la dose l'articolo 20 comma 3: Nel caso in cui l'antenna destinata alla ricezione di programmi radiotelevisivi via satellite non sia collegata esclusivamente a ricevitori radiotelevisivi si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire cinquecentomila a lire tre milioni.
Lo scopo di queste disposizioni è chiaro: partire dalle "padelle" satellitari per scovare chi non paga il canone alla Rai, ma la l'interpretazione letterale porta alla conclusione che la multimedialità è vietata. Infatti il principio base della multimedialità è l'utilizzo di un solo canale per diversi media, e la stessa parabola può servire per la televisione e per Internet. Ma se mi si vieta di collegare l'antenna al PC per vedere la TV sul monitor, niente multimedialità!
Senza considerare che l'articolo 6 è in forte odore di anticostituzionalità, perché l'adempimento di un obbligo di natura amministrativa, come il pagamento del canone televisivo, non può costituire titolo per l'esercizio di un diritto costituzionale, qual è appunto il "diritto all'informazione" sancito dalla giurisprudenza della Corte.

Un altro esempio di normativa scombinata, anche se recentissima è nel disegno di legge S1021, approvato dal Senato e ora all'esame della Camera, in cui l'editoria elettronica viene inserita nell'ambito delle infrastrutture di telecomunicazione (si veda Editoria elettronica, un pasticcio legislativo). Se queste sono le norme nuove che devono mettere ordine nella legislazione vigente...
Il lupo perde il pelo ma non il vizio, si potrebbe dire ricordando la nefasta disposizione della legge 103/75 che prevedeva il "cavo monocanale", bloccando così lo sviluppo della TV via cavo nel nostro paese, o il caos provocato dal decreto legislativo 103/95, ampiamente documentato in queste pagine (si veda la sezione
Il decreto legislativo 103/95 nell'indice del dibattito sulle regole di Internet).

Dunque è urgente avviare una riflessione profonda sugli aspetti giuridici delle telecomunicazioni nel nostro paese. Se posso avanzare un suggerimento al comitato scientifico, questo potrebbe essere un aspetto da trattare nel Summit del prossimo anno, con l'avvertenza di affidare l'argomento a giuristi realmente esperti nelle tecnologie dell'informazione.

Veniamo al secondo punto. Da molto tempo si discute di tariffe agevolate per l'accesso a Internet, che costituiscono un preciso impegno assunto dal Governo. Un primo decreto ministeriale (vedi Tariffe Telecom per Internet su MC-link) è stato poi ritirato, diverse associazioni hanno emanato un comunicato congiunto e la discussione è proseguita nelle stanze del Ministero delle poste. Ma una nota di Telecom Italia e l'intervento conclusivo di Tomaso Tommasi di Vignano mostrano un orientamento diverso. Le tariffe di Telecom sono le più basse d'Europa, ha detto l'amministratore delegato, mentre la nota afferma che l'ottanta per cento dei potenziali utenti può avere l'accesso alla tariffa urbana. E l'altro venti per cento?
Se Internet è uno strumento fondamentale per la crescita economica e culturale del paese, come è stato più volte ripetuto anche nel corso del Summit, se è necessario che anche gli italiani non siano divisi in "info-ricchi" e "info-poveri", se il diritto all'informazione è un diritto fondamentale, allora anche l'accesso a Internet deve essere considerato parte del "servizio universale" che la normativa pone in primo luogo a carico del gestore della rete pubblica.
Il venti per cento degli italiani non può pagare una cifra molto più alta di quella che pagano gli altri per entrare nella società dell'informazione.