1. La formula definitoria "La costituzione contesa"
riproduce il titolo di un pregevole libro di Pietro Scoppola (pubblicato nel
1998), nel quale si legge: "La costituzione ci appare quasi in bilico fra un
passato che è oggetto di radicali ripensamenti e le incertezze di un
imprevedibile futuro; sicché non gode più di una presunzione assoluta di
legittimità, non è più un punto di riferimento indiscusso, ma l'oggetto di
una contesa; è insomma una costituzione contesa. Essa ha posto le
premesse di una cittadinanza democratica, ma il senso di tale cittadinanza è
incerto fra gli italiani: non è diventato fondamento di una identità
collettiva. Incombe sul Paese il sentimento di una perdita di valori condivisi".
Su questi temi l'autore ha sviluppato il filo di una
riflessione storica, che, pur tendente a recuperare, per molteplici aspetti, il
significato, il nucleo centrale della Costituzione, tuttavia ritiene necessaria
una riforma, ma non un nuovo inizio. "Sicché il problema non è quello di
ridisegnare da capo, secondo un modello astratto, gli ordinamenti del Paese,
quanto di correggerli e aggiornarli sulla base dell'esperienza maturata e
delle esigenze di una società cresciuta". Sostanzialmente l'analisi storica
così delineata (e che è anche storia di un cinquantennio della repubblica)
indica come via per il consolidamento della democrazia quella cultura degli
emendamenti, con la quale si sono sviluppati, corretti e consolidati, nei
secoli, gli ordinamenti delle grandi democrazie anglosassoni.
E in realtà gli americani, per via di emendamenti, hanno aggiornato la loro
Costituzione: hanno introdotto nel tessuto delle norme costituzionali alcuni
principi sui diritti civili che non erano stati codificati, poiché la
democrazia, proprio perché processo aperto, esige adattamenti nella continuità
piuttosto che interventi traumatici.
Le tesi del prof. Scoppola sono abbastanza vicine a noi nel tempo, in quanto
pubblicate solo pochi anni orsono.
2. Ma se vogliamo risalire più lontano nelle sequenze
temporali, merita di essere ricordata l'analisi svolta, in un libro del 1978,
da Enzo Cheli, col titolo "Costituzione e sviluppo delle istituzioni in Italia".
Egli poneva, già allora, l'interrogativo: quale è il giudizio che si può
dare sul rendimento della Carta Repubblicana, sulle sue possibilità di
sopravvivenza e di sviluppo? E faceva richiamo a una analisi svolta da Giuliano
Amato, che aveva affermato: "Lo Stato di cui disponiamo è il risultato di una
ibridazione complessa, in cui sono confluite tre componenti: "Lo Stato
anteriore alla carta Repubblicana, le innovazioni introdotte dai maggiori
partiti; il processo di attuazione costituzionale, che però è intervenuto a
strati e per ondate successive, innestandosi sulle altre due componenti". E
Cheli soggiungeva che, pur senza sottovalutare tale ibridazione costituzionale,
tuttavia la Carta repubblicana aveva delineato un rapporto di convivenza tra le
forze politiche, e aveva operato da contrappeso verso ogni forma di integralismo
e di esercizio autoritario del potere.
Ma dopo aver enunciato tali fattori costitutivi, egli formulava un punto
conclusivo, per cui bisognava verificare se un giudizio positivo che investiva
il passato fosse tale da reggere la prova del presente, e se la Carta del 1948
disponesse, cioè, ancora di una vitalità e di consenso sociale, adeguato alle
difficoltà di un nuovo contesto politico e sociale. Sicché su questo piano il
problema, rivolto a stabilire il grado di funzionalità del modello
costituzionale, si risolve sostanzialmente nel verificare se, attraverso questa
Carta, sussista ancora la possibilità di attivare uno Stato funzionante, in
grado di operare su basi di maggiore omogeneità politica e sociale, senza
compromettere, ma sviluppando, gli spazi di autonomia e di libertà già
conquistati. Questa (affermava Cheli) è la vera scommessa, che si pone al
nostro sistema e che non può non passare anche attraverso una nuova lettura
del testo costituzionale.
Possiamo rilevare che, a distanza di circa trenta anni, la prospettiva
valutativa del Prof. Cheli non era, in quella fase storica, né totalmente
positiva né totalmente negativa, ma intravedeva nella trama delle regole della
Carta repubblicana, un intreccio di luci e di ombre.
3. Senonché negli anni ottanta vengono in rilievo i
primi segni, anche abbastanza accentuati, del revisionismo costituzionale. Nel
libro di Paolo Barile "I nodi della costituzione" si dà atto che a trent'anni
dall'entrata in vigore della Costituzione sta affiorando, nella dialettica
partitica e nel dibattito dottrinale, una fase neocostituente. Sicché, egli
scrive, è il momento di operare una ricognizione della Costituzione "vivente"
allo scopo di accertare se i meccanismi strutturali che furono escogitati trent'anni
fa siano per caso inceppati o troppo invecchiati". La costituzione vivente -
egli chiarisce - è cosa diversa da quella che i giuristi chiamano "materiale":
quest'ultima è formata dal nucleo (immodificabile senza rivoluzione) delle
idee-forze caratterizzanti una data forma di governo: idee sorrette dalla linea
politica risultante da quella della maggioranza e quelle delle minoranze. La
Costituzione vivente è invece quella che sulla base di un testo "formale"
non contraddetto, anche se suscettibile di varie interpretazioni, caratterizza
un regime di un popolo in un determinato momento storico.
Ciò premesso, Barile osserva come la crisi che ha investito
l'economia e la società italiana non possa non avere ripercussioni sulla
legge fondamentale che regge la nostra Repubblica. Attraverso l'ampio saggio
viene esaminato un vasto arco di problemi: la presidenza della Repubblica, il
Parlamento, i possibili conflitti tra poteri dello stato, il governo dell'economia,
le regioni e gli enti locali, la Comunità europea, la cultura, la scuola, la
famiglia. Ed egli dice sono "molti e gravi i punti caldi della nostra
Costituzione.
4. Negli anni ottanta e novanta le istanze e i progetti
di revisione costituzionale si intensificano e si accrescono.
Come ha osservato Valerio Onida nel suo libro "La Costituzione", è a
partire dagli anni settanta che inizia a manifestarsi una cultura del
revisionismo costituzionale, che crescerà negli anni ottanta fino a conoscere
uno sviluppo impetuoso all'inizio degli anni novanta.
5. E si è data vita a numerose commissioni per lo più
formate dal Parlamento, in vista dell'elaborazione di progetti più o meno
organici di riforme istituzionali. Basti ricordare la commissioni Bozzi del
1983; la c.d. Commissione De Mita-Jotti nel 1992; nel 1994 un comitato di studio
promosso dal primo governo Berlusconi; nel 1997 una nuova commissione
bicamerale, creata con la legge costituzionale: la c.d. commissione D'Alema.
Vanno ricordate la riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione,
varata con la legge cost. n. 3 del 2001 e la riforma denominata "devolution",
che ben può definirsi come una riforma contesa. Ciò che è accaduto negli
ultimi anni sul piano del sistema politico, con la scomparsa o la trasformazione
dei partiti storici e la nascita di nuove formazioni su basi spesso interamente
nuove, ha aperto la strada alle spinte del nuovismo costituzionale.
E l'autore non manca di avvertire che, però, gli sviluppi
e gli esiti di tali nuove esperienze sembrano indicare più i pericoli che i
vantaggi delle vagheggiate riforme costituzionali.
Tuttavia va osservato che se il revisionismo costituzionale,
così come configurato nelle elaborazioni dottrinali, appare meritevole di
considerazione, invece le spinte riformistiche finora realizzate presentano
molti punti critici: e particolarmente fra esse quella riforma denominata devolution.
Una critica di particolare rilievo si rinviene nel volume di Onida "La
Costituzione". Egli pone in risalto che, per ottenere stabilità di indirizzo
dell'esecutivo si arriverebbe a concentrare il massimo del potere nella sola
persona del premier; e all'obiettivo di questa stabilità si sacrificherebbe
drasticamente il delicato meccanismo di pesi e contrappesi che caratterizza i
migliori regimi costituzionali (sia quello presidenziale caratteristico dell'America
sia quelli parlamentari prevalenti in Europa, che caratterizzano oggi la nostra
Costituzione). E prosegue Onida: " l'articolazione della democrazia
pluralista tenderebbe a impoverirsi, per di più in un contesto in cui sono
venuti meno i partiti di un tempo, espressione di indirizzi ideologici e sedi di
elaborazione di programmi e di selezione della classe politica. Se a questo
dovesse poi aggiungersi un indebolimento dei poteri di garanzia (dal Presidente
della Repubblica all'ordine giudiziario), lo stesso quadro di diritti sancito
dalla Costituzione correrebbe il rischio di indebolirsi.
Va notato che la critica del sistema è stata spesso accompagnata dalla tesi
secondo cui vive in Italia una costituzione materiale diversa da quella scritta
o formale e spesso in contrasto con essa.
E vorrei citare un incisivo saggio di Sabino Cassese (anno
1998) dal titolo "Lo Stato introvabile", secondo cui "Lo Stato italiano si
presenta come un ordinamento a doppio fondo, dove l'autoritarismo delle norme
scritte è attenuato dal lassismo delle loro applicazioni, l'accentramento
delle strutture e dei processi decisionali è equilibrato dal negoziato continuo
centro-periferia, la distinzione tra lecito e illecito è spesso soppiantata da
più complesse scale di obblighi, per cui un comportamento può essere
obbligatorio, raccomandato, permesso, riprovato, vietato".
"E' uno stato che rimane ambivalente, metà sviluppato, metà arretrato, è
ancora dualistico, autoritario e liberale, si ingerisce in ogni cosa, senza poi
riuscire a far valere gli interessi pubblici che motivano tale ingerenza".
6. L'amara riflessione di Cassese non può non chiamare
in causa l'esigenza di una sapiente revisione delle istituzioni di base.
Sulla base degli elementi di valutazione su indicati non può condividersi la
formula definitoria enunciata dal prof. Gaetano Rasi nella sua incisiva
relazione "La democrazia dimezzata dell'attuale costituzione". Bisogna
soprattutto eliminare la contraddizione tra la prima parte della carta, carica
di principi basilari, molto avanzati come valori fondanti di una società
civile, e la seconda parte, in cui fu delineato un ordinamento che attualmente
richiede ammodernamento in taluni punti ai fini degli sviluppi della vita
politica e istituzionale italiana.
Bisogna pertanto operare la saldatura tra i valori enunciati e l'attuazione
concreta di fattori di organizzazione e di guida del sistema.
Inoltre si pone e va risolto il problema della ampiezza di rappresentanza. Va
condiviso il giudizio formulato dal prof. Rasi, secondo cui, nel sistema
attuale, in Parlamento attraverso i soliti partiti è rappresentato un cittadino
dimezzato; il che determina quelle distorsioni e strumentalizzazioni che rendono
inefficiente il sistema. (Egli parla di patologia della vita politica, per cui
tutte le principali problematiche della vita civile vengono strumentalizzate ai
fini della contesa partitica, falsificando i termini delle questioni e
conseguendo soluzioni inadeguate).
7. E ciò fa sorgere il problema del consenso che deve
sorreggere la Costituzione. Un sistema costituzionale ha bisogno, per reggersi
nel tempo, di un consenso di fondo nella società in cui si sviluppa. Solo la
permanenza di tale consenso può far si che, utilizzando i meccanismi delle
indicazioni elettorali, i valori e i principi della Carta divengano patrimonio
diffuso e permanente della società. Solo in tal modo i cittadini possono
sentirsi rappresentati, in quanto sussistono i congegni rivolti ad assicurare il
discrimine fra ciò che nel confronto politico è per sua natura opinabile e
negoziabile e ciò che deve essere salvaguardato con intransigenza, perché non
negoziabile.
Già Paolo Barile (nel volume già citato del 1979) osservava
che il punto debole della intera costituzione è da individuare nella rete
partitica (alla quale sarebbe affidato il ruolo di tessuto connettivo dell'intero
sistema), e che è ricca solo di stazioni di negoziazione. Sicché le assemblee
elettive assumerebbero il ruolo di coagulare interessi attraverso la mediazione
e la sintesi che ne fanno i partiti; e di trasformare le sintesi in indirizzi da
trasmettere ad apparati istituzionali.
Perciò - prosegue Barile - viene in rilievo un punto di
divergenza fra due tesi, concernenti la rete, che secondo alcuni deve avvolgere
tutto il coacervo della società civile nell'ambito dei partiti, a loro volta
operanti nelle assemblee elettive, e secondo altri, invece, deve lasciare spazi
liberi a voci e gruppi da non ricondurre forzatamente nell'ambito dei partiti.
L'autore fa anche cenno a coloro che dubitano della attualità del principio
della centralità del Parlamento, ritenendo che i veri burattinai siano i
partiti.
Ovviamente la critica non si rivolge alla fisiologia dei partiti, che in tale
dimensione sono elementi indispensabili per l'attivazione dei circuiti
democratici, bensì alla loro patologia, la quale si verifica quando essi si
collochino in una dimensione esorbitante e totalizzante, la quale finisce con il
sopraffare le vere istanze e i bisogni dei cittadini.
Sulla base delle considerazioni svolte, può trarsi la
conferma delle esigenze di ammodernamento costituzionale, che, mantenendo
intatti i principi e i valori enunciati nella prima parte della Costituzione,
rinnovi in specifici punti l'articolazione delle strutture preposte alla guida
del Paese.
Occorre che queste siano saldamente innervate nella coscienza della
collettività e siano capaci di costituire il quadro, tendenzialmente stabile e
unitario, entro cui la società può ricercare, in libertà e in equilibrio, i
progressi e i cambiamenti necessari.
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