La giustizia in Italia: problemi e
prospettive di riforma
di Giuseppe Santaniello - 15.05.03
I. Nel delineare alcuni profili inerenti al tema della giustizia in
Italia, sembra proficuo fare richiamo al pensiero del massimo teorizzatore del
sistema dei poteri in uno Stato bene ordinato: Montesquieu, che così scriveva
"La virtù civica consiste nel desiderio di vedere l'ordine nello
Stato, di provare gioia per la pubblica tranquillità, per l'esatta
amministrazione della giustizia, per la sicurezza della magistratura, per il
rispetto tributato alle leggi, per la stabilità della Repubblica".
Alla luce di queste riflessioni mi sembra che il nucleo tematico possa
rinvenire il suo punto centrale nell'individuare se, nel nostro Paese, tra
gli elementi costitutivi della virtù civica dei cittadini italiani vi sia
oppur no anche l'esatta amministrazione della giustizia. Temo che a questo
interrogativo bisogna dare risposta negativa, finché non si realizzi il
riordino del sistema giustiziale. Se diamo anche solo un rapido sguardo all'Italia
di oggi, ci accorgiamo che il tema della giustizia, quale fattore primario che
renda una società accettabile, vivibile, sana, è da tanti anni un problema
di fondo sostanzialmente irrisolto. Anzi nella visuale della storia delle
istituzioni è il punto nodale attorno a cui ruotano le scelte di chi governa
e le reazioni di chi è governato, e su cui si sono accesi (in un incessante
volgere di decenni) grandi dibattiti di natura politica, culturale, sociale.
Da ciò dipende in larga misura anche la stabilità di una rilevante area
istituzionale o addirittura di un sistema politico.
L'Italia, dopo il passaggio epocale storicamente iniziato dieci anni fa
con la crisi del vecchio sistema dei partiti, ha dovuto aprire una necessaria
prospettiva di riforme politiche, sociali ed economiche. Nell'ambito delle
quali la voce giustizia appare sempre più importante. E dobbiamo chiederci
quanta incidenza essa abbia nel rapporto tra le garanzie offerte dallo Stato e
la possibilità di uno sviluppo più ampio e più sicuro degli individui e
della collettività; e quale ruolo abbia nella formazione e nello
atteggiamento della opinione pubblica di fronte alla fase intensa nella quale
l'innovazione tecnologica e la scienza sollevano questioni inedite anche dal
punto di vista dei diritti e dei doveri e della loro tutela.
Come è stato osservato da Gian Maria Fara in una sua attenta analisi, la
situazione è apparsa per un lungo periodo confusa e incerta, anche per l'intersecarsi
di dettati legislativi e procedure di applicazione, che hanno creato una
sovrapposizione o un confuso intreccio delle competenze, allontanando la
possibilità di individuare gli ambiti delle effettive responsabilità e gli
elementi causali di disfunzioni o di alterazione dei corretti itinerari
giustiziali.
Sicché spesso il cittadino si è trovato di fronte alla difficoltà di capire
e di elaborare una propria opinione, di formulare un proprio orientamento in
forma obiettiva e di attribuire, con cognizione di causa, colpe e
responsabilità ai diversi attori istituzionali, interessati alla questione
"giustizia".
Ed è da notare che, se i fattori causali di tale situazione, non sono mai
stati condivisi in maniera bipartisan ma anzi sono stati oggetto di
forti divergenze, invece alcuni elementi fattuali hanno dovuto essere
accettati (per la forza incontrastabile delle cose) fra quasi tutti gli
esponenti dei soggetti istituzionali, a prescindere da opinioni soggettive.
La lentezza della nostra macchina giudiziaria non può essere
disconosciuta. La possibilità di ottenere giustizia in tempi accettabili,
appartiene ancora, nel vissuto dei cittadini, a una mera ipotesi non
suscettibile di concrete verifiche nella realtà.
E in non poche occasioni sul fronte penale il braccio della legge ha finito
per colpire con affrettata presa cittadini che poi innanzi agli organi
giusdicenti hanno vista riconosciuta la loro innocenza.
Ma questi (si dirà) sono gli inconvenienti di qualsiasi sistema: ogni
produzione ha i suoi scarti o i suoi pezzi difettosi, però nel complesso
funziona. Il problema è che ripararsi dietro la fisiologia dell'errore,
trattandosi di persone e di vite umane, non aiuta a far attecchire e crescere
nei cittadini la fiducia nella giustizia.
Né è stata data sempre una piena risposta a quella domanda di sicurezza,
che è oggi una vera e propria richiesta di affermazione e di tutela dei
diritti di cittadinanza. Sicché occorre concentrarsi con metodo nella
definizione di strumenti idonei ad assicurare alla giustizia coloro che
compiono delitti e nell'affermare la capacità e l'autorità dello Stato
attraverso la certezza della punizione e l'effettiva espiazione delle pene
comminate.
E non possiamo non ricordare il pensiero di Giovanni Conso, fonte autorevole,
che già nel 1996 parlava del disorientamento che si propaga nella pubblica
opinione: "Siamo preoccupati tutti, ad ogni livello, per l'approccio ai
problemi della giustizia. E' innato il bisogno di certezze, lo si sente
soprattutto quando i tempi sono difficili. Ecco perché si vorrebbe chiarezza
e completezza di risultati".
II. Sulla base dei profili finora delineati, dobbiamo ribadire che l'ordinamento
giudiziario, nei suoi elementi strutturali e funzionali, e quello intimamente
connesso di una corretta giustizia sono tra i temi più delicati, su cui si
manifestano sensibilità e atteggiamenti spesso divaricanti; ma appare ormai
indifferibile una definizione chiara e coerente dei problemi all'interno di
un quadro di certezze e di garanzie per il cittadino.
E' opportuno precisare che va assolutamente riconosciuto il ruolo rilevante
che spetta alla magistratura, di cui è innegabile il compito positivo per il
contributo dato nella lotta al crimine, sia individuale sia organizzato, e a
taluni episodi di malcostume politico. Ma è altrettanto evidente che, accanto
a innegabili benemerenze sussistono nodi storici e non risolti, anzi, se ne
sono sviluppati altri nuovi e più complessi che mettono in discussione l'equilibrio
della organizzazione giurisdizionale finora costituita.
Come ha scritto Renzo Foa in un suo recente articolo "Rileggendo i
vari passaggi dell'ultimo decennio, vediamo bene, anno dopo anno, che l'istituzione
giustizia ha prevalso quando si trattava di richiamare talune zone della
politica al rispetto della legge", ma è stata vista dall'opinione
pubblica come un potere improprio quando si sia orientata, in qualche sua
articolazione, come organismo di supplenza rispetto a poteri spettanti
istituzionalmente all'organizzazione politica. Invero è da escludere ogni
tentativo di percorrere la c.d. "via giudiziaria" al potere
politico.
Si sarebbe configurato il pericolo di una deriva istituzionale anche se ciò
era riferibile specialmente al momento storico della verificatasi implosione
dei vecchi partiti.
III. Per troppo tempo è rimasta inattuata la settima disposizione
transitoria della nostra Carta costituzionale, la quale poneva in rilievo l'esigenza
di una "nuova legge sull'ordinamento giudiziario in conformità con la
Costituzione". La necessità di tale profondo riassetto è stata, poi,
ribadita più volte anche dalla nostra Corte Costituzionale, di cui basterebbe
ricordare la decisione del 19 maggio 1982 n. 872, che richiamava la
"preminente esigenza di dare una piena attuazione al precetto
costituzionale".
Sicché non possiamo non ritenere che sia ormai compito ineludibile dell'attuale
Parlamento elaborare una legge organica, che costituisca l'approdo
innovativo e costruttivo di un lungo percorso capace di fare avanzare nei suoi
tratti strutturali e funzionali il fattore "giustizia".
Non sarà superfluo rievocare, in una rapida sintesi, l'iter
storicamente svoltosi, nelle sue varie tappe, del sistema giustiziale del
nostro Paese.
Tale itinerario può essere tracciato, sulla base di un'analisi svolta da
uno dei più illustri costituzionalisti, Livio Paladin. Egli osservò che il
sistema giudiziario esistente in Italia (nel momento in cui l'assemblea
costituente fu chiamata ad operare le sue scelte sul problema giustizia)
derivava (per integrazioni e modificazioni successive, ma sostanzialmente
senza soluzione di continuità) dalla organizzazione giudiziaria istituita con
la emanazione dello Statuto albertino, sul modello burocratico del giudice
funzionario di derivazione francese.
In sede costituente, i punti base del nuovo assetto costituzionale della
magistratura (il quale venne esplicitato nel titolo IV della Carta
costituzionale) furono individuati: a) nel superamento della configurazione
"delegata"del potere giudiziario; b) nello accoglimento del
principio di legalità dell'azione penale; c) nella eliminazione della
ingerenza dell'esecutivo sui provvedimenti sullo status del
magistrato, da attribuire a un organo interno alla stessa magistratura.
Emersero peraltro anche orientamenti più o meno contrari alla formazione di
una "casta chiusa" dei giudici, sottratta a ogni forma di controllo
esterno; e perplessità furono avanzate sulla opportunità di recidere ogni
collegamento del "pubblico ministero" con l'esecutivo. Fu inoltre
ampiamente dibattuto il ruolo dello stesso ufficio del ministro della
giustizia. In esito alla discussione del progetto presentato dell'on. Ruini
all'assemblea costituente (che aveva già operato una prima mediazione tra
le varie posizioni in contrasto) si pervenne alla formulazione del testo
attuale degli art. 101-113 della Carta costituzionale, in cui risultano
sancite le guarentigie dei giudici.
La dottrina successiva non ha mancato però di sottolineare talune
immanenti antinomie (la definizione è sempre del prof. Paladin) prospettando
problemi di conciliabilità fra il principio di riconduzione della funzione
giudiziaria alla sovranità popolare (art. 101) e il sistema di nomina, non
elettiva, dei giudici; tra la distinzione dei magistrati per funzioni (art.
107, comma terzo) ed il sistema di promozione presupposto dall'art. 105; tra
la differenziazione del pubblico ministero della magistratura requirente e la
riconduzione dello stesso P.m. alla autorità giudiziaria (art. 104, comma
terzo).
D'altronde occorre ricordare che proprio l'on. Ruini, nella sua relazione
al progetto costituzionale, aveva affermato che "la costituzione è solo
la cuspide di una piramide di norme ormai in gran parte da rivedere nel corso
della legislazione repubblicana".
Senonché tutta la legislazione successiva all'entrata in vigore della
Costituzione ha stentato a intraprendere la via di un'organica riforma dell'ordinamento
giudiziario e ha imboccato la strada di interventi parziali e settoriali
destinati a realizzare, in forma parcellizzata, soltanto singoli momenti e
aspetti del complesso disegno riformistico. Sicché in sostanza non si è mai
raggiunto l'obiettivo di una normazione adeguata, capace di corrispondere
alle esigenze di una giustizia assolutamente extra partes, sollecita
nel compiere i percorsi giudiziari legislativamente previsti, avvalendosi
della soggezione dei giudici soltanto alla legge e della loro indipendenza
funzionale.
E, come osserva l'autore già citato, l'indipendenza dell'ordine
giudiziario è valore non finale, ma a sua volta strumentale
rispetto a quello scopo ultimo della obiettività e legalità dell'amministrazione
della giustizia (in cui si riflette la primaria esigenza che i cittadini non
siano limitati nello loro libertà fondamentali se non nei casi e nei modi
previsti dalla legge).
IV. Ed ora una nota conclusiva.
Da troppo tempo le numerose leggi che in un lungo itinerario storico si sono
susseguite nell'intervenire in maniera frammentaria e spesso improvvisata
sul tema "giustizia", hanno segnato soltanto tappe provvisorie e con
effetti sempre controversi.
E' da formulare ora il forte auspicio che finalmente il Parlamento
raggiunga, questa volta, non un punto di tappa, ma un traguardo sicuro, capace
di dare a tutti i cittadini piena fiducia nei valori della giustizia quale
linfa vitale della nostra società.
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