C'è un forte allarme in rete per una cosiddetta "sentenza" del tribunale di
Roma, che ha vietato a Yahoo! Italia la "prosecuzione e la
ripetizione della violazione dei diritti di sfruttamento economico della PFA
Films s.r.l. sul film "About Elly" mediante il collegamento a mezzo
dell'omonimo motore di ricerca ai siti riproducenti in tutto o in parte l'opera
diversi dal sito ufficiale del film". Cioè: cancella i link alle copie
pirata.
Grande chiasso, allarme per le minacce alla libertà di espressione e via
gridando.
Mai come in questo caso si rivela opportuna la regola di non
commentare una sentenza prima di averla letta e valutata almeno nei suoi aspetti
essenziali. E soprattutto non ci si può basare sulle notizie entusiastiche
diffuse da una parte interessata, attraverso una nota agenzia di pubbliche
relazioni e lobbying. Agenzia che è stata addirittura indicata come
attrice nella causa, dimenticando che solo il titolare dei diritti o un suo
licenziatario può agire in giudizio per l'asserita violazione di qualsivoglia
privativa.
Eccola dunque, l'ordinanza
20 marzo 2011 del Tribunale di Roma. Non è una "sentenza", ma
solo un provvedimento cautelare. Per chi non fosse abbastanza pratico di cose legali,si tratta
di un giudizio preliminare alla causa vera e propria, che il giudice può
pronunciare se appare evidente che la lamentela ha qualche fondamento (fumus
boni iuris) e che è urgente far cessare l'asserita violazione, per non
prolungarne gli effetti dannosi (periculum in mora).
Il fatto è noto: nei motori di ricerca comparivano link a siti
"abusivi" del film About Elly e la società titolare dei
diritti (non la sua agenzia di pubbliche relazioni!) intendeva promuovere una
causa per essere risarcita del presunto danno. Nel frattempo chiedeva al
tribunale di ordinare la rimozione dei link.
Il giudice, a conclusione di un lungo e complesso ragionamento in punto di
diritto, ha ordinato a Yahoo di rimuovere i link. Ma, è significativo, ha
condannato la società ricorrente a pagare le spese di giudizio a Google Italia
e Microsoft, convenute insieme a Yahoo!, ma riconosciute non responsabili della gestione dei motori di ricerca.
E non ha accolto le astronomiche richieste di sanzioni, pari a mille euro per ogni
minuto e diecimila euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del
provvedimento e della pubblicazione della sentenza.
Dunque la società titolare dei diritti ha ben poco da esultare e nessuna
sentenza ha limitato la libertà di espressione di chicchessia. Per il pagamento
delle spese di giudizio il giudice ha concluso per la compensazione integrale
tra le parti (PFA e Yahoo!), con riferimento "alla novità e difficoltà
del caso e alle oscillazioni della giurisprudenza europea sulle questioni poste
dal medesimo". In parole povere: il quadro normativo e giurisprudenziale è
confuso, quindi andiamoci piano e limitiamoci a decidere sui punti che appaiono
chiari.
Tanto più, ripeto, che si tratta di un provvedimento cautelare "a
cognizione sommaria":
solo il giudizio di merito potrà determinare l'esito della controversia.
In ogni caso resta in piedi la questione se un motore di ricerca debba - e
possa - rimuovere tutti i link che riguardano una certa opera, compresi quelli
che puntano a siti che non commettono alcun illecito. Se si affermasse il
principio dell'obbligatorietà di una rimozione generale sulla base della
semplice richiesta di un privato, allora il problema sarebbe molto serio e
l'attività dei prestatori di servizi sarebbe pesantemente colpita.
Comunque l'ordinanza specifica che i link
da rimuovere sono solo quelli relativi ai siti colpevoli della
contraffazione. La decisione appare condivisibile. Il problema, in casi come
questo, è chiarire chi sia legittimato a decidere se, caso per caso, c'è la
contraffazione.
Se un provider rimuove il contenuto segnalato come illegittimo da qualcuno che
asserisce di essere il titolare dei diritti, e poi in giudizio si scopre che il
"segnalatore" non è legittimato ad agire o che il contenuto non è
abusivo, chi paga i danni?
In conclusione: la questione è seria e deve essere discussa a fondo. Ma
senza lasciarci impressionare troppo
da chi canta improbabili e provvisori trionfi.
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