DNA e diritto d'autore. La conoscenza ha
bisogno di libertà di codice
Intervento di ALCEI
al convegno "I nostri dati genetici - Opportunità, rischi, diritti"
- 21.06.2000
Le recenti polemiche sulla brevettabilità dei
prodotti dell'ingegneria genetica hanno sollevato un vespaio di polemiche in
particolar modo per quanto riguarda l'estensibilità della "patent
protection" anche a (parti di) esseri umani.
Da più parti si sono levate voci
autorevoli (non solo provenienti dal mondo politico) che hanno condannato questa
tendenza, ma quello della brevettabilità non è il solo aspetto problematico
evidenziato dall'evoluzione della tecnologia di settore.
L'ingegneria genetica - detto per inciso, la vera rivoluzione
dei tempi che stiamo vivendo -sta mettendo in crisi l'assetto tradizionale
della regolamentazione della proprietà intellettuale riproponendo con forza una
domanda che aleggia nell'aria da tempo ma che nessuno si decide a
formalizzare: chi possiede le informazioni?
Oppure, guardando l'oggetto da un'altra prospettiva, ci si può chiedere: la
digitalizzazione delle informazioni ne cambia la natura?
I dati non disponibili in forma elettronica sono di scarsa utilità; anzi si
può dire che la loro utilità decresce all'aumentare della loro mole. Quando
però una enorme quantità di dati può essere creata, gestita e manipolata
informaticamente le cose cambiano e proprio quella che era una debolezza - la
numerosità - diventa grazie ai computer un vero e proprio punto di forza,
rendendo possibili elaborazioni prima impensate.
Questo implica, da un lato, la "valorizzazione", anzi la "patrimonializzazione"
economica dell'informazione, ma dall'altro il fatto che l'informazione
"perde qualità", viene in qualche modo "omogeneizzata" in
una sequenza di bit. Un fenomeno che possiamo osservare in svariati campi, dall'economia,
al marketing alla manipolazione genetica.
Siamo già al punto - scrive James Boyle - in
cui le informazioni genetiche sono viste in primo luogo come informazioni. Ci
occupiamo del nessaggio informativo - la sequenza di A, G, C, S e T - e non
del mezzo biologico. Il progetto genoma è soltanto un gigantesco esercizio di
crittografia. Come già gli archeologi che lavorarono sulla stele di Rosetta,
abbiamo violato il codice e possiamo ora usare il DNA come una lingua da parlare
e non come un oggetto da esaminare. Lo sviluppo delle
biotecnologie e il completamento della mappa genetica, continua Boyle,
consentiranno di intervenire sul patrimonio genetico di un soggetto con
strumenti analoghi ai word processor: del destino biologico verrà
semplicemente scritta una prima bozza, sulla quale effettuare un controllo
ortografico, qualche modifica o addirittura una completa riscrittura.
Questa prospettiva evidenzia chiaramente che il brevetto è uno strumento
difficilmente applicabile alla protezione delle informazioni genetiche.
Una conclusione teorica suffragata dal diniego opposto
dalle autorità competenti al National Institute of Health americano,
quando questi ha cercato di brevettare 2.750 sequenze cDNA. Mentre, infatti,
negli Stati Uniti gli organismi genticamente manipolati sono brevettabili fin
dal 1980 per via di una sentenza della Corte Suprema, le sequenze di DNA non
sono "inventate" ma "scoperte" e dunque non tutelabili con
questo strumento.
In realtà, il livello di protezione da attribuire ai dati - e a quelli
genetici in particolare - dipende dall'utilizzo che se ne vuole fare. Già
nel 1987 Walter Gilbert, uno dei pionieri della ricerca in questo settore,
dichiarava al Washington Post: non credo che il genoma sia
brevettabile. Quello che ci interessa è imporre il copyright sulle sequenze.
Ciò significa che se qualcuno vorrà leggere il codice, dovrà pagarci il
diritto di accedervi. Il nostro scopo è rendere l'informazione alla portata
di tutti. Purché paghino un prezzo
Questa impostazione evidenzia chiaramente che al
tradizionale e più immediato strumento di protezione della proprietà
intellettuale, il brevetto, comincia ad affiancarsi ora anche il diritto in
forza del quale la possibilità di accesso alle informazioni è nelle mani dell'autore
che è l'unico e solo a decidere chi - e a che prezzo - può utilizzarle.
Solo che questa volta non stiamo parlando di un software o di una canzonetta, ma
di "esseri" viventi o potenzialmente tali.
Siamo di fronte all'ennesima, surrettizia e pericolosa estensione dell'applicabilità
del copyright a settori nei quali l'approccio "proprietario"
dovrebbe essere totalmente bandito. E non sulla base di romantiche utopie di
inizio secolo, ma per la tutela del bene comune.
Perché gli esseri viventi, non abbiano "proprietari" né
"autori". |