Scrivo questo pezzo sull’onda del fastidio generato dalla mia partecipazione
alla puntata di Nove in punto trasmessa il 5 luglio 2005
dalle frequenze di Radio24. Gli altri partecipanti erano Fiorello
Cortiana (senatore dei Verdi), Enzo Mazza (FIMI) e Paolo Vigevano (capo della
segreteria tecnica del Ministro dell'innovazione e tecnologie). L’argomento
era il file-sharing all’indomani della sentenza della Corte suprema USA
nel caso Grokster che è stata presentata – mi si passi il gioco di parole –
in modo veramente “groktesco”.
La trasmissione si è dipanata sulle solite giaculatorie dei produttori sui
danni provocati dalla duplicazione abusiva e sulle dichiarazioni istituzionali
sull’importanza dei contenuti (con le solite appendici sul prezzo elevato dei
CD e via discorrendo) mentre sono rimaste lettera morta – fra gli intervistati
e fra il pubblico – le richieste di chiarimento sull’adozione (art. 171-novies
LDA) di regimi di pentitismo di stampo mafioso e sul tentativo di usare la legge
sul diritto d’autore (e in particolare la legge Urbani) come cavallo di Troia
per mettere fuori legge la crittografia(vedi l’analisi
dei contenuti del Decreto Urbani a cura di ALCEI) sulla criminalizzazione
del Peer-to-Peer. E in questo senso, il silenzio dei rappresentanti
istituzionali – a parte un timido accenno di Cortiana - è stato veramente
fragoroso.
Mentre, a proposito del merito della sentenza, merita di essere evidenziata
– e criticata – la posizione di Enzo Mazza secondo cui la sentenza Grokster stabilirebbe
che ai provider che non adottano filtraggi o altre misure di controllo possano
essere attribuite responsabilità.
In realtà questo non è vero. Chi si fosse preso la briga di leggersi le quasi
sessanta pagine della sentenza, avrebbe scoperto che il ragionamento della Corte
è tutto basato su un principio di straordinaria ovvietà: se qualcuno promuove
un prodotto (e ne trae un utile economico) invitando ad utilizzarlo per violare
la legge, questo qualcuno è corresponsabile delle violazioni che vengono
commesse tramite il prodotto stesso.
E non rileva che il prodotto in questione (a differenza dei videoregistratori
oggetto della celeberrima sentenza Sony corp. vs Universal City Studios) sia
suscettibile di utilizzi leciti. Quando gli indizi vanno al di la delle
caratteristiche di un prodotto o della consapevolezza del suo utilizzo illecito
– scrive la Corte a pag.17 della sentenza – e mostrano atti o azioni
diretti a promuovere la commissione di illeciti, la sentenza Sony non consente
di escludere la responsabilità.
Ma da questo non si può derivare alcun obbligo dei provider di
controllare le attività degli utenti, nè di filtrare i contenuti. Dopo
aver ricordato l’opinione della Corte d’appello della California sulla
inesistenza dell’obbligo di monitaraggio degli utenti in carico ai provider,
la Corte, è estremamente netta nell’affermare che (pag. 22, nota 12) naturalmente,
in assenza di altri indizi del dolo, un tribunale sarebbe impossibilitato a
configurare una responsabilità per concorso nell’illecito, basata
semplicemente sulla mancata adozione di azioni dirette a prevenire le
violazioni, se lo strumento è suscettibile di utilizzi leciti.
Dunque, contrariamente a quanto si vorrebbe (o desidererebbe) far dire alla
sentenza, filtri e controlli sugli utenti sono fuori discussione.
Ma siccome nessuno leggerà mai la sentenza, si potrà continuare a dire
impunemente sui mezzi di informazione che i filtri sono “cosa buona e giusta”
e che sono stati “santificati” persino dalla Corte suprema americana. Con la
conseguenza che gli ineffabili politici saranno più tranquilli nel continuare l’opera
di sistematico smantellamento del sistema di tutela giuridica della libertà
individuale in corso da tempo con la scusa della duplicazione abusiva e dei “pedofili”.
In questo senso, i contenuti della puntata di “Nove in punto” fanno il
paio con un altro “straordinario pezzo” di televisione: la puntata di Futura City dedicata agli "hacker" dal
titolo “Non si è mai troppo sicuri”, andata in onda il 7 giugno 2005.
Gli autori della trasmissione hanno celebrato - peraltro senza riferimento a
dati concreti e verificabili - tutti i luoghi comuni (e indimostrati) che
caratterizzano la pubblicistica di settore. Dal "crimine virtuale"
(che invece è estremamente reale), al furto di carte di credito, al ricorso ad
"esperti" più o meno titolati in altre discipline, che per ciò solo
ritengono di essere autorevoli anche in un settore del quale palesemente non
hanno competenza, al "terrorismo informativo", alle piaggerie nei
confronti delle forze dell'ordine (la cui realtà concreta è molto lontana da
quella mostrata in trasmissione).
Se solo avessero approfondito un po' il tema - e non era difficile, vista la
quantità enorme di materiale liberamente disponibile - avrebbero scoperto che
l'attività delle forze di polizia è quasi esclusivamente dedicata a inquisire
lo scambio di musica, software e immagini pornografiche. I casi tratti a
giudizio di accesso abusivo sono - in dodici anni di esistenza della legge -
pochissimi. Avrebbero anche potuto verificare che le "apocalissi
informatiche" sono vaticinate, solitamente, da "venditori di
insicurezza", da chi vuole usare la scusa del terrorismo per legittimare
controlli e invasività altrimenti inaccettabili e da chi ha paura di
un'informazione indipendente e che va alla fonte delle notizie. Avrebbero anche
scoperto che la parola hacker non ha il significato che le hanno
arbitrariamente appiccicato e che i temi della libertà di accesso alle
informazioni (lungi dall'essere uno slogan per questo o quel movimento
politicizzato) pongono sfide cruciali al rispetto dei diritti delle persone.
A parte domandarsi quale sia la ragione che spinge a trattare temi
culturalmente così importanti in questo modo tanto desolantemente scalcinato,
la cosa che lascia più perplessi, nel caso di Futura City (che ha un
indirizzo e-mail, ma non risponde alle critiche) ma più ancora in quello di Nove
in punto – per tornare all’attualità - è la totale “assenza mentale”
del pubblico, che nelle telefonate continuava a lamentarsi del costo dei CD, del
“perchè non posso scaricare musica in pubblico dominio”, del fatto che
Internet (con la “I” maiuscola - ha ucciso il business ecc. ecc.) invece di
andare oltre e preoccuparsi dei problemi veri suscitati dall’applicazione
distorta del diritto d’autore.
Gli “autori” della legge avranno senz’altro tirato un sospiro di sollievo.
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