Due sentenze dello stesso tribunale penale di Bolzano, emanate nei confronti
dello stesso imputato per gli stessi fatti - vendita di modchip - ne
affermano e negano contemporaneamente la responsabilità penale. Può sembrare
incredibile ma non è certo un fatto nuovo o particolarmente strano.
La “materia del contendere” (in ambito forense) è la “natura giuridica”
(sigh!) di una console da videogiochi e di conseguenza la disciplina
sanzionatoria applicabile (quella dedicata al software o quella riservata alle
opere audiovisive).
La sentenza emanata nel
procedimento penale n. 401/05 inquadra correttamente il tema delle ingiuste
limitazioni dei diritti legittimamente acquisiti dal proprietario di un
elaboratore (vedi Il sistematico diprezzo dei diritti
degli utenti) e sconfessa una discussa presa di posizione dell’Antitrust
italiana (vedi DVD "regionalizzati: la risposta dell'Antirust).
In sintesi, dice giustamente il magistrato nell’ultima sentenza, è del
tutto lecito produrre strumenti – modchip, nel caso di specie - che
consentono di “smanettare” su un computer per finalità lecite. Il fatto che
i modchip possano essere utilizzati anche per fini illeciti non ne
rende la commercializzazione di per sé illegale (non più di quanto sia
illegale vendere al pubblico barbiturici o aspirina che potenzialmente
sono utilizzabili per avvelenare o uccidere).
Molto ci sarebbe da dire, invece, sulla sentenza precedente, la n.
138/05.
Scrive il giudice: si ritiene che la console sia costituita non solo da un
hardware, ma anche da un software... conseguenza di ciò è che anche la console
rientra nella tutela garantita dal diritto d'autore (art. 64 bis 1 comma l.d.a.).
Questa è un’affermazione priva di senso dal punto di vista tecnologico e
informatico. Un computer, infatti, è innanzi tutto un’astrazione, come
dimostra la Macchina di Turing, che è appunto la descrizione formale di
quello che poi è stato “tradotto” in strumenti per processare informazioni
– computer “generalisti”, o come nel caso della telefonia o del trasporto,
“specializzati”. In questo senso, non solo la PlayStation è un computer, ma
lo sono i telefonini, i GPS ecc. ecc.
Il giudice sembra invece rimasto fermo ai tempi dell’elettromeccanica, in
cui il “programma” che faceva funzionare le macchine era “incorporato”
nella macchina stessa (nei cavi, nei circuiti, negli interruttori e nei
servomeccanismi). E da questo presupposto fa derivare quindi la conclusione che
esisterebbe un qualche “vincolo pertinenziale” fra hardware e software, che
estende al primo il regime giuridico del secondo. Ovviamente questo è un errore
ma è tanto più difficile spiegarlo quanto più è distorto il ragionamento (da
dove si comincia per spiegare a un giurista che sta commettendo un errore quando
dice di essere “proprietario” di un bene acquisito in leasing?).
Analogo discorso vale per l’affermazione della sentenza secondo cui i
videogiochi non sono costituiti da solo software ... dato che si basano su di un
programma che permette il funzionamento delle immagini, dei suoni e dei testi,
ma rappresentano delle vere e proprie opere d'ingegno.
A parte il fatto che anche il software è un’opera dell’ingegno (tant’è
che è tutelato dalla legge 633/41) è veramente difficile capire cosa
significhi la frase in questione e in che misura renderebbe un videogioco “cosa
diversa” da un software come, ad esempio, Quicktime, Powerpoint, Premiere o
Photoshop (tutti programmi che permettono il funzionamento di immagini, suoni e
testi... appunto).
In realtà questa enorme “forzatura” (per usare un eufemismo) è funzionale
a invocare l’art. 171-ter e non l’art.171-bis LDA per poi applicare l’art.
102-quater sui divieti di elusione delle misure di protezione.
Dato e non concesso che questo ragionamento sia corretto (ma è palesemente
sbagliato) la conclusione sarebbe comunque censurabile. L’art. 102-quater,
infatti, non può pregiudicare i diritti legittimamente acquisiti dal
licenziatario che ha sempre e comunque il diritto di eseguire una copia di
riserva di quanto ha acquistato. Il diritto alla copia di riserva, infatti, si
applica oltre che al software anche alle opere audiovisive.
Come già ebbe a rilevare “secoli” fa la allora pretura penale di Pescara
con la sentenza
1769/97 La duplicazione serve appunto a preservare l’opera essendo,
infatti, il supporto magnetico, di per sé, deteriorabile. In tal senso è la
previsione dell’art. 64 ter c.II l.d.a. (633/41) introdotto dal D. Lgs. 518/92
secondo il quale: “Non può essere impedito … a chi ha diritto di usare una
copia dei programma per elaboratore, di effettuare una copia di riserva…” La
ratio della norma è proprio quella di garantire il titolare dei diritti dal
fisiologico scadimento o dalla distruzione dei supporto magnetico sul quale il
programma è duplicato.
E’ evidente che tale principio si applica anche alle videocassette che sono
qualitativamente analoghe e sostituibili ai supporti utilizzati per la
memorizzazione dei programmi.
Altro argomento utilizzato dal giudice nella sentenza 138/05 per affermare la
responsabilità dell’imputato è che l'importazione extracomunitaria di
videogiochi è vietata dalla legge (art.17 LDA). A parte il fatto che nulla
vieta di comperare giochi all'estero e di riportarseli a casa, o di comprarli
usati, in ogni caso, il proprietario di un PC ha il diritto di fare ciò che
vuole con l'hardware acquistato anche – e non è ancora illegale – farci
girare un sistema operativo come Linux.
Ma, dice il giudice, il produttore-“autore” della console ha il diritto
di vietare “usi diversi” della console... forse può farlo dal punto di
vista contrattuale (al più ne deriverebbe la decadenza dagli obblighi di
garanzia e responsabilità) ma la cosa è penalmente irrilevante.
Quanto alle e-mail prodotte in giudizio e menzionate in sentenza... salto a
piè pari le considerazioni sul modo in cui sembrano state acquisite (non è la computer
forensics l’oggetto di questo articolo), ma da quanto si legge non fanno
alcun riferimento esplicito a usi illegali dei modchip.
Morale... stiamo parlando veramente di una brutta sentenza. Rispettabile –
anche se non condivisibile – la diversità di opinioni sull’applicazione
della legge. Ma che almeno il dissenso sia basato sulla corretta cognizione
della realtà fattuale.
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