La notizia ci ha raggiunti come fulmine a ciel sereno.
Microsoft ha sostanzialmente pagato Novell perché si ritirasse dalla più
grande causa antitrust nel mondo del software mai coltivata in Europa. E con lei
la CCIA, sicuramente la più potente associazione imprenditoriale nel campo
dell'industria del software, di cui Microsoft diventerà associata. Insieme le
due parti contavano per una larga parte nella forza d'urto che gli intervenienti
contribuivano alla causa della Commissione. Seguendo vecchi adagi, la strategia
è dunque chiara: "Divide et impera" e "Se non puoi
sconfiggerli, unisciti a loro".
Ora le forze rimaste a combattere sono assai ridotte, ma promettono fiera
battaglia. La Commissione resta decisa nella sua intenzione di proseguire la
propria posizione iniziale, e così le altre parti intervenienti (Real Networks
e Video Banner per le questioni dei servizi multimediali, la Free Software
Foundation Europe e la SSIA per la parte dell'interoperabilità).
Brad Smith, "avvocato generale" della Microsoft commenta: "Non
c'è necessità per la commissione di continuare ad agire giudizialmente per
conto di concorrenti che oggi dicono di essere soddisfatti dagli impegni
reciprocamente presi" (Financial Times, prima pagina del 09/11/2004).
Come avvocato della Free
Software Foundation Europe coltivo un interesse diretto nella causa,
tuttavia queste parole mi lasciano alquanto perplesso anche al di là del ruolo
ufficiale che rivesto, e come me i legali e funzionari della Commissione con cui
ho avuto modo di parlare. Le affermazioni di Smith riflettono una concezione
privatistica del diritto antitrust che se ha (ma ne dubito) fondamento nel
diritto nordamericano, sicuramente non ne ha nel diritto europeo. Il diritto
della concorrenza ha infatti una valenza di protezione principalmente nei
confronti dei consumatori e nel pubblico interesse. Non si può affermare dunque
che gli interessi protetti siano solo quelli dei concorrenti: non v'è
disponibilità di interessi che non appartengono a questi ultimi.
Dunque la Commissione non sta affatto agendo "per conto" di questo o
quell'operatore nell'industria del software, sta agendo per il mercato in sé e
per chi sul mercato ha meno voce: gli utenti. V'è poi un'altra voce che spesso
viene ignorata, ma che significa letteralmente centina di migliaia di posti di
lavoro, ed è quella degli sviluppatori del software libero (come molti dicono
"open source"). La voce di questi ultimi viene udita tramite
l'associazione che rappresento. Semmai stupisce che nessuna associazione di
consumatori si sia fatta avanti.
Fatta questa precisazione, non mi resta che proporre un paio di riflessioni.
L'operatore dominante ha goduto per più di dieci anni di una situazione di
asserito quasi monopolio, e ciò stando a quanto detto da un organo imparziale
come la Commissione delle Comunità europee. In tale ambito egli ha
verosimilmente goduto anche dei privilegi del monopolista, e guardacaso
scopriamo che esso ha un margine operativo superiore all'ottanta per cento, e
riserve di cassa per più di novanta miliardi di dollari. L'operatore dominante
ha sinora pagato o si aspetta di pagare qualcosa meno di tre miliardi di dollari
in corrispettivi di transazione con i propri oppositori, quelli che non sono
ancora falliti o che non sono troppo piccoli per non fare paura. Certamente
questa strategia è molto efficace, ma chi ci rimette sono coloro che si trovano
a pagare un prodotto a prezzi di monopolio.
Un sano diritto antitrust, nella mia opinione, dovrebbe curarsi di questa
possibile falla del sistema, imponendo che qualsiasi transazione circa episodi
di violazione delle norme sulla concorrenza sia vista come un'intesa e vagliata
secondo i criteri di qualsiasi intesa restrittiva della concorrenza. Altrimenti
è troppo facile costruire giochi in cui chi ci rimette è il povero Pantalone.
Personalmente comprendo la situazione di chi fino a ieri sedeva al mio fianco
davanti al Giudice europeo, e che deve rendere conto ai propri azionisti. Da una
parte un antitrust che, zoppicando, in sei anni non ha ancora portato a nulla e
una dispendiosa causa (per tutte le parti) in cui altri operatori si fanno
avanti per dire com'è bella e soddisfacente la situazione e come è brutta la
Commissione che si ingerisce nei fatti privati del mercato. Dall'altra penose
esperienze in cui, anche quando i giudizi sono stati brutalmente contrari
all'operatore dominante, questi ha trovato il modo di non rispettarli, di
snaturarli o di sviarne i risultati, e dunque la prospettiva di ritrovarsi
ancora tra cinque anni a dover discutere delle misure. Cinquecento milioni di
dollari debbono sembrare una tentazione difficile da vincere, soprattutto
perché, anche per la dominanza della concorrenza, la situazione finanziaria non
è certo florida come quella del proprio opponente. Ognuno a casa sua è
padrone, ma tutto è certo fuorché il fatto che la ricompensa ricevuta in
questo caso ricompensi di quanto subito.
La situazione in causa ora è quantomeno bizzarra. Novell non ha ricevuto altro
che soldi, ma si è impegnata a non coltivare la procedura. La Commissione e le
altre parti intervenienti continuano. Il Giudice fra qualche giorno (un paio di
settimane, pensiamo) emetterà una sentenza che deciderà se le sanzioni saranno
confermate o sospese in attesa del giudizio di merito. Novell è ancora nella
situazione di poter approfittare delle misure imposte, cui non ha avuto affatto
accesso con il recente accordo. Per cui c'è da scommettere che in cuor suo
spera che vengano confermate, anche se non può dirlo pubblicamente.
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