Le sanzioni antitrust rischiano di essere inutili o inefficaci
La storiografia e l'agiografia di Garibaldi riportano questa frase "L'Italia
è fatta, ora bisogna fare gli italiani". Non diversamente, l'ordine con cui
il presidente del tribunale di prima istanza della Corte di giustizia delle
Comunità europee ha negato la sospensione delle sanzioni imposte dalla
Commissione UE a Microsoft lascia aperte numerose questioni (ordine 22/12/2004
nel caso T-201/04R).
Sinora gli attori principali le avevano abbandonate per fare fronte comune
contro la minaccia che un'ipotetica sospensione le rendesse inefficaci, quale
che fosse l'esito della causa di merito. Sinora, infatti, la storia delle
"epiche" battaglie di Microsoft contro i sistemi legali dei vari paesi
riporta una serie di sconfitte impressionanti, ma la "guerra" è
sinora nelle salde mani della società di Bill Gates.
Onore al merito, gli strateghi legali di Redmond, WA (sede di Microsoft
Corp.) hanno una visione molto più lungimirante dei singoli governi o delle
autorità che cercano di mettere freno alle avanzate - secondo alcuni poco
ortodosse - che la loro società effettua su sempre più mercati. La strategia
è vincente, sinora, in quanto le autorità pensano secondo schemi vecchi e
debbono muoversi in un sistema di diritto consolidato, modellato su realtà
totalmente differenti. Sino a che non si sarà capito che abbiamo a che fare con
un mercato con logiche nuove, con una serie di interconnessioni e di effetti di
rete diretti e indiretti senza eguali e senza precedenti, non riusciremo mai a
venire a capo della questione.
La stessa potenza finanziaria ed economica di Microsoft è di per sé un
impedimento verso qualsiasi ragionevole sanzione pecuniaria. Una sanzione che
avrebbe messo in ginocchio qualsiasi società privata, pari a quasi mezzo
miliardo di euro, non ha avuto praticamente nessun riflesso sul corso delle
azioni della Microsoft, che ha versato l'importo della sanzione in un conto
fiduciario della Commissione in pochi giorni. E si trattava della più alta
sanzione antitrust di sempre nella storia del diritto europeo, ma poco più di
un centesimo delle sole riserve di cassa della società afflitta. Non essendo
pensabili (né probabilmente auspicabili) sanzioni penali personali, l'unico
modo per assicurare effettività ai rimedi è quello di imporre misure
riequilibratrici. Questa è la seconda sponda su cui ha giocato la Commissione,
ciò che veramente interessa il mercato e gli utenti.
Sospensione delle sanzioni non accordata
Microsoft, nella sua azione legale presso le corti europee, allegava il
diritto di ottenere la sospensione delle sanzioni in quanto:
1. sussisteva un prima facie case, ovvero sosteneva che le proprie
ragioni avessero una ragionevole aspettativa di risultare vittoriose nel
giudizio di merito;
2. sussisteva un pericolo nel ritardo, grave e irreparabile;
3. il bilanciamento degli opposti interessi propendeva verso la sospensione.
L'azione dunque rispettava nelle allegazioni i rigidi standard per accordare
la sospensione imposti dall'art. 104 delle regole di procedura, come specificate
dal caso Austria contro il Consiglio (caso C-445/00). Il giudice, rilevato
sussistere un prima facie case - nel senso che non era possibile
rigettarle - per quasi tutte le allegazioni di Microsoft (due invece sono state
rigettate già da subito) ha valutato che non sussistesse o non fosse
sufficientemente argomentato (e nemmeno provato) un pericolo nel ritardo che
fosse di natura non semplicemente economica o non meramente
"speculativo". Via libera dunque alle sanzioni, senza nemmeno
discutere sul terzo punto.
Cosa accadrà delle sanzioni
Le sanzioni sono di due ordini:
1. per il mercato dei sistemi di workgroup (sistemi client/server in ambito di
ufficio), Microsoft è condannata a fornire a chiunque ne faccia richiesta e
sulla base di condizioni ragionevoli e non discriminatorie complete e tempestive
informazioni per consentire di raggiungere l'intercompatibilità con Windows nei
servizi di rete.
2. per il mercato delle applicazioni che forniscono funzionalità multimediali
(il mercato di Windows Media Player - per brevità WMP -, RealAudio, iTunes
ecc.), di rilasciare una versione di Windows XP senza la parte applicativa di
WMP (ma che abbia comunque la possibilità di riprodurre contenuti
multimediali).
Per quanto riguarda la seconda, quella che ha fatto più notizia sui giornali
(ma sempre poca, in Italia), la sanzione è puntuale e verrà probabilmente
rispettata da Microsoft in tempi assolutamente brevi. Anche perché mi chiedo se
avrà una efficacia di un qualunque tipo, ma me lo chiedo su basi assolutamente
diverse da quelle che la maggior parte degli interventi assumono, visto che
Windows non viene venduto sugli scaffali, ma alle società che costruiscono i
computer (OEM).
Dunque non vedo affatto la signora Maria costretta a scaricarsi un media
player da Internet (cosa che comunque la gente fa nonostante ne abbia già
uno "gratis", come dimostra il fatto che iTunes o RealAudio hanno
comunque una fetta di mercato) perché gli OEM ne installeranno comunque uno,
solo che non sarà necessariamente il WMP, o non sarà il secondo media
player dopo WMP. Comunque gli OEM troveranno due versioni di Windows XP con
e senza WMP allo stesso prezzo, senza offrire particolari incentivi ad
acquistare la versione "diminuita".
Il rimedio veramente efficace sarebbe stato invece quello di vietare la
commercializzazione dei due prodotti uniti, lasciando che fosse comunque l'OEM a
decidere quale media player installare su basi di assoluta parità a
priori. Che poi sarebbe stato né più né meno che vietare un comportamento
vietato perché abusivo (tying). Tale comportamento consiste
nell'incorporare due prodotti, di cui per uno si ha una posizione dominante e
per l'altro esiste un mercato a parte, con il rischio di eliminare la
concorrenza sul secondo.
Le sanzioni in tema di intercompatibilità sono timide e ancora da elaborare
Se per quanto riguarda i media player le sanzioni sono state timide,
per quanto riguarda i protocolli di rete esse sono state addirittura reticenti.
Sgomberando subito il campo dalla fantasia di alcuni commentatori poco e male
informati, Microsoft non è stata affatto condannata a rivelare parte del
proprio "prezioso" (senza ironia) codice sorgente. Essa deve invece
documentare le particolari implementazioni dei protocolli di rete da essa usati
in modo da consentire ai produttori di altri sistemi di creare prodotti autonomi
che però possano comunicare in maniera efficace con i prodotti di Microsoft.
Si parla dunque di "linguaggi", non della capacità di parlare. Si
consideri (e questa è stata la più importante allegazione del Samba Team, rappresentato dalla
parte da me difesa, ovvero la Free
Software Foundation Europe che in realtà si tratta di protocolli di rete
conosciuti o addirittura standard, ai quali Microsoft ha aggiunto estensioni che
hanno avuto come effetto (se non come obiettivo) quello di renderli non
interoperabili con gli standard originali. Stiamo parlando fondamentalmente di:
1. SMB/CIFS, uno standard sviluppato in collaborazione con IBM per la
condivisione di risorse su rete. Tale standard veniva definito "aperto e
intercompatibile" dalla stessa Microsoft, che ne ha fornito approfondite
specifiche al Samba Team fino a pochi anni fa.
2. LDAP, uno standard per la creazione di servizi di directory (in pratica uno
standard per la creazione di database gerarchici di utenti e di risorse), che è
divenuto la parte informativa di Active Directory Services (ADS).
3. Kerberos, uno standard creato al MIT per l'autenticazione e l'autorizzazione
all'accesso alle risorse tramite lo scambio di gettoni di autenticazione (single
sign on).
Il fatto è che la tecnologia per creare un servizio simile agli Active
Directory Services, esisteva prima dell'avvento di Windows XP (che anzi ha
dovuto inseguire per svariati anni) ed è possibile anche senza XP, sfruttando
gli standard appena citati. Un sistema che consenta la condivisione di risorse
in ambienti di workgroup anche su diverse sedi, con replica delle informazioni
di autenticazione/autorizzazione, che consentano ad un utente di registrarsi su
un membro di un sistema per sfruttare tale registrazione per autenticarsi e
ottenere le autorizzazioni su altri sistemi facenti parte della stessa
struttura, ma magari in località diverse, era già contenuto nella versione 4 e
successive di Novell Netware (Novell Directory Services, oggi eDirectory)
ed era compatibile con Windows NT. Esistono casi di studio di implementazione di
servizi simili con piattaforma Linux. Perché allora è cosÏ necessario
assicurare l'interoperabilità?
Tutte le soluzioni ipotizzabili (esistenti e future) si trovano a fare i
conti con un mondo in cui i sistemi di Workgroup, per ragioni che sarebbe lungo
indagare, ma che non sono del tutto estranee alla nostra materia, sono tutti
(almeno per il 95% delle macchine) impostati su client o server Windows, e
sempre di più nelle versioni Windows 2000/XP, ovvero quelli che portano
tecnologie "chiuse". Non è dunque possibile o facile installare la
ennesima macchina in un sistema in cui enne macchine sono Windows 2000/XP,
perché o non si parlerebbero, o si parlerebbero (ad esempio grazie a Samba)
usando solo una parte dei linguaggi utilizzabili.
Ciò non perché i programmi concorrenti siano meno capaci di parlare, ma
perché chi detiene le informazioni sul linguaggio che debbono parlare le
conserva gelosamente, e anzi ogni tanto le cambia a suo piacimento, cosa che
sarebbe pienamente lecita, se non fosse perché si tratta del comportamento di
un operatore in posizione dominante che innalza artificialmente le barriere
all'entrata. E questo accade non solo per le strutture interne ai sistemi di
workgroup, dunque sul versante della concorrenza tra produttori di software:
anche fornitori di servizi esterni (ad esempio, fornitori di servizi di
workgroup interaziendale) si trovano nell'impossibilità di utilizzare soluzioni
proprie e innovative per l'impossibilità di interconnettersi con i client di
workgroup esistenti, e debbono affidarsi a più macchinose soluzioni via web.
Alcune considerazioni, però, confermano l'affermazione d'esordio secondo cui
le misure sarebbero "reticenti". Intanto esse lasciano a Microsoft la
possibilità di presentare un progetto di implementazione, su un campo in cui
tutto, ma proprio tutto, è dibattibile e in cui è difficile distinguere ciò
che è protocollo e ciò che è implementazione. Inoltre, Microsoft è il
soggetto che deve inventarsi le "condizioni ragionevoli e non
discriminatorie", ovvero farsi il contratto che le sta bene, salvo
presentarlo per approvazione alla Commissione. In tale contratto Microsoft ha
già annunciato che richiederà ai firmatari di sottoscrivere accordi di
riservatezza (e fin qui ci siamo), contratti di licenza di copyright (e qui si
dibatte se possa esistere un copyright sui protocolli di comunicazione),
contratti di licenza di brevetto.
Non staremo a riprendere l'annosa questione sui brevetti software,
brillantemente trattata da questa rivista in numerosi articoli anche
recentemente. Notiamo invece come molti dei brevetti che sono stati richiamati
in causa sono assolutamente generici, palesemente non innovativi, non descrivono
il trovato in modo che un tecnico esperto del ramo possa riprodurli. In poche
parole, appaiono nulli. Costringere altri a ottenere licenze per brevetti che si
sa essere nulli (magari costringendo a rinunciare all'impugnativa) è una delle
clausole più abusive nella giurisprudenza comunitaria, e sarebbe ben strano che
tale tipo di clausola venisse utilizzata... in esecuzione di una misura
antitrust.
Ma non è tutto. Secondo le stime più accurate, ricavate da esperienze
simili, per avere sul mercato un prodotto che sfrutti le informazioni cosÏ
ottenute occorreranno un paio d'anni, dunque serve qualcosa che sia competitivo
oggi. L'unico prodotto che si interfacci in maniera "nativa" con i
prodotti di Microsoft nel settore, potendo dunque convivere in un ambiente di
workgroup Windows (anche se limitatamente ai servizi tipo "NT" e non
utilizzando gli ADS) è Samba. Nessun altro prodotto ha le stesse
caratteristiche. Samba però è licenziato sotto la GNU GPL,
la stessa licenza di GNU/Linux, che è incompatibile con un sistema di royalty,
e comunque non consente di controllare il numero di installazioni effettuato, in
quanto le libertà concesse comprendono il diritto di redistribuire e modificare
il prodotto.
Dunque un accordo che preveda licenze "per copia" sarebbe di per
sé discriminatorio per Samba, ma è evidente che tale tipo di licenze è quello
che Microsoft cercherà di imporre. Sarà dunque materia di litigio ed
eventualmente (secondo quello che il presidente Vesterdorf ha già annunciato
essere possibile) una nuova richiesta di sospensiva basata sull'implementazione
delle misure. L'alternativa è dunque quella tra imporre condizioni più
creative (e rischiare una sospensione), o ripetere l'esperienza dell'MCPP, il
programma che Microsoft ha offerto al Dipartimento di giustizia americano a
seguito della condanna nel famoso processo antitrust statunitense, e dunque
ripetere lo stesso tipo di fallimento.
Conclusioni
Nel mondo del software libero (ma non solo) ci si interroga sul fatto che
questo risulti essere un conflitto di religione. Non lo è, si tratta di una
posizione tanto etica quanto "economicistica". Pertanto una vittoria
morale che confermi il merito delle accuse di anticoncorrenzialità non sarebbe
né la prima, né sufficiente. Occorre che le condizioni di libero mercato siano
ristabilite, la qual cosa, a mio modesto parere, farebbe bene anche a Microsoft:
se non alle sue casse, almeno ai suoi prodotti. Un esempio. All'epoca della
guerra dei browser contro Netscape (l'espressione non è mia, vedi ad esempio su
informit)
Microsoft si impegnò realmente per portare sul mercato un prodotto competitivo,
e sfornò Internet Explorer, che avrà tanti difetti, ma che poteva competere
senza troppo sfigurare con il concorrente.
Vinta la guerra dei browser, con Explorer vittorioso e quasi unico prodotto
sul mercato, lo sviluppo si è arrestato. Oggi con Mozilla Firefox nasce un
concorrente credibile (guarda caso, software libero...), e Microsoft già
annuncia sostanziali novità con la prossima versione del proprio prodotto, che
si è fatta attendere per anni (ovvero secoli, nella scala dei tempi del
software). A ben vedere, è questo l'effetto che ci attendiamo per tutto il
mercato dei sistemi operativi, e non solo: una concorrenza sulla qualità dei
prodotti, e non basata sullo sfruttamento di rendite di posizione.
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