L’attuale sistema del diritto d’autore – come è noto – è stato
ottenuto attraverso progressive evoluzioni di un meccanismo pensato per
soddisfare logiche in cui la stampa era il mezzo di diffusione del pensiero
principale e la rivoluzione digitale era impensabile.
E’ un sistema pensato per gli editori più che per gli autori in quanto è
degli editori la preoccupazione di tutelare il prodotto, ad elevato costo
unitario, dell’attività di stampa. Il fattore “costo di riproduzione zero”
non esisteva nella mente del regolatore dell’epoca.
In poche parole, il nucleo fondante la normativa sul diritto d’autore tende ad
assicurare sistemi accurati di controllo sul “numero di originali prodotti”.
Tale sistema, che aveva retto nel momento in cui fare copie “costava” e
deteriorava la qualità aveva retto ancora di più nel momento in cui la copia
era il risultato di un’attività equivalente alla produzione di un’originale
(le prime stampe), è andato in crisi nel momento in cui è stato possibile
produrre copie dematerializzate a costo zero e qualità perfetta.
Ciò ha aperto il dibattito, pluriennale ed irrisolto, su come riformare il
diritto d’autore.
Sulla necessità di una riforma tutti convengono, sulle modalità esistono molte
idee.
In queste poche righe, lungi dall’offrire soluzioni definitive ad un dibattito
così complesso e che ha visto una consistente mole di produzione scientifica
internazionale e nazionale, vorrei effettuare alcune riflessioni sul ruolo nel
sistema che occupa la normativa sul diritto d’autore e sul perché sia di
particolare attualità l’argomento della sua riforma.
L’attuale legge sul diritto d’autore è una delle norme più longeve
esistenti nell’ordinamento e attraverso tale norma vive uno dei settori
economici più importanti di ogni paese: l’industria culturale e dell’intrattenimento.
Tale normativa, sin dalla data della sua introduzione, è stata progressivamente
aggiornata agli sviluppi del diritto d’autore internazionale (convenzioni e
direttive) e, oggigiorno, incorpora ancora la totalità della disciplina del
diritto d’autore.
Il costante lavoro di aggiornamento ha tuttavia messo in secondo piano la
riflessione sul ruolo che la legge sul diritto d’autore riveste nel sistema:
fenomeni come
- i contenuti televisivi su piattaforme diverse da etere/cavo/satellite,
- la musica prelevata da Internet (con pagamento dei diritti o meno),
- l’emergere continuo di nuovi supporti,
- l’open source,
- i format televisivi
- la fotografia digitale
hanno trovato regolamentazioni esterne alla legge sul diritto d’autore (per
esempio la “legge Urbani”) ovvero hanno trovato regolamentazioni
convenzionali (per contratto o con riferimento a normativa straniera) ovvero non
ne hanno trovato affatto.
Oggi il richiamo internazionale a fare di più, e meglio, nell’ottica della
competitività e dell’innovazione è forte.
Innazitutto si può citare il rapporto PWC sull’attuazione dell’Agenda di
Lisbona con l’ormai notissimo richiamo alla convergenza: “Any content,
anytime, anywhere”. Soltanto un moderno diritto d’autore, che introduca
strumenti di gestione flessibile dei contenuti e dei diritti (es. riforma dei
diritti connessi, tutela dei format, più piattaforme definite in normativa)
consente l’attuazione razionale di tale programma di sviluppo.
In secondo luogo, si può citare il Rapporto WIPO dell’Online Forum on Intellectual
Property in the Information Society (WIPO/CRRS/INF/1).
Dei dieci punti affrontati da tale documento, gli ultimi due riguardano proprio
come affrontare la rivoluzione digitale. Si discute di temi quali il
peer-to-peer, i nuovi modelli di business della musica online, la distribuzione
digitale di contenuti, gli audiovisivi digitali e altro.
Tali temi vengono introdotti dalla WIPO in un interessante contesto di
dibattito che si interroga:
1) sulle eventuali opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dai nuovi
modelli di business;
2) sul come recuperare il rapporto tra creazione, tutela e apertura, dopo un
certo periodo di tempo al dominio pubblico (logica originale del diritto d’autore,
ormai persa).
In effetti, sviluppare il dibattito portato avanti dalla WIPO su tali temi nel
documento citato potrebbe portare interessanti spunti.
Il documento porta infatti come dato che nel 2005 dal 60 all’80% della
totalità del traffico Internet internazionale è da mettere in relazione al file
sharing (di tutti i generi).
Dal documento WIPO emergono due dati:
1) il 10% del materiale scaricato con file sharing è legale.
2) le imprese che hanno appoggiato alle tecnologie di file sharing valore
aggiunto (accordi per il pagamento forfettario di quanto scaricato, pubblicità
commerciale, registrazione a pagamento, ecc.) ne hanno sempre tratto profitto.
Questo tuttavia, come si diceva, avviene in contesti che, almeno a livello
nazionale, sono esterni alla normativa sul diritto d’autore – per così dire
– trovano pochi riferimenti nella medesima.
L’invito che sembra venire dal WIPO è di lavorare, anche a livello
regolamentare, sui nuovi modelli digitali di distribuzione nell’ottica dello
sviluppo e a considerare il peer-to-peer come “parte della rete” trovando
soluzioni regolamentari appropriate per integrarlo nella legalità e nella
gestione collettiva dei diritti. Non vi è insomma una penalizzazione del
fenomeno.
E sulla gestione collettiva dei diritti viene in mente la recentissima
raccomandazione della Commissione Europea del 30.9.2005 che inizia ad affrontare
il complesso problema della concessione di licenze in ambito multinazionale per
lo sfruttamento dei diritti d’autore e della competenza per la musica online
delle società di gestione colletiva dei diritti (Commission Recomendation on collective cross-border management
of copyright and related rights for legitimate online music services).
La sostanza di quanto affermato dalla Commissione, che anticipa le linee
future della sua azione normativa, è che il diritto d’autore per la musica
online (ma il discorso secondo chi scrive vale per qualunque audiovisivo online)
è un diritto d’autore da gestire con nuovi strumenti ed istituzioni
transnazionali e che a ciò gli ordinamenti dovranno adeguarsi. In mancanza si
paralizza il mercato creando una serie di colli di bottiglia e moltiplicando gli
accordi necessari ad autori e titolari di diritti per mettere sul mercato un
certo contenuto. Poiché ciò implica costi di gestione alti, l’utente
pagherà molto per il contenuto e ciò fomenta la quota di illegalità del
mercato.
La Commissione ha dunque previsto tre livelli alternativi di intervento:
1) incentivare la cooperazione tra le società di gestione collettiva europee;
2) consentire licenze in ambito europeo;
3) arrivare ad un gestore collettivo dei diritti.
A seguito della raccomandazione, i titolari dei diritti potrebbero eliminare
le restrizioni territoriali alla distribuzione che attualmente si ritrovano nei
contratti di licenza. La conseguenza sarebbe la progressiva creazione di
cataloghi musicali a livello comunitario. Un tale strumento, lo si ribadisce,
necessiterebbe di normativa interna adeguata a supportarne le dinamiche.
Un grande passo avanti sarebbe la creazione di norme volte a “normalizzare”
e a riportare nella legalità le piccole infrazioni al diritto d’autore. L’esistenza
di pesanti sanzioni penali, spesso non applicate, crea una barriera
insormontabile al dialogo sulle riforme ed assimila il singolo utente alla
grande organizzazione criminale (quest’ultima da punire con massima
severità).
A ciò si dovrebbe accompagnare il riconoscimento di nuove categorie di opere
dell’ingegno, quali quelle che comunemente circolano nel mercato dei mezzi di
comunicazione digitali e delle corrispondenti tecniche di tutela.
L’alternativa è navigare a vista come si fa al giorno d’oggi: la legge
sul diritto d’autore viene da molte imprese vista come un testo che non
contiene le risposte ai loro problemi, non contiene cioè strumenti di tutela
efficaci per le loro opere digitali innovative, proteggibili solo con tecniche
“di importazione”, mentre contiene una pluralità di mezzi di repressione
schierati a difesa di un fortino ormai (quasi) vuoto.
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