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 Diritto d'autore

Diritto d'autore e tutela delle misure tecnologiche di protezione
di Tahita Malago* - 13.09.01

Sulla scia del Digital Millennium Copyright Act statunitense e delle indicazioni internazionali in materia, la recente direttiva 2001/29/CE  "sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione" ha introdotto una disposizione sulla tutela giuridica delle misure tecnologiche di protezione delle opere digitali. Terreno di conquista dell'industria della cultura, l'art. 6 della direttiva pone a carico degli Stati membri l'obbligo di prevedere un'adeguata protezione giuridica non soltanto contro l'elusione di queste misure, ma anche contro il traffico di dispositivi e servizi atti ad aggirarle. Non è il primo caso, nella storia dell'innovazione tecnologica, in cui viene sancito un principio simile. Negli ultimi decenni, divieti del genere hanno investito, di volta in volta, i dispositivi per la decriptazione delle trasmissioni televisive via cavo e quelli per la decodificazione dei segnali satellitari. Nulla di allarmante, quindi, se nell'era della riproducibilità, questo principio sia stato esteso alle tecnologie utilizzate per impedire l'accesso e la copia non autorizzata di materiali protetti distribuiti in rete.

Qualche segnale d'allarme emerge tuttavia da un rapido sguardo all'antesignana esperienza statunitense, dove l'applicazione della corrispondente previsione normativa del DMCA ha già creato non pochi problemi. I terreni di scontro, su cui è prevedibile si aprirà un dibattito anche in Europa, si possono sintetizzare in due domande. Prima: quali sono gli effetti che l'implementazione di questo principio avrà sulla ricerca e sull'innovazione? Seconda: quale sarà l'impatto sulla dottrina del fair use?

Ricerca e innovazione. I sostenitori della previsione normativa rassicurano: la "sola" innovazione che questo principio intende scoraggiare è lo sviluppo - e la conseguente immissione nel mercato - di nuovi sistemi, progettati con l'unico scopo di decodificare le protezioni crittografiche e di violare i codici d'accesso alle opere protette. L'applicazione di questo principio ha già mietuto diverse vittime negli Stati Uniti. Gennaio 2001: il professor Edward Felten della Princeton University, vincitore, con il suo team, dell'HackSDMI, rinuncia alla pubblicazione dei risultati del lavoro svolto, per evitare la controffensiva legale minacciata della RIAA. Il rischio prospettato? Incorrere nelle pesanti sanzioni, civili e penali, previste dal DMCA a carico di chi divulga sistemi atti a violare tecnologie di protezione del copyright. Agosto 2001: il programmatore russo Dmitry Sklyarov viene accusato di violazione della stessa legge, per aver tentato di diffondere negli Stati Uniti un programma di sua creazione in grado di "bybassare" le protezioni tecnologiche apposte dalla Adobe ai suoi eBooks.

Il messaggio di queste "intimidazioni" è chiaro: per dirla con una metafora del professor Lessig, il diritto di testare la sicurezza delle soluzioni anti-pirateria e di migliorarne i punti deboli "dipende dal tuo datore di lavoro". Se lavori per l'industria della cultura, ricerca e innovazione sono un diritto; nel caso contrario, l'esercizio di quel diritto si tradurrà in una violazione di legge, perseguibile sul piano civile e penale. Il risultato pratico di questo divieto non può essere altro che la concentrazione del potere di ricerca - e, quindi, di innovazione - nelle mani di quelle poche società fornitrici di soluzioni di digital rights management, che oggi supportano gli interessi dell'industria della cultura tradizionale. Ma quale peggiore risultato per una società libera e alla ricerca del continuo miglioramento tecnologico?

Passiamo ora al fair use. La disciplina del diritto d'autore, in Europa come negli Stati Uniti, è il risultato di un delicato bilanciamento di interessi contrapposti, per cui gli incentivi concessi agli autori hanno come contropartita la previsione di un limitato diritto di libera riproduzione delle opere a favore degli utenti privati. Ma come verrà garantito il godimento di questa prerogativa nel caso in cui le opere immesse in rete siano protette da misure tecnologiche? L'art. 6 della direttiva introduce, infatti, un'ipotesi di illecito separata e distinta rispetto alla violazione dei diritti esclusivi di autori e titolari di diritti connessi. Questo significa che un soggetto potrà essere perseguito per il solo fatto di aver usato un dispositivo atto a bypassare la protezione, indipendentemente dal tipo di utilizzazione che poi farà dell'opera "craccata" e, quindi, anche nel caso in cui, per ipotesi, la sua utilizzazione sia giustificata dal fair use.

Per evitare questo inconveniente, e per impedire la penalizzazione delle condotte riconducibili alla limitazione del fair use, il DMCA ha introdotto un accorgimento. A differenza del traffico di dispositivi per l'elusione, che è sempre vietato, l'aggiramento delle misure tecnologiche di protezione è illecito, soltanto se ha ad oggetto sistemi disegnati per controllare l'accesso alle opere protette, mentre è lecito quando ha ad oggetto misure atte ad impedirne la riproduzione. Lasciando libero questo spiraglio, si è quindi cercato di ristabilire un equilibrio tra gli interessi in gioco, facendo in modo che la tutela giuridica delle misure tecnologiche di protezione non finisse per ridurre all'eccesso gli spazi d'azione degli utenti di Internet.

Nella direttiva europea, della distinzione tra misure di controllo dell'accesso e misure di controllo della riproduzione non c'è traccia. In un contesto in cui "le riproduzioni effettuate da una persona fisica per uso privato" sono ammesse "a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso che tenga conto dell'applicazione o meno delle misure tecnologiche (di protezione)", resta da chiedersi se e in che modo verrà data una risposta agli adempimenti richiesti dal par. 3 dell'art. 6. Il quale chiede agli Stati Membri, "in deroga alla tutela giuridica del paragrafo 1, e in mancanza di misure volontarie prese dai titolari [.]", "di prendere provvedimenti adeguati affinché i titolari mettano a disposizione del beneficiario di un'eccezione (nel nostro caso, riproduzione per uso privato) i mezzi per fruire della stessa [.]".

Al di là delle perplessità giuridiche e "politiche" su questa scelta normativa, ci sono alcune considerazioni di carattere più generale su cui vale la pena fare una breve riflessione. Che senso ha interrogarsi sulla bontà di una scelta normativa se le stesse prospettive future della tutela tecnologica del diritto d'autore sono incerte? L'industria della cultura ha fatto e continua a fare notevoli investimenti nella ricerca di soluzioni per una distribuzione digitale sicura. Ma questi sforzi non sono ancora riusciti a dare una risposta al problema più importante, che non è tanto la realizzazione di una soluzione tecnicamente "perfetta", quanto la perdurante assenza di una piattaforma di protezione tecnologica standardizzata. Fino a che il mercato dei sistemi anti-pirateria manterrà l'attuale frammentarietà, non si può pretendere che gli utenti di Internet, per quanto desiderosi di rispettare il copyright, acquistino un lettore dal sistema A per poi non poter fruire delle opere dal sistema B, e viceversa.