Lessig, un eroe moderno
di Massimo Mantellini 17.10.02 (Da Punto Informatico)
Giunta alla Corte
Suprema la battaglia sul copyright nell'era digitale difficilmente potrà essere
vinta. I diritti di sfruttamento commerciale di pochissimi limitano di fatto
l'accesso alla cultura del mondo intero .
Tento un esercizio difficile. Provo a parlarvi di Lawrence Lessig,
41enne professore della scuola di legge di Stanford e della sua battaglia impossibile per la
libertà di espressione su Internet. Dico "provo" perché l'argomento
è difficile, per certi versi noioso, per altri eccessivamente tecnico. Se lo
faccio - se ci provo - è per una sola ragione: quella di Lessig è una
battaglia civile, una delle più importanti che la rete Internet si trovi ad
affrontare da quando esiste. Anche se non sembra, anche se in Europa tutto
sommato se ne è parlato pochissimo.
Sintetizzo i fatti: nel 1998 il Congresso Americano decide di estendere il
copyright di ulteriori 20 anni. Si tratta dell'undicesima estensione consecutiva
nell'arco di meno di mezzo secolo, a copertura di quanti controllano il diritto
d'autore su qualsiasi opera dell'ingegno. Il provvedimento è ispirato e
fortemente voluto dalla potente lobby dell'industria dell'intrattenimento, in
particolare da Walt Disney Corporation. Non sfugge a nessuno in quegli anni che
si sta avvicinando rapidamente il momento in cui i primi filmati di Mickey
Mouse, il mitico Topolino delle nostre letture infantili, sarebbero divenuti di
pubblico dominio.
Contro tale ennesima estensione del copyright un lungo elenco di soggetti
guidati dal Prof. Lessig decide di fare opposizione. Le motivazioni di base sono
molto semplici: se gli scopi della nazione sono quelli che favorire le arti e la
scienza come recita la Costituzione, la continua contrazione del materiale di
pubblico dominio disponibile va contro questa esigenza. Per tutelare gli
interessi economici di pochi si ledono i diritti alla conoscenza di tutti gli
altri. La diatriba legale, iniziata nel 1999, è giunta davanti alla Corte
Suprema lo scorso 9 ottobre. La sentenza è attesa per la prossima primavera.
Provo a fare qualche esempio pratico per specificare meglio.
Nel 1930 in USA sono stati editi circa 10.000 libri. Di questa marea di scritti
oggi ne sono ancora in circolazione nelle librerie 174. Secondo la precedente
legge americana (che si vuole uniformare con quella europea) nel 2005 circa 9850
di questi testi sarebbero diventati di pubblico dominio. Chiunque avrebbe potuto
stamparli, riprodurli, digitalizzarli e renderli disponibili in rete.
Tutti sappiamo che nell'epoca digitale gran parte dei limiti fisici alla
diffusione delle informazioni si sono azzerati, fondazioni come il Progetto Gutemberg (o Liber Liber, la sua versione
italiana) avrebbero potuto liberamente accedere a questa immensa biblioteca di
testi e renderla disponibile per tutti. Ma l'aspetto più significativo di tutta
la questione è che su questi 9850 libri che nessuno oggi stampa, nessun
legittimo detentore di copyright guadagna un solo dollaro. Si tratta di testi
negati al pubblico dominio (e con essi centinaia di film opere musicali etc) per
preservare un diritto che nessuno concretamente esercita. Vi viene in mente uno
spreco di cultura più grande? Bene, Walt Disney per estendere i suoi guadagni
su Topolino, vuole chiudere in cassaforte la memoria storica del 1930 (e quella
di molti altri anni) per ulteriori 20 anni.
Io spero che l'esempio renda l'idea dell'enormità della cosa.
I diritti di sfruttamento commerciale di pochissimi limitano di fatto l'accesso
alla cultura del mondo intero. E quel che è peggio ciò accade in una società
che oggi ha finalmente, e per la prima volta, gli strumenti tecnologici per
rendere tutto questo bagaglio di informazioni disponibili interamente e
liberamente. Fosse accaduto 20 anni fa il danno sarebbe stato infinitamente
minore.
Per ottenere questa ulteriore concessione verso la fine degli anni 90 Disney in
associazione con altri soggetti quali Time Warner, Sony, RIAA e Dreamworks ha
"investito" più di 6 milioni di dollari in campagne congressuali. Il
congresso ha ricambiato con la legge di estensione del copyright che prende il
nome dall'ex cantante prestato alla politica, Sonny Bono, morto poco tempo prima
dell'approvazione del provvedimento schiantandosi contro un albero mentre sciava
imbottito di psicofarmaci. Il Sonny Bono Copyright Extension Act è ciò di cui
si discute in questi giorni.
Per ricordare una frase di Lessig divenuta celebre "nessuno può fare a
Disney cio' che Disney ha fatto ai fratelli Grimm". Lessig allude al fatto
che moltissimi fra i più celebri cartoni animati che hanno reso ricca la Disney
sono adattamenti di classici di pubblico dominio quali ad esempio Biancaneve o
Il Gobbo di Notre Dame di Victor Hugo. Al danno si aggiunge quindi, se
possibile, anche una piccola beffa.
Le possibilità che la crociata anticopyright possa raggiungere qualche
risultato davanti alla più alta corte americana sono considerate dagli esperti
scarse. E nonostante ciò, al grido di Liberate Topolino, il team legale di
Lessig è arrivato (perdendo) fino alla Corte Suprema. A questo punto davvero i
nodi sono giunti al pettine e se non altro tutti i media americani hanno
estesamente coperto l'avvenimento.
Le ragioni per cui questo non è un caso che interessa solo la legislazione
americana sono sotto i nostri occhi. Da un lato l'Unione Europea e gli Stati
Uniti hanno in questi anni fatto molti sforzi per armonizzare le proprie
discipline sul diritto d'autore, dall'altro è del tutto evidente quali strette
implicazioni abbiano simili decisioni in un mondo che è ogni giorno più
connesso.
Accanto a Eric Eldred, programmatore unix in pensione con l'hobby della digitalizzazione di libri
in html per le proprie figlie, primo querelante nei confronti del Sonny Bono
copyright extension act, c'è una lunga fila di nomi grandi e piccoli. A fianco di quello di
illustri cattedratici in materie legali e economiche troviamo quello della Free Software Foundation. Vicino
a quello di decine di associazioni culturali ecco quello di Michael Hart
fondatore del Progetto Gutemberg.
Ed accanto a loro anche il nome ingombrante di Intel, ammirevolmente schierata, unica fra le grandi
industrie del settore, per la libera diffusione della conoscenza in tempi di
rivoluzione digitale.
Se la Corte Suprema rigetterà l'istanza di tutti questi bellissimi personaggi
400.000 fra libri, film e canzoni saranno negati a qualunque tipo di
consultazione per i prossimi 20 anni, mentre i dinosauri della vecchia economia
potranno continuare a godere di miliardi di dollari di royalties su Topolino ed
altre quisquilie.
È curioso: decine di articoli apparsi sulla stampa americana in queste
settimane hanno dipinto Lawrence Lessig come un eroe moderno, una specie di Don
Chisciotte che si avventa contro i mulini a vento. Ma creare un eroe buono che
susciti incondizionata ammirazione (anche Jack Valenti anziano boss della MPAA ha espresso la propria
grande stima per il professore di Stanford) non basta. Noi vorremmo davvero che
Topolino venisse liberato. E possibilmente non fra 20 anni. |