Sapete qual è il punto? Il punto di tutta la questione della richiesta di
risarcimento di Mediaset nei confronti di Youtube per le migliaia di ore di
filmati disponibili sul sito di sharing video non riguarda le normative sul
copyright, né la più generica tutela della proprietà intellettuale (sempre
sia lodata) e nemmeno l'annosa questione del considerare i fornitori di servizi
di rete come responsabili per i contenuti che gli utenti decidono di
condividere. Niente di tutto questo, il punto prescinde dalla complessità di
queste questioni a cavallo fra legge, business dei contenuti e comportamenti
degli utenti, e riguarda invece una sola e semplice attitudine: partecipare o
non partecipare al mondo che cambia.
Citare per "almeno" 500 milioni di euro Google, considerandola
responsabile per i contenuti che i suoi utenti hanno riversato in rete, è un
apprezzabile esercizio di miopia contemporanea. Sembra quella cosa antipatica
secondo la quale, visto che non riusciamo a intravedere bene i contorni del
mondo attorno a noi, finiamo per sbattere la testa contro il primo palo
disponibile.
Oppure si tratta di teatrale simulazione. Nel caso specifico le ragioni
potrebbero essere molteplici. Ragioni di business (soldi nelle casse della
società), ragioni di marketing (all'annuncio del contenzioso i titoli Mediaset
hanno guadagnato oltre il 4%) ragioni competitive (Google sta diventando un
serio concorrente per qualsiasi attore del mercato pubblicitario). Ci si
appoggia alle leggi (si tenta di farlo in effetti) non per riparare tanto un
torto subito ma per fare la propria mossa sulla scacchiera complessa del mercato
dei contenuti. In nessun caso si tratta di reale riparazione ad un torto subito
e percepito come tale.
Mediaset non è in questo caso l'unico cavaliere all'assalto dei mulini a
vento. Viacom negli Stati Uniti e Telecinco in Spagna hanno avviato procedimenti
analoghi contro Youtube e sebbene il Financial Times di ieri consideri la richiesta di 500
milioni di euro come "assai ottimistica", in molti hanno giustamente
sottolineato l'inedita analisi presente nel comunicato stampa di Mediaset sulle
"giornate di visione televisiva", per la precisione 315.672, che
Youtube avrebbe contribuito a far perdere al gigante televisivo di Silvio
Berlusconi.
Anche qui nulla di nuovo e occorre forse chiarire una volta per tutte l'ambiguità
dell'industria multimediale quando porta simili argomenti a difesa delle proprie
tesi. Si tratta di posizioni già note: sono più di 10 anni che gli industriali
del software calcolano il mancato guadagno derivante dalla distribuzione
digitale illegale. Per gli azzeccagarbugli della industria multimediale la
palese assurdità dell'equiparare una copia di software copiata e scaricata dal
P2P ad una copia del medesimo programma che non è stata acquistata da quello
stesso "pirata" informatico non crea alcun imbarazzo ed è da sempre
una bugia utile alla causa: riempie i comunicati stampa e colpisce l'ampia massa
di "incolti digitali" esattamente come la improbabile affermazione
delle ore di visione televisive perse da Mediaset per colpa di Youtube.
Come se gli spezzoni televisivi presenti su Youtube potessero essere in qualche
modo ricuciti assieme e ricondotti ad una sana e ordinaria sessione di riposante
ascolto televisivo dal fondo di un divano.
Ora, astenendosi un momento dal contesto specifico della querelle
Mediaset-Youtube, vale forse la pena di riaffermare un paio di questioni note e
pacifiche.
Fino a quando Internet manterrà un briciolo di neutralità, non ci sarà modo
di impedire ai suoi utenti di condividere contenuti digitali in rete. Si potrà
avere l'illusione di vincere qualche battaglia, un Napster qualsiasi potrà
essere forzato alla chiusura o ridotto a più miti consigli da leggi spesso
fatte ad hoc, ma come sanno bene gli industriali della musica che hanno
intrapreso il medesimo percorso con qualche anno di anticipo rispetto ai
broadcaster televisivi, l'unica prospettiva di business concreta di respiro
medio-lungo è quella di iniziare a "leggere" la rete, immaginando
spazi nuovi di presentazione dei propri contenuti e nuove forme di remunerazione
degli stessi.
Per esempio, iniziando a valorizzare il grande lavoro di riedizione e mashup che
gli utenti di programmi televisivi fanno ogni giorno su Youtube, un ambito oggi
senza pari come capacità di filtro contenutistico, dove la TV esce riproposta
in una nuova versione inedita e affascinante, fatta di citazioni, copia-incolla,
selezioni e rivisitazioni digitali. Dove i singoli contenuti escono filtrati e
scelti dagli utenti che ne decidono la pertinenza e il valore, ne dichiarano
l'interesse, applicandolo a nuovi formati temporali brevi e concisi.
Il taglia-incolla digitale scardina certamente una lunga serie di presupposti
economici che oggi rendono potenti e ricche aziende come Mediaset (che a
differenza delle major musicali non può nell'occasione nemmeno piangere la
propria crisi aziendale causata dalla cattiva Internet dei pirati, visto che i
suoi conti sono in ottima salute) e rende urgente non tanto una grande
rivalutazione del modello televisivo che, per una serie di ragioni, a differenza
di quello musicale, si mantiene vivo e vegeto nonostante la rete, quanto semmai
la comprensione che la parte "migliore" (economicamente parlando) dei
propri clienti, quella che interessa maggiormente gli inserzionisti anche della
TV commerciale, sta rapidamente migrando in rete.
Di fronte ad una simile abbagliante capacità di sintesi espressa da Youtube e
dagli utenti, abili ad estrarre dal cilindro indistinto di migliaia di ore di
programmazione TV le poche perle lì contenute, salvandole dall'oblìo
inevitabile e riconsegnandole alla fruizione di chiunque, le aziende televisive
reagiscono come giganti accecati, stimolano il contenzioso e perdono di vista il
valore, rendono ridicoli loro stessi e offrono contemporaneamente un utile
servizio all'interesse generale. Quello di sottolineare, una volta di più, non
solo la precarietà delle normative vigenti in termini di copyright, ma anche la
modesta, modestissima attitudine dell'industria multimediale a far parte dello
scenario dei nuovi contenuti digitali in rete.
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