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I brevetti software sono contro la Costituzione europea

di Nicola Walter Palmieri* – 21.02.05

È appena stato firmato il “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”, che dovrebbe porre “l’Unione europea su nuove basi, e portare riforme essenziali sia delle istituzioni sia delle procedure decisionali”. La Costituzione afferma che l’Unione si fonda su importanti valori, fra cui la democrazia (art. I-2), e che essa si prefigge, come suoi obiettivi, libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei, un mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non falsata, la promozione del progresso scientifico e tecnologico, e quella dei suoi valori e interessi nelle relazioni con il resto del mondo(art. I-3).

L’Unione agisce attraverso un quadro istituzionale che mira a promuovere i valori, perseguire gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini, e quelli degli Stati membri, e garantire la coerenza e l’efficacia delle sue politiche e azioni. Tale quadro istituzionale comprende, fra l’altro, il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri (art. I-19). Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio (dei ministri), la funzione legislativa. Parlamento e Consiglio attuano tra loro una leale cooperazione (artt. I-19 e segg.).

La nuova Costituzione dovrebbe migliorare la capacità di azione delle istituzioni europee e avvicinarle ai cittadini, aprendo la strada a democrazia e trasparenza, e offrendo, con l’inclusione dei diritti fondamentali, protezione ai cittadini europei da abusi a danno dei loro diritti di libertà, uguaglianza e partecipazione.
Il Parlamento ha acquistato, con il diritto di co-decisione legislativa, una migliorata capacità di rappresentare il popolo europeo.
“Le riforme contenute nel trattato costituzionale sono irrinunciabili in vista di una efficace continuazione della politica europea. I traguardi posti dai padri fondatori sono stati raggiunti. Ora occorre guadagnare l’Europa per le nuove generazioni. Con la Costituzione si è posta la prima pietra”.

A turbare questo quadro, positivo, della nuova Europa appena nata, si è inserito un progetto di importanza assolutamente secondaria – anzi inutile – per gli obiettivi propri dell’Unione: la proposta di direttiva per la brevettabilità dei programmi elettronici. Da come si sta svolgendo il copione, gli attori della politica europea giocano le loro parti assumendo posizioni opposte a quanto solennemente espresso nella Costituzione.

Riassumo brevemente, perché i fatti sono noti. Il software non è brevettabile in base alla generale esclusione di principi scientifici e matematici. Per di più, la Convenzione europea dei brevetti del 1973 (CEB) esplicitamente esclude la brevettabilità del software. Anche se irrilevante per l’Europa, persino negli Stati Uniti la Corte Suprema aveva ripetutamente escluso la brevettabilità del software, ma negli anni ‘80 l’Ufficio brevetti di quel Paese iniziò a concedere brevetti su software (e continua a concederli). L’Europa – essenzialmente l’Ufficio Europeo dei Brevetti (UEB) presto incominciò a imitare l’America nel concedere brevetti software, e alcuni tribunali (per esempio il maggiore tribunale tedesco) confermarono recentemente la legittimità della pratica.

Sotto la pressione della grande industria d’oltreoceano del software, e con il sostegno dei brevettualisti del foro di Monaco di Baviera dove ha sede l’UEB, la Commissione europea predispose, nel 2002, una proposta di direttiva di brevetti software. I professori espressero contrarietà, e così fecero diversi partiti politici, e autorità garanti (per esempio, quella della concorrenza e del mercato tedesca). La Commissione riconobbe che persino l’industria era divisa, ma che quella parte di essa che si opponeva alla direttiva era, quanto a fatturato, la meno importante.

Il Parlamento europeo si espresse sulla direttiva in settembre 2003, e apportò numerose e importanti modifiche al testo proposto dalla Commissione. Molti parlamentari ricevettero di lì a poco una lettera della Missione USA a Bruxelles, la quale conteneva i commenti degli Stati Uniti sul documento approvato dal Parlamento europeo. La lettera avvertiva che l’Europa avrebbe violato i suoi impegni contenuti nel trattato TRIPS se la direttiva fosse stata approvata come modificata dal Parlamento. (Il riferimento è all’“Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights”, articolo 27, il quale prescrive che “brevetti dovranno essere concessi per qualsiasi invenzione, sia di prodotto che di processo, in tutti i campi della tecnologia, a condizione che essi siano nuovi, coinvolgano un salto inventivo, e siano capaci di applicazione industriale”).

È notevole – e piccante – che nei documenti europei si legga persistentemente l’acritica considerazione che “la Comunità e gli Stati membri sono obbligati, dalla Convenzione TRIPS – approvata da decisione del Consiglio 94/800/EC del 22 dicembre 1994 – ...a concedere brevetti senza discriminazione quanto al campo di applicazione tecnologica. TRIPS si applica quindi alle invenzioni effettuate con elaboratore elettronico”. I documenti concludono che l’esclusione di brevettabilità contenuta nella CEB riguarda solo attività che non appartengono ad alcun campo tecnologico, mentre i programmi elettronici avrebbero sempre “applicazione industriale”; e che la posizione competitiva dell’industria europea sarebbe avvantaggiata se si eliminasse l’attuale disparità che divide l’Europa dall’America (un assunto che “si prova da sé”).

In verità, TRIPS non obbliga l'Europa ad alcuna specfica azione (l’art. 27 riepiloga solo le condizioni di brevettabilità, note da sempre), i programmi elettronici non hanno applicazione industriale (se non insieme con altre invenzioni, p. es., i sistemi di frenata assistita), e la posizione competitiva europea è invece avvantaggiata da un’Europa senza brevetti software.

Nel maggio 2004 il Consiglio, sotto la presidenza irlandese, approvò un testo di direttiva nel quale le modifiche apportate dal Parlamento erano state eliminate. Parlamentari di tutti i gruppi politici – significativamente uniti in un tempo di prossime elezioni – condannarono questa mancanza di rispetto di democrazia in Europa. Critiche si levarono da seri gruppi di ricerca (Deutsche Bank Research, PriceWaterhouseCoopers), governi, e gruppi politici (per esempio, i quattro gruppi parlamentari tedeschi).

La presidenza olandese, che seguì a quella irlandese, mostrò anch’essa determinazione a passare velocemente (entro la fine del proprio mandato) la direttiva, nel testo originale della Commissione (cioè ignorando le modifiche parlamentari). Questo comportamento era in contrasto persino con la posizione presa dal proprio Parlamento il quale, nel luglio 2004, aveva deliberato con maggioranza di oltre 2/3 di non approvare la direttiva (posizione che reiterò in seguito).

In novembre 2004, la Polonia annunciò che non avrebbe dato il suo sostegno alla proposta, privando così la direttiva della maggioranza qualificata prescritta (il primo novembre 2004 erano entrate in vigore le nuove regole di voto, e il conteggio dei voti favorevoli era ora di 216 contro i 232 necessari). La proposta di direttiva non poteva essere adottata senza ulteriore discussione.
La presidenza olandese annunciò tuttavia che avrebbe fatto adottare la direttiva come punto "A" ("senza discussione") nella riunione sull’ambiente o in quella sull’agricoltura e la pesca, ultime dell’anno 2004, previste per i giorni prima di Natale.

La direttiva sarebbe passata ma lo impedì il ministro polacco venuto di persona per registrare il suo dissenso. Uguale sorte toccò all’ulteriore tentativo di passare la direttiva il 25 gennaio 2005, sempre in seguito al blocco polacco.
La direttiva avrebbe dovuto essere approvata lo scorso 17 febbraio, dopo che la Polonia era stata finalmente neutralizzata “con pressioni diplomatiche”. Ci fu mobilitazione in Rete e sulla piazza. Sempre il 17 febbraio la conferenza dei presidenti di gruppo del Parlamento europeo adottò la risoluzione del comitato legislativo (JURI) del Parlamento, il quale aveva votato, pressoché all’unanimità, di rimandare a capo tutto il processo. E la direttiva non è passata.

Le reazioni della stampa sono state feroci. Basta leggere alcuni titoli: “Brevetti software contro la democrazia parlamentare nella UE”; “Commissione e Consiglio legittimano pratica US dell’UEB”; “Cerimonia di ringraziamento alla Polonia a Varsavia”; “Microsoft: Dateci brevetti software o elimineremo 800 posti di lavoro in Danimarca”; “Socialisti democratici danesi: estorsione non dovrà decidere politiche IT danesi” (e la FFII propone una nuova bandiera per l’Europa).

Perché tutto questo? Se si guarda alle priorità, c’è molto di più importante da fare, in Europa, che occuparsi con accanimento dei brevetti software. Se ci si sofferma sulla genesi di questo progetto, se si valuta il significato della lettera americana ai parlamentari europei, se fosse vero – come suggerisce l’agenzia stampa sopra citata – che il Sig. Gates ha minacciato di ritorcere con disinvestimenti se non si porrà fine alla resistenza alla direttiva, non ci vorrebbe molto per concludere che la direttiva, lungi dall’essere intesa a soddisfare valori europei, persegue interessi eminentemente extracomunitari.

Chi avesse dubbi sulle vere motivazioni dei promotori della brevettabilità del software dovrebbe rileggere le parole attribuite al Sig. Gates (citazione di un memorandum di Gates, del 1991, nel libro The Future of Ideas, di Lawrence Lessig): "Se la gente avesse compreso, al tempo quando gran parte delle idee odierne sono state sviluppate, come si sarebbero concessi [in futuro] i brevetti, e avesse allora ottenuto brevetti, l'industria sarebbe oggi a un punto di stallo completo". Per fortuna, la gente non lo ha fatto, e Gates esortò quindi i suoi a farlo, cioè a sfruttare al massimo la situazione che si era creata, in America, con la brevettabilità del software perché, a suo dire, era compito della grande industria di brevettare quanto più possibile e tenere lontana la concorrenza. Nelle sue stesse parole: "La soluzione . . . è lo scambio di brevetti . . . e brevettare quanto più si può. . . . Un futuro 'start-up' senza brevetti propri sarà costretto a pagare qualsiasi prezzo che i giganti sceglieranno di imporre. Questo prezzo potrà essere alto: l'industria affermata ha interesse a escludere i futuri concorrenti."

Le parole di Gates sono comprensibili - anche se non condivisibili - se viste dalla prospettiva di chi domina il mercato. Ma l'Europa non deve accettare questa impostazione perniciosa e contraria ai suoi interessi, e non deve assolutamente imporla ai suoi cittadini. Se lo facesse, violerebbe la sua nuova Costituzione, la quale prescrive, con chiarezza, che la UE deve promuovere i suoi valori e interessi nelle relazioni con il resto del mondo, deve agire attraverso istituzioni che promuovano i valori, perseguano gli obiettivi, e servano i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini, e quelli degli Stati membri, e il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri devono comportarsi con leale cooperazione. Se i politici europei obbedissero a questi semplici comandi della loro, della nostra, legge fondamentale, potremmo chiudere e dimenticare l’incidente, tanto penoso quanto inutile, dei “brevetti software”.

La situazione è grave. Se i nostri politici europei si lasciano intimidire dalla aggressività, e irretire dalla retorica, di chi dispone del potere del denaro, come riuscirà mai l’Europa a mantenere la promessa di diventare la guida spirituale ed economica del mondo? Cosa possiamo fare per dare vita alla nostra nuova Costituzione? Il momento è difficile, i più sono pronti ad arrendersi.

Chi chiedesse per strada a un cittadino europeo cosa pensa dell’Unione europea, otterrebbe come risposta “grazie per l’euro e per avere abolito i confini e le dogane; ma ora basta; aboliamo Bruxelles”. Occorre assolutamente fare qualcosa per invertire questo atteggiamento di rassegnata rinuncia e di sfiducia. Gli europei dovrebbero finalmente incominciare a camminare a testa alta, e comportarsi da veri europei. “The greatest menace to freedom is an inert people”. Lo aveva già scritto, molti anni fa, il giudice Louis Brandeis della Corte Suprema americana.
 

* Avvocato - New York, Montreal 

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