È appena stato firmato il “Trattato che adotta una
Costituzione per l’Europa”, che dovrebbe porre “l’Unione europea su
nuove basi, e portare riforme essenziali sia delle istituzioni sia delle
procedure decisionali”. La Costituzione afferma che l’Unione si fonda su
importanti valori, fra cui la democrazia (art. I-2), e che essa si prefigge,
come suoi obiettivi, libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei, un
mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non falsata, la promozione
del progresso scientifico e tecnologico, e quella dei suoi valori e
interessi nelle relazioni con il resto del mondo(art. I-3).
L’Unione agisce attraverso un quadro istituzionale che mira
a promuovere i valori, perseguire gli obiettivi, servire i suoi
interessi, quelli dei suoi cittadini, e quelli degli Stati membri, e
garantire la coerenza e l’efficacia delle sue politiche e azioni. Tale quadro
istituzionale comprende, fra l’altro, il Parlamento europeo e il Consiglio dei
ministri (art. I-19). Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al
Consiglio (dei ministri), la funzione legislativa. Parlamento e Consiglio
attuano tra loro una leale cooperazione (artt. I-19 e segg.).
La nuova Costituzione dovrebbe migliorare la capacità di
azione delle istituzioni europee e avvicinarle ai cittadini, aprendo la strada a
democrazia e trasparenza, e offrendo, con l’inclusione dei diritti
fondamentali, protezione ai cittadini europei da abusi a danno dei loro diritti
di libertà, uguaglianza e partecipazione.
Il Parlamento ha acquistato, con il diritto di co-decisione legislativa, una
migliorata capacità di rappresentare il popolo europeo.
“Le riforme contenute nel trattato costituzionale sono irrinunciabili in vista
di una efficace continuazione della politica europea. I traguardi posti dai
padri fondatori sono stati raggiunti. Ora occorre guadagnare l’Europa per le
nuove generazioni. Con la Costituzione si è posta la prima pietra”.
A turbare questo quadro, positivo, della nuova Europa appena
nata, si è inserito un progetto di importanza assolutamente secondaria – anzi
inutile – per gli obiettivi propri dell’Unione: la proposta di
direttiva per la brevettabilità dei programmi elettronici. Da come si sta
svolgendo il copione, gli attori della politica europea giocano le loro parti
assumendo posizioni opposte a quanto solennemente espresso nella Costituzione.
Riassumo brevemente, perché i fatti sono noti. Il software
non è brevettabile in base alla generale esclusione di principi scientifici e
matematici. Per di più, la Convenzione europea dei brevetti del 1973 (CEB)
esplicitamente esclude la brevettabilità del software. Anche se irrilevante per
l’Europa, persino negli Stati Uniti la Corte Suprema aveva ripetutamente
escluso la brevettabilità del software, ma negli anni ‘80 l’Ufficio
brevetti di quel Paese iniziò a concedere brevetti su software (e continua a
concederli). L’Europa – essenzialmente l’Ufficio Europeo dei Brevetti (UEB)
presto incominciò a imitare l’America nel concedere brevetti software, e
alcuni tribunali (per esempio il maggiore tribunale tedesco) confermarono
recentemente la legittimità della pratica.
Sotto la pressione della grande industria d’oltreoceano del
software, e con il sostegno dei brevettualisti del foro di Monaco di Baviera
dove ha sede l’UEB, la Commissione europea predispose, nel 2002, una proposta
di direttiva di brevetti software. I professori espressero contrarietà, e così
fecero diversi partiti politici, e autorità garanti (per esempio, quella della
concorrenza e del mercato tedesca). La Commissione riconobbe che persino l’industria
era divisa, ma che quella parte di essa che si opponeva alla direttiva era,
quanto a fatturato, la meno importante.
Il Parlamento europeo si espresse sulla direttiva in
settembre 2003, e apportò numerose e importanti modifiche al testo proposto
dalla Commissione. Molti parlamentari ricevettero di lì a poco una lettera
della Missione USA a Bruxelles, la quale conteneva i commenti degli Stati Uniti
sul documento approvato dal Parlamento europeo. La lettera avvertiva che l’Europa
avrebbe violato i suoi impegni contenuti nel trattato TRIPS se la direttiva
fosse stata approvata come modificata dal Parlamento. (Il riferimento è all’“Agreement
on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights”, articolo 27, il
quale prescrive che “brevetti dovranno essere concessi per qualsiasi
invenzione, sia di prodotto che di processo, in tutti i campi della tecnologia,
a condizione che essi siano nuovi, coinvolgano un salto inventivo, e siano
capaci di applicazione industriale”).
È notevole – e piccante – che nei documenti europei si
legga persistentemente l’acritica considerazione che “la Comunità e gli
Stati membri sono obbligati, dalla Convenzione TRIPS – approvata da decisione
del Consiglio 94/800/EC del 22 dicembre 1994 – ...a concedere brevetti senza
discriminazione quanto al campo di applicazione tecnologica. TRIPS si applica
quindi alle invenzioni effettuate con elaboratore elettronico”. I documenti
concludono che l’esclusione di brevettabilità contenuta nella CEB riguarda
solo attività che non appartengono ad alcun campo tecnologico, mentre i
programmi elettronici avrebbero sempre “applicazione industriale”; e che la
posizione competitiva dell’industria europea sarebbe avvantaggiata se si
eliminasse l’attuale disparità che divide l’Europa dall’America (un
assunto che “si prova da sé”).
In verità, TRIPS non obbliga l'Europa ad alcuna specfica azione (l’art. 27
riepiloga solo le condizioni di brevettabilità, note da sempre), i programmi
elettronici non hanno applicazione industriale (se non insieme con altre
invenzioni, p. es., i sistemi di frenata assistita), e la posizione competitiva
europea è invece avvantaggiata da un’Europa senza brevetti software.
Nel maggio 2004 il Consiglio, sotto la presidenza irlandese,
approvò un testo di direttiva nel quale le modifiche apportate dal Parlamento
erano state eliminate. Parlamentari di tutti i gruppi politici –
significativamente uniti in un tempo di prossime elezioni – condannarono
questa mancanza di rispetto di democrazia in Europa. Critiche si levarono da
seri gruppi di ricerca (Deutsche Bank Research, PriceWaterhouseCoopers),
governi, e gruppi politici (per esempio, i quattro gruppi parlamentari
tedeschi).
La presidenza olandese, che seguì a quella irlandese,
mostrò anch’essa determinazione a passare velocemente (entro la fine del
proprio mandato) la direttiva, nel testo originale della Commissione (cioè
ignorando le modifiche parlamentari). Questo comportamento era in contrasto
persino con la posizione presa dal proprio Parlamento il quale, nel luglio 2004,
aveva deliberato con maggioranza di oltre 2/3 di non approvare la direttiva
(posizione che reiterò in seguito).
In novembre 2004, la Polonia annunciò che non avrebbe dato
il suo sostegno alla proposta, privando così la direttiva della maggioranza
qualificata prescritta (il primo novembre 2004 erano entrate in vigore le nuove
regole di voto, e il conteggio dei voti favorevoli era ora di 216 contro i 232
necessari). La proposta di direttiva non poteva essere adottata senza ulteriore
discussione.
La presidenza olandese annunciò tuttavia che avrebbe fatto adottare la
direttiva come punto "A" ("senza discussione") nella riunione sull’ambiente o in quella sull’agricoltura e la
pesca, ultime dell’anno 2004, previste per i giorni prima di Natale.
La direttiva sarebbe passata ma lo impedì il ministro
polacco venuto di persona per registrare il suo dissenso. Uguale sorte toccò
all’ulteriore tentativo di passare la direttiva il 25 gennaio 2005, sempre in
seguito al blocco polacco.
La direttiva avrebbe dovuto essere approvata lo scorso 17 febbraio, dopo che la
Polonia era stata finalmente neutralizzata “con pressioni diplomatiche”. Ci fu
mobilitazione in Rete e sulla piazza. Sempre il 17 febbraio la conferenza dei
presidenti di gruppo del Parlamento europeo adottò la risoluzione del comitato
legislativo (JURI) del Parlamento, il quale aveva votato, pressoché all’unanimità,
di rimandare a capo tutto il processo. E la direttiva non è passata.
Le reazioni della stampa sono state feroci. Basta leggere
alcuni titoli: “Brevetti software contro la democrazia parlamentare nella UE”;
“Commissione e Consiglio legittimano pratica US dell’UEB”; “Cerimonia di
ringraziamento alla Polonia a Varsavia”; “Microsoft: Dateci brevetti
software o elimineremo 800 posti di lavoro in Danimarca”; “Socialisti
democratici danesi: estorsione non dovrà decidere politiche IT danesi” (e la
FFII propone una nuova bandiera per l’Europa).
Perché tutto questo? Se si guarda alle priorità, c’è
molto di più importante da fare, in Europa, che occuparsi con accanimento dei
brevetti software. Se ci si sofferma sulla genesi di questo progetto, se si
valuta il significato della lettera americana ai parlamentari europei, se fosse
vero – come suggerisce l’agenzia stampa sopra citata – che il Sig. Gates
ha minacciato di ritorcere con disinvestimenti se non si porrà fine alla
resistenza alla direttiva, non ci vorrebbe molto per concludere che la
direttiva, lungi dall’essere intesa a soddisfare valori europei, persegue
interessi eminentemente extracomunitari.
Chi avesse dubbi sulle vere motivazioni dei promotori della
brevettabilità del software dovrebbe rileggere le parole attribuite al Sig.
Gates (citazione di un memorandum di Gates, del 1991, nel libro The Future of
Ideas, di Lawrence Lessig): "Se la gente avesse compreso, al tempo quando
gran parte delle idee odierne sono state sviluppate, come si sarebbero concessi
[in futuro] i brevetti, e avesse allora ottenuto brevetti, l'industria sarebbe
oggi a un punto di stallo completo". Per fortuna, la gente non lo ha fatto,
e Gates esortò quindi i suoi a farlo, cioè a sfruttare al massimo la
situazione che si era creata, in America, con la brevettabilità del software
perché, a suo dire, era compito della grande industria di brevettare quanto
più possibile e tenere lontana la concorrenza. Nelle sue stesse parole:
"La soluzione . . . è lo scambio di brevetti . . . e brevettare quanto
più si può. . . . Un futuro 'start-up' senza brevetti propri sarà costretto a
pagare qualsiasi prezzo che i giganti sceglieranno di imporre. Questo prezzo
potrà essere alto: l'industria affermata ha interesse a escludere i futuri
concorrenti."
Le parole di Gates sono comprensibili - anche se non
condivisibili - se viste dalla prospettiva di chi domina il mercato. Ma l'Europa
non deve accettare questa impostazione perniciosa e contraria ai suoi interessi,
e non deve assolutamente imporla ai suoi cittadini. Se lo facesse, violerebbe la
sua nuova Costituzione, la quale prescrive, con chiarezza, che la UE deve
promuovere i suoi valori e interessi nelle relazioni con il resto del
mondo, deve agire attraverso istituzioni che promuovano i valori, perseguano gli
obiettivi, e servano i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini,
e quelli degli Stati membri, e il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri
devono comportarsi con leale cooperazione. Se i politici europei obbedissero a
questi semplici comandi della loro, della nostra, legge fondamentale, potremmo
chiudere e dimenticare l’incidente, tanto penoso quanto inutile, dei “brevetti
software”.
La situazione è grave. Se i nostri politici
europei si lasciano intimidire dalla aggressività, e irretire dalla retorica,
di chi dispone del potere del denaro, come riuscirà mai l’Europa a mantenere
la promessa di diventare la guida spirituale ed economica del mondo? Cosa
possiamo fare per dare vita alla nostra nuova Costituzione? Il momento è
difficile, i più sono pronti ad arrendersi.
Chi chiedesse per strada a un cittadino europeo cosa pensa
dell’Unione europea, otterrebbe come risposta “grazie per l’euro e per
avere abolito i confini e le dogane; ma ora basta; aboliamo Bruxelles”.
Occorre assolutamente fare qualcosa per invertire questo atteggiamento di
rassegnata rinuncia e di sfiducia. Gli europei dovrebbero finalmente
incominciare a camminare a testa alta, e comportarsi da veri europei. “The
greatest menace to freedom is an inert people”. Lo aveva già scritto,
molti anni fa, il giudice Louis Brandeis della Corte Suprema americana.
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