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Diritto d'autore

Contenuti: giardino recintato o campo di concentramento? 

di Paolo Nuti - 13.02.06 (da AudioRewiew, febbraio 2006)

 
iTunes Music Store, il servizio di vendita on line di brani musicali della Apple che ha iniziato la propria attività a maggio 2003, ha già venduto oltre 800 milioni di brani musicali. Il che, a un dollaro - o a un euro – per ciascun download fa un gran bel fatturato.
Non pago di questo straordinario successo, lo scorso 12 ottobre Steeve Jobs ha lanciato la versione 6 di iTunes, che consente l’acquisto on line non solo di clip musicali, ma anche di film (tra i quali spiccano un paio di serial televisivi di grande successo: “Lost” e “Desperate Housewives”). Tremila titoli che per 1,99 dollari possono essere scaricati legalmente da Internet e visti sul proprio computer o sul nuovo iPod con schermo a colori da 6,25 centimetri. Dopo venti giorni, alla fine di ottobre, i clienti statunitensi di iTunes avevano già acquistato via Internet 1 milione di filmati.

Il momento in cui la fruizione dell’impianto Audio e di quello Home Theater via Internet costituirà la norma e non l’eccezione si sta avvicinando rapidamente, anche se in Europa lo sviluppo del download, ed in particolare di quello video, è più lento che negli USA.

Nel corso di un convegno organizzato a Bruxelles da “Puntoit” (una associazione di “addetti ai lavori” che si propone di promuovere lo sviluppo della società dell’informazione), Josiane Morel, responsabile affari regolamentari della Apple presso la Commissione Europea, ha sottolineato come le forti differenze tra le legislazioni nazionali in materia di tutela del diritto di autore costituiscano un grosso ostacolo ad un più rapido sviluppo anche in Europa di questa modalità di distribuzione dei contenuti.
Differenze che si manifestano sia in termini di disponibilità dei contenuti che di prelievo a titolo di equo compenso (“levy”) sulla vendita dei supporti vergine.

Per essere concreti: il consumatore che acquista in Italia un DVD +/- R registrabile paga 0,87 Euro di “levy”. In Germania, viceversa, non c’è la levy sul DVD vergine. Di conseguenza, il prezzo al consumo in Italia dal supporto vergine è da tre a quattro volte maggiore di quello tedesco, Fatto che genera non solo un flusso di acquisti (via Internet) di DVD vergini dall’Italia alla Germania, ma anche una distorsione geografica del mercato della videoregistrazione.

La Morel ha certamente ragione, ma trascura un importante protagonista della filiera distributiva: il fornitori di servizi di telecomunicazione. Una approssimazione lecita in paesi, come Stati Uniti, Giappone e Corea nei quali la banda larga è veramente tale. Ma non in Italia e in buona parte d’Europa.

Il servizio telefonico, tradizionalmente percepito come un tutt’uno, si compone in realtà di due parti: l’accesso (allacciamento alla rete telefonica, normalmente pagato con “il canone”) e la commutazione, ovverosia l’instradamento delle “telefonate” verso il destinatario. Con l’avvento della “braodband Internet” (larga banda, ADSL, fibra ottica, etc.), e di una serie di tecnologie raccolte sotto l’acronimo “VoIP”, questi due servizi possono oggi essere acquistati separatamente: l’accesso ad Internet dall’operatore A e il servizio di segnalazione dall’operatore B. Per fornire l’accesso occorrono forti investimenti infrastrutturali distribuiti su tutto il territorio consistenti nello scavo di trincee per interrare cavi in rame e/o fibra ottica. Investimenti in larga misura fatti ed ammortizzati ai tempi del monopolio. Anche per fornire i servizi servono investimenti infrastrutturali significativi, che possono però essere concentrati un'unica (o poche) “server farm” e sono quindi molto più alla portata di imprese di medie e piccole dimensioni.

Naturalmente l’operatore tipicamente “ex monopolista” che in origine aveva i clienti tutti per sé, non si rassegna ad accontentarsi dei soli ricavi derivanti dal solo accesso larga banda ad Internet e cerca di truccare la partita in modo tale da costringere il cliente di accesso ad acquistare da lui anche il servizio di segnalazione. Questo gioco si chiama “double play” e si realizza fornendo al cliente un accesso a banda larga, in termini di massima velocità di trasferimento dati, ma contemporaneamente stretta, anzi strettissima, in termini di minimo garantito con continuita. In definitiva del tutto inadatta al trasporto dei servizi voce offerti da un’operatore diverso da quello di accesso.

Con l’avvento della distribuzione di contenuti musicali e cinematografici via internet , il gioco della fidelizzazione obtorto collo del cliente finale da doppio passa a triplo. La grande scommessa dei maggiori operatori di telecomunicazioni su rete cablata è oggi quella di riuscire ad avere clienti di accesso costretti a comprare servizi e contenuti direttamente, e solo, da loro.
Il “triple play” “Internet, voce, televisione via Internet” di cui certamente avrete letto sulla stampa economica e di informazione, si basa proprio sull’assunto che il cliente compri i contenuti ed i servizi non da chi più gli aggrada, ma solo (o prevalentemente) dal proprio fornitore di accesso.
La Morel trascura, a mio avviso, proprio questo rischio.

Naturalmente, poiché un eventuale successo del triple play porterebbe in tempi rapidissimi ad un nuovo monopolio, quello della banda larga. Giovanni Floris ha così sintetizzato il concetto:“il monopolio delle telecomunicazioni, uscito dalla porta della telefonia, rischia di rientrare dalla finestra della banda larga”. Poiché sussiste il rischio di un condizionamento dei contenuti e non solo della loro distribuzione, dobbiamo augurarci che tutto questo non accada.

Tutti debbono poter accedere ai contenuti comunque distribuiti da qualsiasi fornitore di contenuti, indipendentemente da quale sia il proprio fornitore di accesso. Sembra banale. Ma tutte le attuali offerte “triple play” sono viceversa basate sull’”walled garden” , il giardino recintato (rectius, il campo di concentramento) dal quale il cliente non può scappare.
La chiave di volta si chiama “interoperabilità dei servizi e delle reti di distribuzione dei contenuti”. I triplogiochisti dicono che non ci sono le tecnologie. Noi crediamo che non sia vero e ci auguriamo che qualcuno lo dimostri, in pratica, al più presto.

 

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