Si profila un altro colpo alla libertà di diffusione del pensiero: la
Commissione europea il 16 gennaio scorso ha aperto una "procedura di
infrazione" nei confronti di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Lussemburgo e Irlanda.
Oggetto della contestazione è la mancata attuazione delle disposizioni della
direttiva 1992/100/CEE del 19 novembre 1992, "concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale".
Alt. Che senso ha l'espressione "diritto d'autore in materia di
proprietà intellettuale"? Esiste un diritto d'autore che non sia materia
di proprietà intellettuale? L'originale in inglese suona Council Directive 92/100/EEC of 19 November 1992 on rental right and lending right and on certain rights related to copyright in the field of intellectual property:
dunque non è il solito errore di traduzione. Lasciamo perdere questi sofismi e
veniamo al dunque.
In estrema sintesi, la contestazione comunitaria riguarda le norme
che in Italia, e negli altri Stati membri citati, prevedono il prestito
gratuito da parte delle biblioteche pubbliche di libri e altre opere
protette dal diritto d'autore. Mentre la direttiva, con le solite contorsioni
logiche, stabilisce al primo comma dell'art. 5 che "Gli Stati membri possono derogare al diritto esclusivo previsto all'articolo 1 per il prestito da parte di istituzioni pubbliche, a condizione che almeno gli autori ricevano una remunerazione per tale prestito. Gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire tale remunerazione tenendo conto dei loro obiettivi di promozione
culturale".
L'Italia ha recepito la direttiva con il decreto legislativo 16 novembre 1994 n. 685,
che ha modificato l'art. 69 della legge
sul diritto d'autore, che nell'ultima versione dice: "1. Il prestito eseguito dalle biblioteche e discoteche dello Stato e
degli enti pubblici, ai fini esclusivi di promozione culturale e studio
personale, non è soggetto ad autorizzazione da parte del titolare del
relativo diritto, al quale non è dovuta alcuna remunerazione...".
Sembra difficile negare la violazione letterale del precetto comunitario. Ma
il punto è un altro: il prestito gratuito da parte delle biblioteche pubbliche
è un fondamentale strumento di diffusione della conoscenza. Far pagare agli
utenti un importo, sia pure minimo, è in contraddizione con la funzione
originaria di queste istituzioni. Porre il balzello a carico delle stesse
biblioteche costituirebbe un grave colpo per i loro magri bilanci.
La direttiva del '92 non è altro che un'espressione della rapacità
dell'industria dei contenuti, come tante che l'ha preceduta (vedi, per tutte, la
91/250/CEE "Tutela giuridica dei programmi per elaboratore") e tante
altre che l'hanno seguita. Due esempi recentissimi, non ancora approvati: le
proposte relative alla cosiddetta "brevettabilità del software" e
"IPR enforcement" (ne abbiamo parlato in particolare sul n. 272 del 10 novembre 2003).
Ma è inutile ripetere i discorsi che abbiamo fatto in altre occasioni, anche a proposito della asserita tutela del diritto d'autore che in
realtà protegge solo gli interessi degli editori. Non c'è peggior sordo di chi
non vuol sentire.
Una tradizione come quella del prestito gratuito da parte delle biblioteche
pubbliche non può essere cancellata da una direttiva comunitaria con la scusa
della "armonizzazione del mercato". E' in gioco la nostra stessa
eredità culturale. "Non sappiamo a quale idea di Europa risponda l'intenzione di introdurre il pagamento di una tariffa per il servizio di prestito: certo non a un'idea di Europa della libertà e della promozione della
cultura", si legge in un appello al
presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, che segue un primo Manifesto in difesa del prestito gratuito in biblioteca,
pubblicato in seguito alla notizia della procedura di infrazione dal Gruppo
Bibl'aria.
La protesta si sta diffondendo a grande velocità sull'internet, ma è difficile sperare che possa avere un effetto immediato sulla procedura di
infrazione.
Staremo a vedere. L'unico fatto certo è che quella che chiamiamo
"società dell'informazione" si rivela sempre più come la
"società dell'informazione a pagamento". Ovvero
"dell'informazione negata". E' un peccato che le grandi prospettive di
diffusione della conoscenza, aperte dieci anni fa dalla nascita del web, si
rivelino sempre più come un'opportunità di sviluppo non per tutta la
comunità, ma esclusivamente per i soliti mercanti.
|