L'ingegner Paolo Vigevano, capo della segreteria tecnica del ministro
Stanca, è il presidente della "Commissione per i contenuti digitali nell'era
di Internet", istituita con un decreto interministeriale (innovazione,
beni culturali e comunicazioni) lo scorso 23 luglio, detta anche
"commissione Vigevano" o "commissione e-content". Con lui
abbiamo cercato di fare il punto non solo sui lavori della commissione, ma
soprattutto con le prospettive del mercato dei contenuti in un futuro non
lontano. E abbiamo ricevuto qualche risposta tanto interessante quanto, almeno
in parte, inattesa...
D. Presidente Vigevano, a che punto sono i lavori della commissione
"per i contenuti digitali nell'era di Internet"?
R. Una premessa: questa commissione è stata istituita con un decreto
interministeriale del 23 luglio scorso, emanato dal Ministro per l'innovazione
e le tecnologie di concerto con il Ministro per i beni culturali e il Ministro
delle comunicazioni. La sua costituzione è prevista anche dal DDL 2980, in
discussione al Senato, che contiene anche una serie di modifiche al
"decreto Urbani" dopo la sua conversione in legge. Il DDL cancella, di
fatto, tutte le previsioni del decreto Urbani in materia di contenuti digitali.
A luglio il DDL era già in sede legislativa, per cui si presumeva che noi
avremmo iniziato i nostri lavori a norme già approvate. Invece c'è stato un
fermo in Commissione bilancio, dovuto a problemi di copertura finanziaria, ma
non per la parte che ci riguarda. Ieri sera (9 novembre, ndr) ho avuto notizia
dal presidente Asciutti che la situazione si è sbloccata e quindi l'approvazione
del DDL dovrebbe essere imminente. Di fatto, però, la commissione ha operato
ancora con il dubbio che qualche residuo del provvedimento Urbani restasse
ancora in vigore.
Nel frattempo abbiamo praticamente concluso le audizioni: delle sessanta
previste ne abbiamo svolte cinquantaquattro, un grosso lavoro in termine di ore,
ma nessuno potrà dire che tutti gli interessati non sono stati ascoltati.
D. Veramente qualcuno l'ha detto...
R. Qualcuno ci ha provato, in maniera impropria e inopportuna, perché
gli è stato dato modo comunque di parlare e fornire documentazione. Infatti
queste proteste dopo un po' si sono spente. È stato un caso, e un equivoco.
Comunque ora stiamo cercando di tirare le conclusioni, ed è un lavoro
difficile.
D. Riuscirete a colludere i lavori entro il 30 novembre, come
prevede il decreto interministeriale?
R. Prudenzialmente chiederò un decreto di proroga fino al 31 gennaio, ma
spero comunque di arrivare a una conclusione entro il 30 novembre.
D. Quali sono gli elementi più importanti emersi dalle audizioni?
R. Buona parte delle richieste erano orientate a individuare
provvedimenti contro la pirateria, ma ci sono state anche richieste di
intervento sul provvedimento giacente in parlamento.
D. Ma con l'approvazione del DDL 2980 non dovremmo ritornare
alla situazione precedente?
R. Non ci sono dubbi, le norme proposte sono assolutamente bi-partisan,
condivise da maggioranza e opposizione. SI elimina il bollino, si elimina la
"levy" del 3% su hardware e software e si riporta la fattispecie di
illecito solo ai casi di lucro e non di profitto. Il nostro lavoro inizia
proprio da qui.
D. Un punto molto discusso è l'obbligo per i fornitori di
accesso di rimuovere i contenuti presunti "illeciti" anche senza un
provvedimento dell'autorità giudiziaria, invece della "best practice"
in uso da tempo, di informare chi ha immesso quei contenuti. Qual è l'orientamento
della commissione su questo problema?
R. Cadendo il decreto Urbani, torna in vigore per i provider la norma sul
commercio elettronico, dove la rimozione dei contenuti deve essere richiesta
dall'autorità competente. Questo deve essere un terreno di accordo, piuttosto
che di normazione. È uno dei punti chiave che stiamo discutendo con gli altri
Paesi: notice, notice and take down. Le soluzioni possibili sono
diverse, stiamo tenendo d'occhio soprattutto la situazione in America. Dove
però, nonostante molte affermazioni contrarie, non sono riusciti a fare
sostanziali passi avanti sul piano normativo, dopo la sentenza sul caso Napster.
D. C'è un altro aspetto critico, non legato alla
"Urbani", quello che si potrebbe definire come il "comma 22"
del diritto d'autore: le misure tecnologiche contro la copia sono legittime,
la copia privata è legittima, ma non è lecito eliminare la legittima
protezione per fare la legittima copia. La commissione si è occupata anche di
questo problema?
R. È un argomento di cui ci siamo occupati ed è uno dei punti su cui
bisogna lavorare. Esistono indirizzi a livello internazionale, in ambito WIPO,
che possono costituire dei punti di riferimento. Sostanzialmente si tratta di
vedere i dispositivi di Digital Right Management come attuativi di un
contratto tra il produttore e l'utente finale.
D. Contratto che nella maggior parte dei casi è tutt'altro che
esplicito.
R. Esatto. Ma il problema è in che ambito collocare le violazioni: se
restiamo su una semplice violazione contrattuale, e quindi di carattere privato,
civilistico, o se si debbano configurare forme di reato. Personalmente non credo
che esistano ambiti in cui confinare a priori gli aspetti della
proprietà intellettuale, e d'altra parte il contratto che si va a
sottoscrivere deve essere chiaro. Questo è il punto fondamentale, si devono
rendere molto chiari gli obblighi contrattuali di chi compera un contenuto. In
ogni caso il principio della tutela della proprietà intellettuale va al di là
dei semplici accordi privatistici.
D. In ultima analisi, quali sono i punti critici emersi durante la
prima fase dei lavori?
R. Qui esprimo mie opinioni personali. C'è un problema di
trasformazione: il grande tema è la trasformazione dell'industria culturale, ed
è questa la base delle nostre discussioni. Tutto va inquadrato in questo
contesto, perché altrimenti ci si limita a guardare le giuste iniziative di
tutela dei prodotti dell'ingegno secondo le modalità tradizionali e non ci si
rende conto delle evoluzioni e delle trasformazioni che questo settore sta
subendo. In sintesi il problema è questo: c'è chi è già in condizione di
passare a nuove forme di mercato, come la musica e chi non lo è, come il
cinema, perché non esistono ancora modelli di business da realizzare sulla
rete. E c'è chi resiste all'innovazione per difendere posizioni di
intermediazione a volte inutili. Mi riferisco a una serie di aree, più che di
soggetti, che cercano di tutelare una serie di prerogative e non capiscono che
così rischiano di creare degli scontri molto pericolosi. Non voglio fare nomi,
però non è difficile individuarli, sono diversi sia nel settore pubblico sia
nel settore privato.
Questo è lo scenario di fondo e queste sono le categorie di protagonisti che si
stanno confrontando. E' una materia estremamente complessa, con una normativa
obsoleta che viene messa in crisi dalle nuove tecnologie.
Il fatto è che la tutela del diritto d'autore in Europa è delegata di fatto
alle normative nazionali, pur in presenza di una serie di indicazioni a livello
comunitario, che in passato sembravano un modo di difendersi da un'invasione di
contenuti d'oltre oceano. Se un produttore americano veniva in Europa, doveva
contrattare la distribuzione Paese per Paese. Ma questa situazione ha impedito
anche lo sviluppo di una cultura, di un'industria culturale europea. L'Italia ha
un peso in più, quello del monopolio della SIAE, sancito per legge. E allora il
problema è come far sì che la SIAE possa adeguarsi a questa nuova situazione.
D. Ma il problema non è anche il trasferimento dei contenuti
sulla rete?
R. Sì, cioè i contenuti che viaggiano sulla rete, nelle forme del web,
il peer to peer, il file sharing. La problematica va affrontata
sotto due aspetti. Da una parte, dobbiamo chiederci come promuovere nuovi
mercati, qual è oggi l'interesse della rete, o dell'industria, o di questo
mezzo in generale (non parliamo qui di crescita culturale). Dall'altra parte c'è
il problema delle risorse. Noi sappiamo che le risorse non affluiscono anche
perché i grandi produttori di contenuti non si fidano della rete. Non ci sono
dei modelli di business consolidati. E c'è un fatto clamoroso: noi sappiamo
che i broadcaster tradizionali hanno perso una cifra tra il trenta e il
quaranta per cento dell'utenza a favore dei nuovi media, ma in termini
pubblicitari è rimasto l'assetto precedente, gli investimenti sulla rete non
superano il dieci per cento. Il fatto è che i nuovi media non hanno ancora
costruito modelli di business affidabili su cui si possa investire. Questo è il
problema principale.
D. Ma intanto si insiste sulla difesa dei modelli tradizionali,
con continui attacchi a quelli più attuali, cercando di mantenere il più
possibile gli introiti della distribuzione tradizionale.
R. Sì e no. Il problema è che c'è molta attenzione alla protezione
dalla pirateria, mentre c'è un'evoluzione verso nuovi modelli, che però
hanno un difetto: nascono in sistemi poco competitivi, in Italia ma anche in
Europa. Per cui la lotta e il confronto avverranno tra i broadcaster da
una parte e i fornitori di accesso dall'altra. I quali fornitori di accesso,
grazie alla larga banda, hanno la possibilità di diffondere contenuti di
qualità tecnologica sempre più alta: ormai possono fare in modo che il vecchio
doppino telefonico sia collegato non al PC, ma al televisore. Fastweb è un
esempio. Il confronto però rischia di realizzarsi su modelli di business di
tipo tradizionale, perché di fatto Fastweb è un veicolo televisivo che vive di
abbonamenti e del gettito della pubblicità. Quindi il problema è che non si
costruiscono modelli di business basati sui caratteristiche nuove, come l'interattività
in tutti i suoi aspetti. Questa difficoltà di guardare al futuro è
inevitabile, perché le aziende devono curare i propri conti, ma fa
sopravvalutare a volte gli effetti (che esistono!) della pirateria. Molte volte
in commissione abbiamo chiesto dati o stime sulla pirateria on line, ma la
risposta è sempre stata "la pirateria complessivamente ammonta a X",
però come somma aggregata dell'off line (in sostanza i DVD che si vendono per
la strada) e dell'on line.
D. E comunque sono dati di parte, non verificati.
R. In sostanza non ci hanno fornito dei dati, ci hanno fornito dei
non-dati. Perché mancano, perché sono difficili da trovare. Ma noi dobbiamo
cercare di determinare un ambiente in cui i nuovi modelli di business si
sviluppino. D'altra questo è legato inevitabilmente a tutte le forme di
protezione dei contenuti e di gestione dei diritti che si possono realizzare.
Che sono sì supportati da normative, ma soprattutto da due strumenti: uno sono
le collecting agencies, come la SIAE, che dovranno seguire, assecondare
questo nuovo mercato, attraverso la trasformazione della distribuzione e della
catena del valore che si realizza con l'on line: a favore dell'autore e dell'utente
finale, anziché delle catene intermedie; il secondo è l'uso dei DRM, dei
dispositivi tecnologici, che in realtà non devono essere semplici chiavi di
accesso, ma cose molto più complesse e molto più utili, delle vere e proprie
trasposizioni di diritti digitali contenute nel materiale che viene trasmesso on
line o nel DVD o sul CD. Per cui se compro un DVD o mi scarico un film a
determinate condizioni, la realizzazione di quelle condizioni è automatica, per
cui non posso fare più di tante copie, posso vederlo solo con certi device.
D. Con il problema, però, dell'interoperabilità di questi
strumenti, che non devono costringere l'utente ad acquistare dispositivi
diversi per i diversi tipi di contenuto, o a ricomperare tutto se si sposta da
una "regione" all'altra.
R. Se andiamo a esaminare queste problematiche nella loro complessità e
nella loro evoluzione nel tempo, vediamo che le leggi poco possono fare per
risolvere questa situazione. Sono aree da seguire con intelligenza più che da
"violentare" con norme che poi rischiano di essere poco efficaci.
Fermo restando che la proprietà intellettuale, con tutti i limiti che comporta
rispetto alla concorrenza e alla competitività, è un diritto che va a favore
dello sviluppo della cultura e dell'innovazione. E quindi bisogna riuscire ad
arrivare a un giusto compromesso tra lo sviluppo del mercato e lo sviluppo della
protezione dei diritti.
(Intervista raccolta da Manlio Cammarata il 10 novembre 2004)
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