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Diritto d'autore

Vigevano: il grande tema è la trasformazione dell'industria culturale

19.11.04

 
L'ingegner Paolo Vigevano, capo della segreteria tecnica del ministro Stanca, è il presidente della "Commissione per i contenuti digitali nell'era di Internet", istituita con un decreto interministeriale (innovazione, beni culturali e comunicazioni) lo scorso 23 luglio, detta anche "commissione Vigevano" o "commissione e-content". Con lui abbiamo cercato di fare il punto non solo sui lavori della commissione, ma soprattutto con le prospettive del mercato dei contenuti in un futuro non lontano. E abbiamo ricevuto qualche risposta tanto interessante quanto, almeno in parte, inattesa...

D. Presidente Vigevano, a che punto sono i lavori della commissione "per i contenuti digitali nell'era di Internet"?

R. Una premessa: questa commissione è stata istituita con un decreto interministeriale del 23 luglio scorso, emanato dal Ministro per l'innovazione e le tecnologie di concerto con il Ministro per i beni culturali e il Ministro delle comunicazioni. La sua costituzione è prevista anche dal DDL 2980, in discussione al Senato, che contiene anche una serie di modifiche al "decreto Urbani" dopo la sua conversione in legge. Il DDL cancella, di fatto, tutte le previsioni del decreto Urbani in materia di contenuti digitali.
A luglio il DDL era già in sede legislativa, per cui si presumeva che noi avremmo iniziato i nostri lavori a norme già approvate. Invece c'è stato un fermo in Commissione bilancio, dovuto a problemi di copertura finanziaria, ma non per la parte che ci riguarda. Ieri sera (9 novembre, ndr) ho avuto notizia dal presidente Asciutti che la situazione si è sbloccata e quindi l'approvazione del DDL dovrebbe essere imminente. Di fatto, però, la commissione ha operato ancora con il dubbio che qualche residuo del provvedimento Urbani restasse ancora in vigore.
Nel frattempo abbiamo praticamente concluso le audizioni: delle sessanta previste ne abbiamo svolte cinquantaquattro, un grosso lavoro in termine di ore, ma nessuno potrà dire che tutti gli interessati non sono stati ascoltati.

D. Veramente qualcuno l'ha detto...

R. Qualcuno ci ha provato, in maniera impropria e inopportuna, perché gli è stato dato modo comunque di parlare e fornire documentazione. Infatti queste proteste dopo un po' si sono spente. È stato un caso, e un equivoco. Comunque ora stiamo cercando di tirare le conclusioni, ed è un lavoro difficile.

D. Riuscirete a colludere i lavori entro il 30 novembre, come prevede il decreto interministeriale?

R. Prudenzialmente chiederò un decreto di proroga fino al 31 gennaio, ma spero comunque di arrivare a una conclusione entro il 30 novembre.

D. Quali sono gli elementi più importanti emersi dalle audizioni?

R. Buona parte delle richieste erano orientate a individuare provvedimenti contro la pirateria, ma ci sono state anche richieste di intervento sul provvedimento giacente in parlamento.

D. Ma con l'approvazione del DDL 2980 non dovremmo ritornare alla situazione precedente?

R. Non ci sono dubbi, le norme proposte sono assolutamente bi-partisan, condivise da maggioranza e opposizione. SI elimina il bollino, si elimina la "levy" del 3% su hardware e software e si riporta la fattispecie di illecito solo ai casi di lucro e non di profitto. Il nostro lavoro inizia proprio da qui.

D. Un punto molto discusso è l'obbligo per i fornitori di accesso di rimuovere i contenuti presunti "illeciti" anche senza un provvedimento dell'autorità giudiziaria, invece della "best practice" in uso da tempo, di informare chi ha immesso quei contenuti. Qual è l'orientamento della commissione su questo problema?

R. Cadendo il decreto Urbani, torna in vigore per i provider la norma sul commercio elettronico, dove la rimozione dei contenuti deve essere richiesta dall'autorità competente. Questo deve essere un terreno di accordo, piuttosto che di normazione. È uno dei punti chiave che stiamo discutendo con gli altri Paesi: notice, notice and take down. Le soluzioni possibili sono diverse, stiamo tenendo d'occhio soprattutto la situazione in America. Dove però, nonostante molte affermazioni contrarie, non sono riusciti a fare sostanziali passi avanti sul piano normativo, dopo la sentenza sul caso Napster.

D. C'è un altro aspetto critico, non legato alla "Urbani", quello che si potrebbe definire come il "comma 22" del diritto d'autore: le misure tecnologiche contro la copia sono legittime, la copia privata è legittima, ma non è lecito eliminare la legittima protezione per fare la legittima copia. La commissione si è occupata anche di questo problema?

R. È un argomento di cui ci siamo occupati ed è uno dei punti su cui bisogna lavorare. Esistono indirizzi a livello internazionale, in ambito WIPO, che possono costituire dei punti di riferimento. Sostanzialmente si tratta di vedere i dispositivi di Digital Right Management come attuativi di un contratto tra il produttore e l'utente finale.

D. Contratto che nella maggior parte dei casi è tutt'altro che esplicito.

R. Esatto. Ma il problema è in che ambito collocare le violazioni: se restiamo su una semplice violazione contrattuale, e quindi di carattere privato, civilistico, o se si debbano configurare forme di reato. Personalmente non credo che esistano ambiti in cui confinare a priori gli aspetti della proprietà intellettuale, e d'altra parte il contratto che si va a sottoscrivere deve essere chiaro. Questo è il punto fondamentale, si devono rendere molto chiari gli obblighi contrattuali di chi compera un contenuto. In ogni caso il principio della tutela della proprietà intellettuale va al di là dei semplici accordi privatistici.

D. In ultima analisi, quali sono i punti critici emersi durante la prima fase dei lavori?

R. Qui esprimo mie opinioni personali. C'è un problema di trasformazione: il grande tema è la trasformazione dell'industria culturale, ed è questa la base delle nostre discussioni. Tutto va inquadrato in questo contesto, perché altrimenti ci si limita a guardare le giuste iniziative di tutela dei prodotti dell'ingegno secondo le modalità tradizionali e non ci si rende conto delle evoluzioni e delle trasformazioni che questo settore sta subendo. In sintesi il problema è questo: c'è chi è già in condizione di passare a nuove forme di mercato, come la musica e chi non lo è, come il cinema, perché non esistono ancora modelli di business da realizzare sulla rete. E c'è chi resiste all'innovazione per difendere posizioni di intermediazione a volte inutili. Mi riferisco a una serie di aree, più che di soggetti, che cercano di tutelare una serie di prerogative e non capiscono che così rischiano di creare degli scontri molto pericolosi. Non voglio fare nomi, però non è difficile individuarli, sono diversi sia nel settore pubblico sia nel settore privato.
Questo è lo scenario di fondo e queste sono le categorie di protagonisti che si stanno confrontando. E' una materia estremamente complessa, con una normativa obsoleta che viene messa in crisi dalle nuove tecnologie.
Il fatto è che la tutela del diritto d'autore in Europa è delegata di fatto alle normative nazionali, pur in presenza di una serie di indicazioni a livello comunitario, che in passato sembravano un modo di difendersi da un'invasione di contenuti d'oltre oceano. Se un produttore americano veniva in Europa, doveva contrattare la distribuzione Paese per Paese. Ma questa situazione ha impedito anche lo sviluppo di una cultura, di un'industria culturale europea. L'Italia ha un peso in più, quello del monopolio della SIAE, sancito per legge. E allora il problema è come far sì che la SIAE possa adeguarsi a questa nuova situazione.

D. Ma il problema non è anche il trasferimento dei contenuti sulla rete?

R. Sì, cioè i contenuti che viaggiano sulla rete, nelle forme del web, il peer to peer, il file sharing. La problematica va affrontata sotto due aspetti. Da una parte, dobbiamo chiederci come promuovere nuovi mercati, qual è oggi l'interesse della rete, o dell'industria, o di questo mezzo in generale (non parliamo qui di crescita culturale). Dall'altra parte c'è il problema delle risorse. Noi sappiamo che le risorse non affluiscono anche perché i grandi produttori di contenuti non si fidano della rete. Non ci sono dei modelli di business consolidati. E c'è un fatto clamoroso: noi sappiamo che i broadcaster tradizionali hanno perso una cifra tra il trenta e il quaranta per cento dell'utenza a favore dei nuovi media, ma in termini pubblicitari è rimasto l'assetto precedente, gli investimenti sulla rete non superano il dieci per cento. Il fatto è che i nuovi media non hanno ancora costruito modelli di business affidabili su cui si possa investire. Questo è il problema principale.

D. Ma intanto si insiste sulla difesa dei modelli tradizionali, con continui attacchi a quelli più attuali, cercando di mantenere il più possibile gli introiti della distribuzione tradizionale.

R. Sì e no. Il problema è che c'è molta attenzione alla protezione dalla pirateria, mentre c'è un'evoluzione verso nuovi modelli, che però hanno un difetto: nascono in sistemi poco competitivi, in Italia ma anche in Europa. Per cui la lotta e il confronto avverranno tra i broadcaster da una parte e i fornitori di accesso dall'altra. I quali fornitori di accesso, grazie alla larga banda, hanno la possibilità di diffondere contenuti di qualità tecnologica sempre più alta: ormai possono fare in modo che il vecchio doppino telefonico sia collegato non al PC, ma al televisore. Fastweb è un esempio. Il confronto però rischia di realizzarsi su modelli di business di tipo tradizionale, perché di fatto Fastweb è un veicolo televisivo che vive di abbonamenti e del gettito della pubblicità. Quindi il problema è che non si costruiscono modelli di business basati sui caratteristiche nuove, come l'interattività in tutti i suoi aspetti. Questa difficoltà di guardare al futuro è inevitabile, perché le aziende devono curare i propri conti, ma fa sopravvalutare a volte gli effetti (che esistono!) della pirateria. Molte volte in commissione abbiamo chiesto dati o stime sulla pirateria on line, ma la risposta è sempre stata "la pirateria complessivamente ammonta a X", però come somma aggregata dell'off line (in sostanza i DVD che si vendono per la strada) e dell'on line.

D. E comunque sono dati di parte, non verificati.

R. In sostanza non ci hanno fornito dei dati, ci hanno fornito dei non-dati. Perché mancano, perché sono difficili da trovare. Ma noi dobbiamo cercare di determinare un ambiente in cui i nuovi modelli di business si sviluppino. D'altra questo è legato inevitabilmente a tutte le forme di protezione dei contenuti e di gestione dei diritti che si possono realizzare. Che sono sì supportati da normative, ma soprattutto da due strumenti: uno sono le collecting agencies, come la SIAE, che dovranno seguire, assecondare questo nuovo mercato, attraverso la trasformazione della distribuzione e della catena del valore che si realizza con l'on line: a favore dell'autore e dell'utente finale, anziché delle catene intermedie; il secondo è l'uso dei DRM, dei dispositivi tecnologici, che in realtà non devono essere semplici chiavi di accesso, ma cose molto più complesse e molto più utili, delle vere e proprie trasposizioni di diritti digitali contenute nel materiale che viene trasmesso on line o nel DVD o sul CD. Per cui se compro un DVD o mi scarico un film a determinate condizioni, la realizzazione di quelle condizioni è automatica, per cui non posso fare più di tante copie, posso vederlo solo con certi device.

D. Con il problema, però, dell'interoperabilità di questi strumenti, che non devono costringere l'utente ad acquistare dispositivi diversi per i diversi tipi di contenuto, o a ricomperare tutto se si sposta da una "regione" all'altra.

R. Se andiamo a esaminare queste problematiche nella loro complessità e nella loro evoluzione nel tempo, vediamo che le leggi poco possono fare per risolvere questa situazione. Sono aree da seguire con intelligenza più che da "violentare" con norme che poi rischiano di essere poco efficaci. Fermo restando che la proprietà intellettuale, con tutti i limiti che comporta rispetto alla concorrenza e alla competitività, è un diritto che va a favore dello sviluppo della cultura e dell'innovazione. E quindi bisogna riuscire ad arrivare a un giusto compromesso tra lo sviluppo del mercato e lo sviluppo della protezione dei diritti.

(Intervista raccolta da Manlio Cammarata il 10 novembre 2004)

 
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