Il "baco" e la quadratura
del cerchio
31.10.02
Continuano ad arrivare contributi alla discussione sul "baco" della
firma digitale, da parte di tecnici che operano nel settore della documentazione
digitale. Nulla di nuovo nella sostanza, perché ormai i termini generali della
questione sono chiarissimi e si riassumono nella mancata rispondenza
alle norme delle applicazioni per la generazione e la verifica delle firme.
Però emergono interessanti considerazioni sulle possibili soluzioni del
problema.
Partiamo da un lungo messaggio - tagliato, come al solito, per non approfittare
troppo della pazienza dei lettori - di Orlando Murru (Fst S.r.l) . Nelle
premesse c'è un'osservazione che, ancora una volta, rivela l'errore di fondo
che ricorre nelle discussioni sull'argomento:
... un problema che è insito nella firma digitale,
che serve solo ad apporre un sigillo non modificabile su informazione numerica.
Il fatto è che qui stiamo parlando della firma digitale come il risultato
della procedura informatica (validazione) basata su un sistema di chiavi
asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente al
sottoscrittore tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave
pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e
l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti
informatici (art. 1 del DPR 445/00).
Le applicazioni di firma digitale (intendiamo, ancora una volta, gli strumenti
che servono a generare e verificare le firme digitali qualificate che rendono un
documento informatico "valido e rilevanti a tutti gli effetti di legge")
devono quindi soddisfare, in un modo o nell'altro, la prescrizione normativa. Ma
vediamo il nucleo centrale delle osservazioni di Murru:
Il problema è assolutamente noto: lo standard
XMLSIG per esempio tratta in dettaglio come dare una forma "canonica"
al documento, per arrivare ad una rappresentazione non ambigua del contenuto. È
ovvio poi che se non si ha il pieno controllo del processo di visualizzazione e
del software relativo si è in linea di principio soggetti ad ogni sorta di
attacchi del tipo "cavallo di troia".
Il nodo non è solo tecnico, ma psicologico. Si contrabbanda la nozione che la
firma digitale renderà le cose "più semplici", sorvolando sul fatto
che SEMPRE la sicurezza è inversamente proporzionale alla praticità d'uso, e
non si vede perché la firma digitale dovrebbe rappresentare un'eccezione alla
regola. Per i fornitori di software di firma è perfettamente indifferente porre
limitazioni sui formati dei documenti sottoposti a firma. Sono gli utilizzatori,
tratti in inganno da false promesse, che richiedono funzionalità quali la firma
di documenti Word o ipertesti, senza rendersi conto delle implicazioni di
sicurezza, e non è sempre facile sottrarsi alla pressione di un mercato drogato
da una informazione superficiale.
Personalmente credo che tutta questa questione suggerisca semplicemente che non
si possono firmare rappresentazioni arbitrarie di un documento informatico, ma
solo rappresentazioni canoniche, che garantiscano una corrispondenza chiara tra
contenuto informativo e rappresentazione numerica dello stesso, quali ad esempio
la codifica ASCII, o un formato immagine ben definito quale TIFF o BMP.Al
momento della firma il documento dovrebbe essere preventivamente trasformato in
una sua rappresentazione canonica, visualizzato e poi firmato. D'altronde il
documento firmato è per sua natura non più modificabile, quindi quale sarebbe
l'utilità irrinunciabile di una rappresentazione sofisticata quale quella
MSWord o Excel?
Ovviamente la radice di tutto sta nella vaghezza delle "regole
tecniche" del DPCM dell'8 febbraio 1999. Questa mancanza non stupisce, e
credo che non sia neanche la peggiore delle omissioni perpetrate: per me la più
deleteria per lo sviluppo della firma digitale è stata il silenzio sulle
autorità di registrazione.
La mia esperienza (ho partecipato alla certificazione ITSEC E3 di software di
certificazione) è che le implicazioni dell'art. 10 delle regole tecniche, che
richiede che il documento sia presentato "chiaramente e senza ambiguità
" al sottoscrittore siano state scientemente deenfatizzate dalle CA AIPA in
quanto ci si è resi conto che è impossibile ottenere una certificazione ITSEC
sul software di firma, se in questo si ritengono comprese anche le funzionalità
di visualizzazione. Infatti in tale caso non è possibile distinguere tra
funzionalità offerte dal sistema operativo, driver hardware inclusi, e
applicativo di firma propriamente detto. Una certificazione di sicurezza avrebbe
quindi dovuto riguardare anche il sistema operativo e l'ambiente di esercizio,
cosa chiaramente irrealizzabile. Si è preferito allora convincersi che le
problematiche di sicurezza potevano essere ristrette al solo dispositivo di
firma (smart-card + lettore). Questa posizione logicamente non regge, e il
vostro intervento l'ha messo bene in evidenza.
Ineccepibile. Il quadro tracciato da Murru non solo mette in chiaro le
ragioni tecniche del problema, ma soprattutto rivela gli errori che sono stati
commessi nell'attuare le disposizioni dei regolamenti. Che non richiedono
necessariamente modifiche sostanziali, come si può capire dall'intervento di
Matteo Viscardi (Cedit s.r.l.):
... vorrei aggiungere una breve osservazione al
dibattito che ho seguito in queste settimane sulla possibilità di firmare con
firma "pesante" file di word.
Rileviamo dal nostro punto di vista che il problema sollevato davvero si rivela
un falso problema se presi piccolissimi accorgimenti che permettono di
salvaguardare il diffusissimo utilizzo del programma Word come elaboratore
testi, ma anche da altro punto la rilevante necessità giuridica di firmare file
non soggetti ad alcuna forma di modificazione successiva che ne altererebbe gli
attributi "giuridici".
Esistono programmi, alcuni di questi per altro gratuiti, cito ad esempio "PDF
995", che consentono di salvare i file di word in formato immagine pdf,
rendendo così il contenuto di tali file non più soggetto a modifiche. Con tali
programmi, cioè limitandosi a salvare in formato pdf i file elaborati con word
si ottengono file (indifferentemente da inviare, salvare, archiviare, etc) che
una volta firmati hanno e/o avrebbero piena validità legale. Va da se che
implementare questa possibilità di salvare i file in formati non proprietari
rappresenta una strada non molto onerosa che appare facilmente praticabile senza
eccessivi sforzi. Questo non permetterebbe di quadrare il cerchio?
La strada da seguire, in un modo o nell'altro, è proprio questa. Ma la vera
quadratura del cerchio è nell'osservazione di Murru "la sicurezza è
inversamente proporzionale alla praticità d'uso, e non si vede perché la firma
digitale dovrebbe rappresentare un'eccezione alla regola".
Questa è oggi la sfida della firma digitale qualificata: realizzare l'eccezione
alla regola generale e fare in modo che sia facile e immediato generare e
verificare le firme attraverso un'applicazione che presenti il documento
"chiaramente e senza ambiguità". Nient'altro.
(M. C.)
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