Daccapo. "Come ti falsifico la firma digitale" è il titolo di
una notizia a pagina 133 di Panorama del 20 giugno scorso. Il sommario
aggiunge: "Un ricercatore italiano ha individuato il punto debole
di questo sistema amministrativo informatico".
E' quanto basta per sospettare che si tratti dell'ennesima notizia mal
riportata, se non addirittura di una "bufala", come dicono a Roma.
Definire la firma digitale come un "sistema amministrativo
informatico" rivela una scarsa dimestichezza con la materia... Ma nella notizia
c'è qualcosa di vero. Perché un gruppo di ricercatori dell'Università
mediterranea di Reggio Calabria ha pubblicato uno studio in cui si dimostrerebbe
la possibilità di "taroccare" un documento con firma digitale.
Sotto il titolo Un nuovo
attacco alla firma digitale si spiega come sia possibile firmare
digitalmente un documento e poi verificare come inalterato un documento dal
contenuto diverso.
Come al solito lasciamo a Corrado Giustozzi (La luna, il
pozzo, la bufala) le spiegazioni tecniche ed
esaminiamo la questione dal punto di vista giuridico, perché è questo che
conta quando si parla di documenti informatici che devono avere gli stessi
effetti dei documenti tradizionali con firma autografa. Il problema del
documento che cambia contenuto non è nuovo. E' stato sollevato
nel lontano 2002, oggetto di approfondite
discussioni su queste pagine (vedi nell'indice
di questa sezione i molti articoli di quel periodo, fra i quali La firma è sicura, il
documento no di Andrea Gelpi e Funziona o non funziona?
L'aspetto tecnico di Corrado Giustozzi).
Il legislatore ha risolto da tempo il problema: per essere "valido e rilevante a tutti gli effetti di
legge" e quindi equivalente al documento cartaceo con firma autografa, il
documento informatico deve
presentare una serie di requisiti. Prima di tutto "I documenti
informatici devono essere presentati al titolare, prima dell'apposizione della
firma, chiaramente e senza ambiguità" (CAD, art. 35, c. 2). Poi "Il documento informatico sottoscritto con firma digitale
o altro tipo di firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato
e generata mediante un dispositivo sicuro per la creazione di una firma non
produce gli effetti di cui all'articolo 10, comma 3, del testo unico se contiene
macroistruzioni o codici eseguibili, tali da attivare funzionalità che possano
modificare gli atti, i fatti o i dati nello stesso rappresentati" (art. 3, comma 3 delle regole tecniche attualmente in vigore
- DPCM 13 gennaio 2004). I documenti utilizzati dai ricercatori calabresi
non presentano questi requisiti. Quindi non possono essere validi ai sensi della
normativa sulla firma digitale. Se qualcuno pensasse di servirsene per trarre
qualcuno in inganno, potrebbe incorrere in uno dei reati di falso previsti e
puniti dagli articoli 476 e seguenti del codice penale. Fine della questione.
Tutto questo dimostra, ancora una volta, come la firma digitale
"all'italiana" sia stata impostata correttamente per acquisire le
innovazioni tecnologiche nel dominio del diritto. Se solo si ponesse rimedio
alle poche incongruenze del codice dell'amministrazione digitale, che tante
volte abbiamo segnalato, il nostro sistema sarebbe ancora il più avanzato del
mondo. La seconda notizia di cui ci occupiamo oggi viene da Repubblica:
il Governo sarebbe sul punto di varare un disegno di legge "di
semplificazione", nel quale sarebbe inserita questa disposizione:
Il secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile è sostituito dal
seguente: “L'atto di trasferimento, sottoscritto digitalmente nel rispetto
della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti
informatici, ovvero con sottoscrizione autenticata, dal notaio, deve essere
depositato entro trenta giorni, a cura di un intermediario abilitato al deposito
degli atti al registro delle imprese di cui all’articolo 31, comma 2-quater
della legge 24 novembre 2000, n. 340, ovvero a cura del notaio autenticante,
presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è
stabilita la sede sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha
luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del
titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito, rilasciato dal
professionista che vi ha provveduto ai sensi del precedente periodo. Appare
subito stravagante l'equiparazione della firma digitale alla sottoscrizione
autenticata dal notaio: questi, come pubblico ufficiale, esercita il controllo
dell'identità dei comparenti e della legalità dell'atto (anche in funzione
antiriciclaggio e antimafia). Nulla di tutto questo può avvenire con la firma
digitale e l'invio del documento da parte dell'intermediario. L'obbligo della
scrittura autenticata per i trasferimenti delle quote societarie era stato
introdotto nel 1993 proprio in seguito al verificarsi di numerosi illeciti
commessi in mancanza di un controllo efficace sull'identità dei soggetti e la
legalità della transazione. Ora, se questa norma dovesse
passare, per i trasferimenti delle quote delle società a responsabilità
limitata ci sarebbe un doppio binario: il primo, più lento e costoso, per le
persone oneste, che ricorrerebbero al notaio per attestare la regolarità del
trasferimento; il secondo, più economico e rapido, per i disonesti, con la firma
digitale e la trasmissione da parte dell'intermediario abilitato (di solito un
commercialista, quello che molte volte detiene illecitamente il dispositivo di
firma del cliente, vedi E' illecito affidare il
dispositivo di firma al commercialista).
Se questa è la "semplificazione"...
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