L'asprezza del dibattito che si è sviluppato nelle ultime settimane intorno
al tema del valore probatorio dei messaggi di posta elettronica (e, in generale,
sul valore probatorio del documento informatico) è direttamente proporzionale
alla complessità del quadro normativo di riferimento, inutilmente complicato da
continue modifiche legislative e regolamentari, che hanno, nel caso del decreto
legislativo n. 10 del 2002, con incredibile disinvoltura stravolto l'intero
sistema delle prove documentali su cui si fonda il processo civile. Si è giunti così ad affermare (è la tesi sostenuta dalla difesa di una
società commerciale di Cuneo per ottenere l'emissione di un decreto
ingiuntivo) che ". è pacifico che l'email costituisca un documento
informatico sottoscritto con firma elettronica in quanto il mittente, per poter
creare ed inviare detta email, deve eseguire un'operazione di validazione
inserendo il proprio username e la propria password; e tale documento soddisfa
altresì il requisito legale della forma scritta ." (vedi il punto 11 del ricorso).
Prima che i tribunali d'Italia siano inondati da richieste di emissione di
decreti di ingiunzione fondate su messaggi di posta elettronica (e prima che a
qualcuno venga l'idea di inviarsi, attraverso un remailer anonimo, una
promessa di pagamento a mio nome) mi sembra opportuno cercare di fare un po'
di chiarezza.
Com'è noto, perché uno scritto abbia valore di prova nel processo è
necessario che esso possa attribuirsi con certezza al suo autore. E' questa
(come del resto indica l'origine del nome) la funzione tipica della
"firma", un segno apposto sullo scritto con cui (per tradizione
inveterata tipica degli ordinamenti giuridici di diritto continentale) il
firmatario dichiara di riconoscere il contenuto del documento, lo fa proprio e
assume su di sé le conseguenze giuridiche connesse col valore giuridico dello
scritto.
La sottoscrizione autografa di un documento, per la sua funzione di
individuazione dell'autore del documento stesso, costituisce un elemento
essenziale di ogni scrittura privata, nel senso che solo la scrittura firmata
"fa piena prova, sino a querela di falso della provenienza delle
dichiarazioni di chi l'ha sottoscritta" (art. 2702 c.c.) e solo il
documento che contenga una firma riconosciuta (o non disconosciuta) dal suo
autore è utilizzabile in giudizio come prova di un fatto giuridicamente
rilevante.
Se al momento di esibire in giudizio la prova del mio credito (costituita
dalla dichiarazione scritta del mio debitore) il firmatario del documento disconosce
la firma apposta sullo scritto, la scrittura perde la sua efficacia di prova (e
il giudice dovrà attendere i risultati della procedura incidentale di
verificazione della firma per attribuire valore probatorio al documento) a meno
che la scrittura privata non sia "legalmente considerata come
riconosciuta" secondo le disposizioni del codice civile (art. 2702, ultimo
comma, c.c.). E' questo il caso delle sottoscrizioni che sono apposte in
presenza di un notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato, previa
identificazione della persona che sottoscrive: le sottoscrizioni così autenticate
si presumono riconosciute (cioè non possono essere disconosciute) e possono
essere utilizzate in giudizio senza timore che l'autore della sottoscrizione
neghi l'autenticità della firma, togliendo al documento il valore di prova.
In questo schema si inserisce il valore probatorio del documento informatico,
che differisce dal documento cartaceo. in nulla (a parte il supporto non
cartaceo).
E' noto che il primo regolamento autorizzato, emanato in attuazione dell'articolo
15 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (secondo cui "Gli atti, dati e
documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti
informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, . sono
validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge.") stabiliva, con perfetta
simmetria rispetto alle disposizioni codicistiche, che "Il documento
informatico, sottoscritto con firma digitale . ha efficacia di scrittura
privata ai sensi dell'art. 2702 del codice civile" e che tale norma fu
recepita perfettamente nel testo unico sulla documentazione amministrativa
emanato nel 2000, prima delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 10
del 2002.
Questo criterio storico-sistematico deve guidare, pertanto, l'interprete
nella lettura dell'attuale disposizione dell'articolo 10 del d.P.R. 445/2000
che dispone al secondo comma che "Il documento informatico, sottoscritto
con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta" e,
al quarto comma, che "Al documento informatico, sottoscritto con firma
elettronica, in ogni caso non può essere negata rilevanza giuridica né
ammissibilità come mezzo di prova unicamente a causa del fatto che è
sottoscritto in forma elettronica" in attuazione della direttiva 1999/93/CE
sulle firme elettroniche.
Non è - questa - la sede per approfondire le differenze tecniche e
giuridiche che intercorrono tra la firma elettronica (che è un insieme di dati
elettronici "allegati oppure connessi tramite associazione logica" ad
altri dati elettronici utilizzati come metodo di autenticazione informatica) e
la firma digitale, che resta, per taluni commentatori, l'unico strumento
tecnologico idoneo a produrre - per il documento informatico - gli stessi
effetti della sottoscrizione autografa apposta sulla scrittura privata (perché
solo la firma digitale - a norma dell'articolo 1 lett. n del testo unico
"consente al sottoscrittore . di rendere manifesta . la provenienza e
l'integrità di un documento informatico").
Basterà ricordare, peraltro, che la firma elettronica non è - per sua
stessa definizione - uno strumento finalizzato alla sottoscrizione del
documento ma alla autenticazione informatica (orrendo neologismo
anglo-informatico che significa - più o meno - identificazione, anche a
distanza, con sistemi informativi automatizzati del soggetto abilitato a fruire
di un servizio o ad utilizzare un sistema informatico).
Correttamente, Manlio Cammarata ed Enrico Maccarone hanno ricordato, su questa
stessa rivista, che un sistema di firma elettronica tra i più usati nella
realtà quotidiana è costituito dal codice personale del Bancomat, attraverso
cui il cliente del circuito bancario si fa riconoscere dal sistema
informatico come soggetto abilitato a fruire del servizio.
Allo stesso modo, dunque, la password inserita prima di accedere al servizio
di posta elettronica serve all'utente di un servizio telematico per farsi
riconoscere (non certo dal destinatario del messaggio, ma) dal fornitore del
servizio al fine di utilizzare il sistema di inoltro e di ricezione della
posta. Nei rapporti giuridici tra questi due soggetti (il fornitore del servizio
di posta elettronica e l'utilizzatore) il codice utilizzato per richiedere l'accesso
alla casella postale viene utilizzato soltanto per erogare il servizio e - in
un certo senso - per "firmare" (nel senso sopra indicato) il
registro degli accessi (che potrebbe essere utilizzato in caso di contestazioni
o per fini di controllo).
La password inserita per accedere al servizio, in altri termini, non è una
"firma" apposta o associata al messaggio di posta elettronica (col
quale non ha alcun legame tecnologico, logico o giuridico) ma è - semmai -
diretta al fornitore del servizio per ottenere l'adempimento del contratto: il
motivo per cui il mittente del messaggio inserisce nel sistema la propria
password non è costituito dalla volontà di "far proprio" il
contenuto del documento, condividendone il contenuto ed assumendone su di sé le
conseguenze giuridiche, ma dalla volontà di ottenere (da un soggetto diverso
dal destinatario del messaggio) l'accesso al sistema che consente e garantisce
l'inoltro a destinazione del messaggio.
Perché un documento informatico soddisfi il requisito della forma scritta,
dunque, è necessario che esso sia sottoscritto con firma elettronica,
cioè che ad esso sia (consapevolmente), da parte dell'autore dello scritto,
apposta o associata in modo inscindibile e immodificabile una sequenza di
caratteri verificabile e riconducibile all'autore del documento.
Un messaggio di posta elettronica, senza alcuna sottoscrizione, è -
pertanto - un documento scritto (su supporto informatico), trascritto (per via
telematica) ma non anche sottoscritto (perché non è firmato).
Per il codice di rito civile (art. 634) sono prove scritte idonee ad ottenere
una ingiunzione di pagamento "le promesse unilaterali per scrittura
privata": un messaggio di posta elettronica che non sia anche sottoscritto
in forma elettronica non è una prova scritta, per il semplice motivo che (come
ha affermato recentemente la Corte di cassazione nella sentenza n. 9289 del
2001), un documento privo di sottoscrizione non può avere efficacia di
scrittura privata.
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