Il processo civile telematico sta prendendo forma in maniera concreta, almeno
sotto il profilo degli strumenti tecnici e normativi. Tuttavia trascorrerà
ancora un po' di tempo prima che gli atti processuali siano dematerializzati
in via definitiva.
Una prima realizzazione pratica è però già funzionante: è il cosiddetto
sistema "Polisweb", mediante il quale gli avvocati possono consultare i
registri di cancelleria (anch'essi già informatizzati) per estrarre le
informazioni concernenti le cause in cui assistono una parte (in termini
tecnici: nelle quali sono costituiti). La consultazione avviene in due modi: o
mediante postazioni situate all'interno dei locali giudiziari, ovvero tramite
internet, dal proprio studio, senza limiti di orario.
Le informazioni alle quali l'avvocato accede sono ovviamente riservate, dal
momento che i processi civili non sono pubblici e il difensore è tenuto al
segreto professionale, e la loro comunicazione o diffusione potrebbe avere ovvi
effetti dirompenti sulla sfera personale degli interessati, che si tratti sia di
persone giuridiche sia di persone fisiche.
Il problema cardine diventa allora l'identificazione dell'utente che, se
eseguita con strumenti informatici, deve garantire sufficiente certezza in
ordine alla corretta individuazione del soggetto legittimato ad accedere a quei
dati.
Nel mondo "cartaceo" (chiamamolo così in contrapposizione a quello dei bit)
non è sempre necessaria la presenza attiva del difensore. Il più delle volte l'accesso
ai dati di cancelleria è compiuto da collaboratori o dipendenti ed è il
funzionario dell'ufficio a verificare sommariamente la legittimazione, che il
più delle volte è svincolata da qualsiasi procedura formale.
Nel mondo informatico, invece, tale libertà di forme non è concepibile e l'identificazione
deve essere un procedimento rigorosamente formale: i computer sono alquanto
vulnerabili a comportamenti fraudolenti e quindi non essendo seriamente
ipotizzabile la costruzione di un meccanismo di identificazione "sicuro"
esclusivamente meccanicistico è necessario introdurre l'elemento umano nel
procedimento di identificazione.
Le Regole tecnico-operative per l'uso di
strumenti informatici e telematici nel processo civile (DM 14 ottobre 2004)
definiscono l'autenticazione (termine errato) come operazione di
identificazione in rete del titolare della carta nazionale dei servizi o di
altro dispositivo crittografico, contenente un certificato di autenticazione,
secondo la previsione dell'art. 62; quest'ultima disposizione stabilisce
al terzo comma che Fino all'entrata in vigore delle regole tecniche relative
alla carta nazionale dei servizi, l'autenticazione dei soggetti abilitati
esterni avviene mediante dispositivo di crittografia contenente al suo interno
un certificato di autenticazione e la corrispondente chiave privata protetta da
PIN. La chiave privata, lunga almeno 1024 bit e generata all'interno del
dispositivo crittografico, non deve essere estraibile dal dispositivo stesso.
In buona sostanza, il difensore inserirà una smart card in apposito lettore ed
al momento opportuno fornirà al sistema il PIN necessario per completare il
processo di identificazione.
Poiché però non è consentita la rivelazione del PIN a soggetti terzi e
nemmeno l'affidamento ad altri soggetti del dispositivo crittografico, in
quanto ciò frustrerebbe l'intero sistema consentendo una inammissibile "circolazione
dell'identità" separata dalla persona fisica, l'accesso ai dati delle
cause civili non potrà, quanto meno secondo lo schema di base, essere
effettuato se non dall'avvocato stesso, con esclusione di qualsiasi
possibilità di delega a collaboratori.
Ecco dunque il paradosso. Tralasciando ogni considerazione sulle capacità
informatiche di una buona parte dei membri della categoria alla quale
appartengo, lo strumento informatico-telematico nella sua rigorosa applicazione
determina una situazione peggiore di quella preesistente. L'attività di
consultazione dei dati contenuti nei registri di cancelleria non può che essere
svolta solamente dall'avvocato, il quale non potrà delegare ad alcuno l'utilizzo
dello strumento di identificazione. E' indubbio che ciò rischia o di
ostacolare fortemente la diffusione del nuovo strumento informatico, ovvero di
dare luogo ad una prassi illecita di utilizzo di smart card e pin ad opera di
collaboratori e segretarie. E' opportuno precisare che l'illiceità è solo
nell'uso, non nell'accesso ai dati, che comunque fanno parte dei fascicoli
di studio, ai quali costoro hanno accesso in ogni caso.
Si potrebbe pensare allora che non ci sia nulla di male nel far passare la
segretaria per l'avvocato, dal momento che sotto il profilo sostanziale si
riprodurrebbe la medesima situazione che si verifica nell'ipotesi di accesso
fisico alla cancelleria. In realtà, questa prassi è perniciosa per due ordini
di ragioni: in primo luogo perché dà luogo ad una violazione di elementari
norme di sicurezza in contrasto con corretti principi di trattamento di dati
personali (ed espongono a responsabilità ai sensi dell'art. 2050 c.c.); in
secondo luogo, perché nella fase di attuazione la smart card non conterrà
solamente il certificato di "autenticazione", ma sarà anche un dispositivo
di firma digitale qualificata e pertanto ancor più pericoloso, per ovvie
ragioni.
Sarà pertanto necessario che i certificatori accreditati rilascino
dispositivi che non contengano anche la firma digitale qualificata, ma solo le
credenziali necessarie per l'identificazione e, per la consultazione da parte
di collaboratori del difensore, la nomina a sostituto ai sensi dell'art. 9 del
r.d. lgs. 1578/1933 (Con atto ricevuto dal cancelliere del Tribunale o della
Corte d'appello, da comunicarsi in copia al Consiglio dell'ordine, il
procuratore può, sotto la sua responsabilità, procedere alla nomina di
sostituti, in numero non superiore a tre, fra i procuratori compresi nell'albo
in cui egli trovasi iscritto. Il sostituto rappresenta a tutti gli effetti il
procuratore che lo ha nominato. Il procuratore può anche, sotto la sua
responsabilità, farsi rappresentare da un altro procuratore esercente presso
uno dei Tribunali della circoscrizione della Corte d'appello e sezioni
distaccate. L'incarico è dato di volta in volta per iscritto negli atti della
causa o con dichiarazione separata).
A prima vista, dunque, la segretaria non avrà più alcun accesso. Ma,
tecnicamente, una soluzione ci sarebbe: dovrebbe essere munita, su richiesta
dell'avvocato, di una smart card specifica che consenta solo l'accesso ai
dati dei registri di cancelleria, senza permettere il compimento di alcun atto
riservato al solo difensore, il quale rimarrebbe in ogni caso responsabile del
suo utilizzo. In caso contrario, l'ineluttabile "formalismo informatico"
determinerà il ridimensionamento di una figura fondamentale dello studio
legale.
Insomma, occorre individuare un punto di incontro tra le giustissime esigenze
di sicurezza e quelle, altrettanto legittime, di duttilità ed efficienza della
professione, in modo tale da consentire allo strumento informatico di svolgere
la sua funzione fondamentale, cioè lavorare meglio e non invece essere un
ostacolo ulteriore, specialmente per le realtà professionali più piccole.
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