Firme digitali e... analogie
elettroniche
di Corrado Giustozzi - 13.02.03
Ma allora lo fanno apposta. Non c'è altra spiegazione: è una rappresaglia.
I giuristi si sono infine risentiti delle scorribande che i tecnici, quando
si parla di firma digitale, da sempre fanno nei territori del diritto ed hanno
deciso di rendere loro pan per focaccia. Armati dunque di una bussola un po'
ammaccata e di una carta geografica forse vinta coi punti del detersivo, ma con
tanto entusiasmo revisionista nello zaino da giovane lupetto, hanno forse deciso
di penetrare l'ampio ed infido territorio della tecnica per tracciarvi nuovi e
memorabili solchi, giungendo infine là dove nessun giurista è mai giunto
prima.
Dopo tutto la legge è disciplina nobile ed antica, praticata da tutti i
popoli una volta giunti al massimo della loro crescita sociale e civile; e
soprattutto dai Greci i quali, come si sa, disdegnavano tutte le attività
materiali come indegne dell'uomo della polis. Come tale dunque la legge
può avere l'ultima parola su tutto, normando anche ciò che non è altrimenti
normabile come, ad esempio, le leggi della fisica. I vili meccanici che le
studiano, e le applicano per il banale scopo di consentire all'umanità di
soddisfare le proprie misere esigenze materiali di tutti i giorni, dovrebbero
avere il buon gusto di non protestare troppo: quando la Legge parla, lo fa in
modo definitivo ed assoluto. E, come accade nella Guida Galattica per
Autostoppisti del compianto Douglas Adams, vige un solo assioma: nel caso in
cui vi sia discrepanza fra la realtà e la Legge, è la realtà ad essere
sbagliata.
Il valore legale di pi greco
Qualche esempio? Uno per tutti: il cosiddetto Engrossed House Bill 246
(atto 246) discusso nella legislatura 1897 dall'Assemblea Generale dello Stato
dell'Indiana (USA), meglio noto come "Indiana Pi Bill" (Atto
dell'Indiana sul Pi Greco). In esso il legislatore proponeva che l'esatto valore
della costante matematica pi greco, la quale come noto rappresenta il
rapporto fra circonferenza e diametro di un cerchio, fosse stabilito de jure
come esattamente pari a 3,2 anziché a quello stupidissimo numero 3,141596.
con infiniti decimali sempre diversi, sostenuto da quei balzani di matematici.
Ciò avrebbe semplificato la vita a tutti, e si proponeva infatti nel testo come
conquista della scienza, da potersi magnanimamente utilizzare senza dover pagare
alcuna royalty, a beneficio dell'intera comunità. L'atto fu proposto nella
sessione del 19 gennaio 1897, discusso in seconda lettura il 2 febbraio
successivo, riletto ed approvato il 5 febbraio con un iter rapidissimo. L'11
febbraio giunse così al senato dove, dopo una prima lettura favorevole, in sede
di seconda lettura la sua discussione definitiva venne infine fortunatamente
rimandata a data da destinarsi.
Ecco cosa mi viene da pensare quando, come è accaduto oggi, leggo che, a
quanto riportato nell'apposita relazione, la direttiva in corso d'opera sulla
revisione della firma digitale ha sostituito il termine "digitale" con
il termine "elettronico" per non porre limiti ai futuri sviluppi delle
tecnologie.
Ciò è fantastico. Il legislatore, con un abile colpo di mano, è riuscito a
sostituire un concetto con un altro che non solo non gli è parente, ma non ne
costituisce neppure un'estensione logica o tecnologica, come invece egli
sembrerebbe pensare. È come se si dicesse: "per generalità e per non
porre limiti allo sviluppo di nuove tecnologie, da oggi in poi ai fini della
legge al termine veicolo sostituiamo quello di motore a combustione
interna". Un vero passo avanti, non c'è che dire: con buona pace delle
biciclette, dei calessi e delle barche a vela.
Anzi, a pensarci bene è ancora peggio di così. Senza fare i sofisti,
occorre notare che "digitale" ed "elettronico" sono concetti
ortogonali, non sono l'uno l'estensione (o peggio, il sinonimo!)
dell'altro. Esistono sistemi o dispositivi che sono contemporaneamente
elettronici e digitali, e sono ormai la stragrande maggioranza delle diavolerie
tecnologiche che ci infestano la vita: ma ci sono altresì apparati che sono
elettronici ma non digitali (il televisore) oppure non elettronici ma digitali
(il compact disc) ed infine né elettronici né digitali (il termostato dello
scaldabagno). E allora?
Digitale ed analogico
Forse per capire meglio la situazione occorre fare un po' di chiarezza sui
termini che costituiscono la materia del contendere. Cominciamo dal tanto
bistrattato aggettivo "digitale", che oramai tutti credono che
significhi "come elettronico ma migliore" ed invece è proprio tutta
un'altra cosa.
Tanto per cominciare, il termine "digitale" come viene comunemente
inteso nella tecnica non c'entra nulla ma proprio nulla con le dita, se non
davvero alla lontana: la "firma digitale" non è dunque parente della
"impronta digitale", ed è anzi una sfortunata coincidenza che questi
due termini omografi ma non sinonimi compaiano in relazione a concetti così
vicini tra loro.
Nel mondo della tecnica il termine "digitale" significa
semplicemente "numerico", e si applica ad ogni grandezza fisica che
venga rappresentata con un suo esatto equivalente numerico e non con una
rappresentazione "continua" quale l'ago di un quadrante o il livello
di un galleggiante. In italiano potremmo tranquillamente definire numerico
tutto ciò che oggi, prendendo a prestito un termine inglese, definiamo digitale:
ma l'esterofilia e la pigrizia ce lo impediscono. E poi volete mettere quanto
sarebbe più difficile vantarsi con gli amici del proprio nuovo telefonino
numerico?. (Per la cronaca, la parentela con l'altro significato del termine
"digitale" ci viene proprio dall'inglese: in quella lingua la cifra si
chiama infatti digit, termine direttamente derivato per troncamento del
latino digitum, ovvero dito; che per i popoli selvaggi è per l'appunto
lo strumento principe per far di conto).
Vale anche la pena di notare che il contrario di "digitale" è
"analogico": questa parola viene dal greco ed è direttamente
imparentata alla "analogia", che letteralmente significa
"discorso simile". La rappresentazione di una grandezza fisica viene
infatti definita "analogica" quando, per scelta o per necessità, essa
non viene effettuata in termini numerici bensì seguendo l'andamento continuo di
un'altra grandezza ad essa in qualche maniera collegata. L'estensione del
mercurio nel tubicino del termometro, l'oscillazione del pennino
dell'elettrocardiografo, la posizione della lancetta dei minuti su un orologio
meccanico, sono tutte grandezze analogiche, ossia continue, che servono a
rappresentarne altre (la temperatura, l'attività elettrica del cuore, l'ora)
anch'esse analogiche ma più difficili da rilevare direttamente.
Come vedete, sino a questo punto di elettronica non c'è nemmeno l'ombra.
Elettronico e.?
L'elettronica è proprio un'altra cosa: è, semplicemente, la tecnica che
consiste nel manipolare fasci di elettroni in movimento lungo percorsi
conduttori per ottenere una determinata funzionalità.
L'elettronica, con la sua parente povera l'elettrotecnica, esistono come
discipline rigorose dai primi anni del secolo scorso, ma come curiosità ed
oggetto di studi scientifici sin dal 1700. La prima clamorosa applicazione
dell'elettronica fu il telegrafo, nel 1800, seguito dopo qualche decennio dal
telefono. La radio di Marconi, anche detta telegrafo senza fili, fu
un'altra grandissima conquista dell'elettromagnetismo (anch'esso parente
dell'elettronica). Fino ad anni recenti, ovvero agli anni '70 dello scorso
secolo, tutta l'elettronica era analogica: ovvero si basava su correnti
la cui intensità veniva opportunamente modulata o amplificata, in modo da
portare con sé, appunto "analogicamente", un'altra grandezza, quella
che effettivamente doveva essere manipolata: ad esempio la voce di una persona,
che per poter essere trasmessa tale e quale a distanza veniva trasformata in
segnali elettrici che ne riproducevano l'andamento (è il caso ovviamente del
telefono).
Benché oggigiorno si tenda a far funzionare quasi tutti i dispositivi
elettronici in modalità digitale, per motivi di efficienza e di funzionalità,
esistono ancora molti apparati elettronici di tipo analogico: ad esempio le
radio ed i televisori, i registratori a nastro ed i videoregistratori a
cassette, i sensori crepuscolari che accendono le luci nelle scale del vostro
condominio, perfino i telefoni cellulari di prima generazione (ETACS). I primi
computer degli anni '50 erano analogici, così come lo erano gli apparati
elettronici di bordo e di terra che nel 1969 portarono l'uomo sulla luna.
La grandissima diffusione di apparati elettronici nella nostra vita, siano
essi analogici o digitali, può far pensare che l'unico modo di realizzare
dispositivi utili sia mediante l'elettronica. Ciò tuttavia non è
necessariamente vero: in linea di principio si possono utilizzare particelle
diverse dall'elettrone per svolgere funzioni simili, ed in quel caso a rigor di
termini non si può parlare più di elettronica in senso stretto.
Attenzione, questa non è fantasia: esistono già dispositivi di uso comune che
non fanno uso di elettroni bensì di fotoni (ossia quanti di luce)
per svolgere la loro funzione, e ci riescono benissimo. Sono i comunissimi CD ed
i loro nipotini DVD, che come tutti sanno (ma dimenticano di sapere.) vengono
letti mediante un fascio di luce coerente generato da un microscopico laser. I
CD sono dunque dispositivi ottici, non elettronici. L'elettronica,
è vero, spunta fuori ad un certo punto, quando il segnale ottico rilevato dalla
riflessione sul piatto metallizzato del disco viene convertito in un fascio di
elettroni per poter essere manipolato; ma fino a quel punto di elettroni non se
ne vede neppure l'ombra, ed in linea di principio sarebbe perfettamente
possibile proseguire in modalità del tutto ottica sino quasi alla fine della
catena del suono (il monitor e gli altoparlanti purtroppo necessitano ancora di
correnti elettriche per funzionare, almeno per il momento.). Per non parlare
delle notissime fibre ottiche che hanno sostituito i cavi di rame come
dorsali per comunicazioni ad amplissima banda: si chiamano così proprio perché
al loro interno viaggiano fotoni, ossia luce, e non elettricità.
Notiamo a questo punto come il fatto che si usino particelle elementari per
veicolare i segnali è legato esclusivamente alla loro ridottissima dimensione,
la quale ne rende particolarmente facile il controllo, ed all'elevatissima
velocità con cui si muovono, la quale consente di costruire circuiti
efficienti. In linea di principio tuttavia si potrebbero utilizzare particelle
qualsiasi: le antiche clessidre erano precisi strumenti analogici di misura del
tempo basati su particelle di sabbia, ed è perfettamente possibile pensare ad
un circuito idraulico che svolga le medesime funzioni di uno elettronico (anche
se con dimensioni e tempi di risposta sensibilmente differenti...).
Vale anche la pena di citare un recentissimo brevetto del Centro di Ricerca
IBM il quale ha realizzato un sistema di memorizzazione, che idealmente potrebbe
sostituire le memorie RAM elettroniche dei nostri dispositivi odierni, basato su
una serie di microscopiche "punte" rigide che premono sulla superficie
di un particolare polimero deformabile, creando così su di esso avvallamenti
infinitesimali i quali codificano l'informazione digitale: in questo caso la
tecnologia utilizzata non è né elettronica né ottica ma. meccanica! (e per
di più analogica.).
Elettronico o digitale?
Si vede dunque, al termine di questa lunghissima disquisizione, che non ha
senso sostituire il termine "digitale" con quello
"elettronico", o viceversa, pensando di dire quasi la stessa cosa.
Oltretutto è sbagliata anche la direzione di pensiero del legislatore: mentre
infatti "digitale" è un termine di amplissima generalità, non
essendo legato ad alcuna particolare tecnologia esistente o da sviluppare, e
descrive dunque la modalità con cui i dati verranno codificati (e c'è
da presumere che anche in futuro la codifica d'elezione sarà quella digitale,
in quanto ricchissima di proprietà utili), viceversa il termine
"elettronico" è estremamente specifico e specializzato, in quanto si
riferisce ad una ben precisa tecnologia (quella degli elettroni) che molto
probabilmente sarà soppiantata in futuro con qualcosa di più efficiente
(diciamo i fotoni, tanto per rimanere nell'ambito della fisica atomica, ma
l'elenco potrebbe essere più ampio).
Se poi l'indirizzo del legislatore rimanesse quello di mantenere questa
ahimè balzana terminologia, per uscire dall'impasse gli consiglierei di fare
come fece l'assemblea dell'Indiana: assegnare per legge un altro significato al
termine "elettronico", più confacente a quello che è il suo
pensiero, anche se ciò dovesse cozzare contro la tecnica e la consuetudine
derivanti da secoli di esperienza. Sono pur sempre i vili meccanici ad aver
inventato il termine "elettronica", basta una leggina a cambiarlo. Con
l'avvertenza che, se la Legge fosse in contrasto con la realtà, è naturalmente
la Legge ad avere ragione. |