L'Europa continua a discutere
sulla firma "elettronica"
di Natascia Montanari*
- 16.09.99
Difficilmente prima della fine dell'anno sarà
possibile avere una normativa europea sull'utilizzazione e la validità
giuridica della firma elettronica(1).
La proposta di direttiva della Commissione europea attende di passare il vaglio
della seconda lettura del Parlamento europeo, secondo la procedura legislativa
della co-decisione, dopo che, lo scorso 28 giugno, il Consiglio dei Ministri
aveva adottato la propria posizione
comune. Il testo licenziato è di gran
lunga differente rispetto alla versione originale adottata dalla Commissione il
13 maggio 1998.
Infatti, successivamente alla sua adozione, la proposta era stata affidata ad un
gruppo di lavoro del Consiglio delle telecomunicazioni, che aveva il compito di
mediare tra gli interessi giuridici ed economici dei diversi Stati membri, al
fine di raggiungere compromessi politici.
Verso la fine del 1998 il gruppo di lavoro
dovette riferire al Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) di essere
incapace a trovare un accordo in grado di risolvere le forti divergenze
politiche, soprattutto con riferimento all'introduzione di un ulteriore
allegato, l'allegato III.0 contenente le specifiche tecniche della firma
elettronica.
Nonostante gli intensi negoziati che seguirono, il commissario europeo Bangemann
dovette arrendersi di fronte all'evidenza che nessun compromesso era stato
raggiunto e che l'analisi del testo sarebbe ripresa nel 1999.
Nei primi mesi del 1999 il testo originale, è
stato presentato, in prima lettura al Parlamento europeo che vi ha apportato ben
32 emendamenti, di cui 22 sono stati accolti dalla Commissione nella versione
del 29 Aprile 1999. Quest'ultima ha
adottato, tra gli altri, l'emendamento che impegna l'istituzione comunitaria
a rivedere la Direttiva prima del 2003, per adeguarla agli sviluppi tecnologici
ed a esaminare gli aspetti tecnici connessi, quale la riservatezza.
Sono inoltre stati accolti gli emendamenti sulla necessità di assicurare la
disponibilità della comunicazioni elettroniche nel quadro della libera
circolazione delle persone; sulla possibilità per gli Stati membri di
riconoscere dei sistemi di accreditamento gestiti da organismi amministrativi
indipendenti e sull'obbligo per i fornitori del servizio di certificazione di
raccogliere dati personali unicamente presso la persona cui i dati si
riferiscono, ovvero con il consenso esplicito di quest'ultima.
La Commissione, invece, non ha accolto la
proposta del Parlamento relativa alla modificazione del "comitato
consultivo" ex art.9 in un "comitato di contatto", né l'emendamento
che richiede alla Commissione di sottoporre, non solo al Consiglio ma anche al
Parlamento, proposte relative ai mandati per la negoziazione di accordi
bilaterali e multilaterali con Paesi terzi ed organizzazioni internazionali.
Su questo testo
emendato, lo scorso 26 giugno, il
Consiglio ha adottato la sua posizione comune, introducendo ulteriori modifiche
che hanno intaccato gli aspetti sostanziali del testo legislativo.
In primo luogo è stato esteso il campo di
applicazione della norma. Infatti, originariamente la proposta non assoggettava
la firma elettronica utilizzata da gruppi chiusi di utenti ai requisiti tecnici
e giuridici previsti. Essa infatti stabiliva non solo che un quadro
regolamentare non era necessario per le firme elettroniche utilizzate in gruppi
chiusi di utenti, come le banche, ma, all'articolo 2 definiva l'autorità di
certificazione come un soggetto che fornisce esclusivamente servizi al pubblico.
Ciò faceva sorgere nelle industrie il dubbio che le firme utilizzate in questi
contesti non producessero gli effetti giuridici stabiliti dalla proposta
comunitaria.
Al fine di fugare qualsiasi dubbio, la precedente
definizione di "prestatore di servizi di certificazione", che legava
appunto il servizio alla fornitura di certificati al pubblico, è stata
modificata: è tale "una persona o un'entità che rilascia certificati o
provvede ad altri servizi connessi alle firme elettroniche". In questo modo
i gruppi chiusi di utenti vengono compresi nell'ambito di applicazione della
direttiva, senza però essere sottoposti ai requisiti tecnici.
In secondo luogo, sono state modificate le previsioni dell'articolo 8 sulla
protezione dei dati personali. Ci si è chiesto infatti se fosse utile
costringere il prestatore di servizi di certificazione a comunicare alle
autorità pubbliche lo pseudonimo utilizzato dal firmatario in luogo del nome.
La nuova formulazione limita in qualche modo l'oggetto dell'articolo 8:
viene fatto divieto agli Stati membri di proibire l'utilizzazione dello
pseudonimo ed è stato abrogato conseguentemente il paragrafo 4 in cui si
obbligava l'autorità di certificazione a comunicare lo pseudonimo qualora
richiesto dalle autorità pubbliche.
Rispetto al testo tradizionale viene introdotta
una clausola generale di esclusione della responsabilità nelle ipotesi in cui
non sia possibile ascrivere alle autorità di certificazione comportamenti
negligenti e viene introdotto l'obbligo per queste ultime di registrare la
revocazione del certificato. In caso contrario si darà luogo a responsabilità
a meno che non venga dimostrato che il proprio comportamento non sia stato
negligente. La conseguenza di queste modificazioni è che viene ridotta la
responsabilità civile delle autorità di certificazione, obbligando il titolare
del certificato a provare la condotta negligente del fornitore del servizio.
È stato più volte affermato che la proposta di
direttiva fornisce tutela non solo alla crittografia asimmetrica ma anche ad
altre tecniche di autenticazione. Tale posizione è stata criticata da alcuni
Stati Membri perché, è stato sostenuto, gli effetti giuridici devono essere
attribuiti esclusivamente alla firma digitale, in quanto è l'unica tecnica
che riesce ad assicurare un grado di sicurezza assimilabile alla firma
autografa.
Al fine di mantenere una posizione giuridica "neutra" e nello stesso
tempo offrire una maggiore garanzia di sicurezza del sistema, è stato
introdotto, tra le definizioni (art.2) il concetto di "firma elettronica
avanzata". In realtà ci sono ancora molti dubbi interpretativi su cosa
debba intendersi con questo termine. Si sostiene che mentre il testo originale
richiedeva che la firma elettronica avesse dei requisiti minimi di sicurezza,
invece adesso deve possedere dei particolari standard.
A questo proposito l'articolo 5, primo comma,
è stato modificato al fine di riconoscere valore legale alla "firma
elettronica avanzata" mentre le delegazioni francesi e tedesche hanno
preparato un testo provvisorio per l'allegato III, che contiene i requisiti
tecnici che il nuovo modello di firma elettronica deve possedere per avere
valore giuridico.
Argomenti contrari all'introduzione di tale
allegato III sono:
- la necessità di una legislazione nazionale particolarmente vincolante in
grado di controllare se i software in commercio possiedono i requisiti
tecnici previsti e conseguente introduzione di un sistema autorizzatorio
obbligatorio (mentre la proposta di direttiva si ispira ad un modello di
accreditamento volontario, ed anzi, l'art.3 proibisce agli Stati membri di
subordinare l'esercizio dell'attività di certificazione ad una previa
autorizzazione);
- la sensazione che tale allegato sia voluto soprattutto per motivi economici da
quei paesi che intendono proteggere le proprie industrie produttrici di hardware
particolari, quali le smart card.
Come si può facilmente intuire, gli interessi in
gioco sono molteplici e le conoscenze tecniche dei legislatori sono spesso
insufficienti per regolare un settore specifico come quello in questione.
*
Studio legale Tonucci
1
L'unione Europea ha stabilito di usare l'espressione "firma
elettronica" invece di "firma digitale" per non porre limiti alle
tecnologie impiegabili. Di fatto, come ha opportunamente stabilito il
legislatore italiano, solo la firma digitale derivante dalla crittografia a
chiave pubblica offre sufficienti garanzie di sicurezza.
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