FAQ: Domande e risposte sulla firma
digitale
di Manlio Cammarata e Enrico Maccarone - 25.03.03
52. Certificatori "qualificati" e
"certificatori accreditati"
Sono un'assegnista di ricerca presso il Centro per l'integrazione
e la comunicazione dei media dell'Università di Firenze. Sono laureata in
giurisprudenza e, per ora, il mio compito è quello di monitorare gli sviluppi
"giuridici" dell'e-government. Ho cercato, quindi, di addentrarmi
nella complessa, per non dire confusionaria, normativa sulle firme elettroniche
e a tal proposito mi sono trovata di fronte ad alcuni punti oscuri.
Tenendo conto della vostra utilissima funzione di "chiarificatori della
materia" vi pongo qualche punto che a me è parso oscuro sperando in una
vostra "illuminazione". I certificatori di certificati qualificati
(conformi cioè agli allegati I e II della direttiva comunitaria) potranno
essere sia quelli "notificati" che quelli "accreditati". La
differenza sarà che mentre per i primi varrà in sostanza la disciplina in tema
di firma digitale, che prevede requisiti più stringenti e standard di sicurezza
maggiori, per i secondi varrà una disciplina meno rigorosa, ma comunque
conforme a quanto richiesto dagli allegati della direttiva.
Ma si darà dunque la stessa forza probatoria (fino a querela di falso) a due
tipi di firma che non risponderanno agli stessi standard di sicurezza? E allora
non converrà rivolgersi ai certificatori notificati piuttosto che a quelli
accreditati? A meno che, ritenendo la legge utilizzabili nei rapporti con la
Pubblica Amministrazione solo le firme rilasciate dai certificatori accreditati
(l'art. 13.7 del regolamento in via di approvazione stabilisce, infatti, che
"il certificatore accreditato può qualificarsi come tale nei rapporti
commerciali e con le pubbliche amministrazioni"), non si costringeranno gli
utenti a rivolgersi a questi ultimi e gli altri certificatori ad accreditarsi.
Alla luce di tutto ciò mi chiedo: è prevedibile che ad avere la meglio saranno
i certificatori "accreditati", ossia i certificatori già iscritti all'elenco
pubblico tenuto dall'AIPA(e in questo caso sarà l'Italia in regola con la
normativa comunitaria che non vuole discriminazioni?)? Oppure il mercato si
popolerà di certificatori di firme elettroniche "leggere", visto che
ormai la normativa riconosce anche a questa firma una valenza probatoria (anche
se c'è da sperare che l'essere in balia della libera valutazione del
giudice limiti questa diffusione)?! Cordiali saluti.Nicoletta Leo Servidio
La domanda riassume in poche righe la confusione che oggi regna in questa
materia e la risposta non è facile.
Alla base di tutto il discorso ci sono le funzioni dei due soli livelli di firma
esistenti: la firma sicura (quella che dà luogo a documenti validi e rilevanti
a tutti gli effetti di legge) e la firma leggera (che vale, di fatto,
nell'ambito di enti o organizzazioni chiuse, come i sistemi finanziari). I
certificatori accreditati dovrebbero essere i soli a poter emettere i
certificati di firma sicura, mentre gli altri, qualificati o meno, dovrebbero
poter emettere certificati di firma leggera. A questo punto l'organizzazione che
decidesse di fare uso di un sistema di firma leggera avrebbe la scelta se
affidarsi a un certificatore qualificato o a uno "squalificato".
Questo ragionamento è fondato più sulla sostanza della materia che sulle
attuali norme. Dobbiamo aspettare le nuove regole tecniche, nella speranza che
facciano un po' di chiarezza, perché se mettiamo a confronto quanto abbiamo
appena scritto con le definizioni della normativa, ci viene il sospetto che i
certificatori "accreditati" rilascino certificati per la firma
"qualificata", mente i certificatori "qualificati"
emetterebbero certificati per firme di livello inferiore!
C'è un aspetto della domanda che merita una particolare attenzione: quello
relativo all'efficacia probatoria della firma sicura fino a querela di falso. La
norma, come abbiamo scritto più volte, non sta in piedi. O sarà cancellata con
un nuovo provvedimento, o provvederanno i giudici, con conseguenze che
potrebbero far tremare tutto l'edificio normativo. Ma non è giusto usare
l'espressione "in balia della libera valutazione del giudice", perché
il giudice non decide sulla base dell'umore del momento o di altri fattori
imprevedibili. La valutazione del giudice è il momento-chiave
dell'interpretazione della legge, il momento in cui la previsione astratta della
norma si confronta con la realtà del fatto e, se del caso, viene verificata la
conformità della norma all'ordinamento giuridico.
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