Apprendiamo che l'art. 31, comma 2, della legge 24/11/2000 n. 340 ha abolito
la firma autografa per il deposito degli atti societari presso il Registro
delle Imprese a partire dal 9 dicembre 2001. Da questa data la firma non è più
legata indissolubilmente ad un'espressione "somatica" della persona
qual è il segno grafico personalmente apposto sulla scrittura, ma all'incrocio
di due dati soltanto giuridicamente, ma non fisicamente, legati ad essa: una
smart card e una password. Non solo non è più possibile avere un rapporto
cartaceo con il Registro delle Imprese, ma è obbligatorio dotarsi di computer,
smart card, lettore di smart card, password, oltre ad almeno 5 software diversi
e non integrati (sistema operativo, software di collegamento, software di
criptazione, software di compilazione modulo, software di scrittura), ciascuno
perfettamente autonomo e sviluppato da un diverso fornitore.
Fino ad oggi, la firma autografa è stata l'unica modalità con la quale la
scrittura privata (art. 2702 c.c.) viene formata e le dichiarazioni di chi la
sottoscrive assumono valore giuridico ("fa piena prova"). L'introduzione
nell'ordinamento della cosiddetta "firma digitale", modalità
attraverso la quale si dà pari dignità alla scrittura formata in modo
elettronico rispetto alla scrittura "cartacea", va senz'altro visto
come evento positivo in nome del progresso e della velocizzazione dell'attività
economica. Tale modalità, peraltro, va considerata quale "modalità
secondaria" ed aggiuntiva rispetto a quella cartacea, giacchè non si può
pretendere che tutti siano tenuti a confermare le proprie dichiarazioni di
volontà soltanto attraverso questo strumento. Una considerazione opposta
porterebbe alla assurda conseguenza che tutti avrebbero l'obbligo legale di
dotarsi di computer, programmi, lettori, smart card e codici per poter
contrarre. Ebbene, con la norma citata accade proprio questo: si abolisce la
modalità primaria per dichiarare con modalità idonea a costituire "piena
prova" la propria volontà, e si consente soltanto la modalità
secondaria.
Gli effetti di questa disposizione normativa sono a dir poco devastanti, sia
sotto il profilo delle conseguenze giuridiche legate all'unico strumento
utilizzabile, sia sotto il profilo della certezza sostanziale degli atti così
formati.
Nuovi problemi giuridici in cerca di soluzione
Si investono miliardi in dollari per creare un software supersicuro ma viene
sempre fuori che c'è qualcuno in grado di decrittografarlo. L'intrinseca
insicurezza del sistema nasce dalla novità della separazione fisica tra il
soggetto che esprime la volontà dallo strumento che ne fornisce la prova. Se la
firma scritta, attraverso la comprova dell'esame grafologico, è
indiscutibilmente legata al tratto somatico della persona, la firma digitale
perde questo legame: non c'è né ci può essere un legame certo tra
firma digitale e titolare della firma, ma solo una presunzione giuridica di
certezza.
Con il meccanismo della certificazione si produce un algoritmo informatico che
conferisce certezza della titolarità della firma digitale, ma non
conferisce certezza circa la paternità della firma digitale, cioè dell'identità
di chi ha materialmente apposto la firma digitale.
Nel contemperare le opposte esigenze dei terzi di buona fede, che nella firma
digitale ripongono ed hanno diritto di riporre affidamento, e del titolare della
firma digitale, che è sottoposto ad una quota di rischio aggiuntivo di utilizzo
abusivo della propria "firma", il legislatore fa prevalere quelle dei
terzi. La legge attribuisce la piena responsabilità della firma digitale
al titolare fintantoché questi non ne denunci la revoca. La ragione di tale
elevata responsabilizzazione, addirittura superiore a quella che si
applicherebbe ad una scrittura tradizionale (per la quale, data la connessione
somatica e personale del segno grafico esclude ab origine la possibilità che un
terzo possa vincolare abusivamente il titolare della firma), deriva unicamente
da una considerazione: il sottoscrittore entra VOLONTARIAMENTE nel sistema della
firma digitale. O almeno così era nelle previsioni originarie della norma.
Conosce i rischi, decide quindi VOLONTARIAMENTE di assumersi l'onere della
diligenza nella custodia e se ne assume VOLONTARIAMENTE le conseguenti
responsabilità.
"Se" il titolare della firma vuole accettare questo rischio, è
giusto che sia libero di utilizzare il meccanismo della firma digitale.
Ma l'assenza di volontarietà nella scelta di utilizzo della firma
digitale impone quantomeno un forte ripensamento delle conseguenze giuridiche
circa la irripudiabilità e la tutela del soggetto titolare della firma
digitale nei casi di utilizzo indesiderato. L'elemento della volontarietà
dell'utilizzo del sistema digitale, che costituiva la principale motivazione
che ha portato il legislatore ad addossare al sottoscrittore l'onere della
custodia di smart card e password viene ora meno. Insomma: è la stessa logica
che sta dietro a quel diffusissimo strumento di pagamento che è il bancomat.
Tutti sanno che la custodia del codice insieme alla scheda magnetica esime da
responsabilità la banca, e che quindi, in caso di furto di scheda e codice, si
corre il rischio di vedersi addebitati i prelievi senza possibilità di
recupero. MA NESSUNO E' COSTRETTO AD AVERE UN BANCOMAT!
Altri problemi "pratici"
Emerge poi una conseguente serie di problemi che per semplicità definiremmo
di ordine pratico, ma che in realtà pone importanti problemi giuridici, sia
pure di profilo minore.
Cominciamo dalla complicazione del sistema (e dire che la legge che ne ha
introdotto l'utilizzo parla di "semplificazione"). Sono coinvolti
almeno 5 diversi software, che richiederanno una configurazione minima dell'hardware:
sistema operativo, sistema di scrittura, sistema di comunicazione, sistema di
crittografia, sistema di compilazione modulistica. Questi software sono prodotti
da diversi soggetti, non sono integrati, e sono soggetti alle immancabili "patches"
(o releases) di aggiornamento. Il tutto ovviamente a pagamento.
Dobbiamo forse considerare che, d'ora innanzi, tra i requisiti di
eleggibilità degli amministratori ci sia il possesso di smart card? C'è da
scommettere che se la modalità informatica fosse soltanto una facoltà, e non
un obbligo, il Registro delle Imprese regalerebbe "la penna", cioè il
software necessario, in versione integrata, di facile utilizzo, informando di
propria iniziativa degli aggiornamenti. E forse ci regalerebbe anche il lettore,
con tanto di garanzia.
Nuove situazioni di "caso fortuito" o di "forza maggiore"
possono presentarsi in aggiunta a quelli tradizionalmente considerati, che sono
tipicamente imputabili alla nuova modalità di trasmissione, per i quali manca
una disciplina giuridica che dia certezze agli operatori. Ecco alcuni esempi:
1. Il giorno della scadenza della dovuta comunicazione al Registro Imprese
interviene un guasto al sistema informatico, tale da impedire di fatto la
trasmissione in tempo utile. Chi ha esperienza di utilizzo di mezzi informatici
sa benissimo che un blocco può intervenire in qualsiasi momento e che non è
nemmeno così facile risalire alle cause, ciò in special modo se si considera
che i software necessari per la procedura sono almeno 5, non integrati, e che al
computer tradizionale (case, tastiera, video, stampante) si aggiunge questo
nuovo strumento che è il lettore della smart card. Come invocare questa
esimente? Come documentare la circostanza? Occorre forse dimostrare di aver
fatto tutto il possibile per evitarla? Occorre obbligatoriamente avere un
sistema doppio, o triplo, per avere l'esimente? Oppure si può soltanto
incrociare le dita e pagare la sanzione se qualcosa va storto? Oppure, infine,
ci sentiremo dire che, per ragioni di prudenza, avremmo dovuto non aspettare l'ultimo
giorno?
2) Il giorno della scadenza la smart card si "smagnetizza". Gli uffici
sono chiusi. Che fare?
3) Il consulente incaricato della trasmissione (o il cliente) si dimentica o
perde la password.
4) Il consulente incaricato fa un errore materiale nella selezione del file da
inviare "cliccando" su un file sbagliato. Può invocare un'esimente?
Una nuova rosa di problemi riguarda il fatto che, mentre in passato era
normale, possibile, ed anzi necessario delegare alcune funzioni legate all'adempimento
formale di formazione e consegna della documentazione al Registro delle Imprese,
da domani non si potrà delegarne che una minima parte. Ecco alcuni esempi delle
conseguenze:
1) La comunicazione scade il 13 di agosto; il consulente vorrebbe andare in
ferie. Con l'invio digitale obbligatorio la funzione di consegna materiale non
potrà più essere delegata. Il consulente, quindi, dovrà rinunciare alle
ferie programmate per procedere all'invio. Oppure dovrà portarsi dietro
computer portatile, sufficientemente attrezzato di software ed hardware
(compreso di modem e lettore), telefonino per la connessione, smart card e
password per procedere all'invio. Dimenticavo: dovrà evitare posti esotici
dove la copertura di rete informatica sia insufficiente.
2) D'ora innanzi, quando fissa appuntamenti di lavoro fuori sede (comprese
quindi le udienze in tribunale, le verifiche sindacali, i consigli di
amministrazione, gli atti pubblici, ecc.), il consulente incaricato dovrà
preliminarmente valutare la propria agenda per evitare i giorni in cui scadono
le comunicazioni camerali. Oppure dovrà dotarsi come sopra indicato ed
interrompere la riunione o l'udienza per effettuare l'invio non appena viene
avvisato che la pratica è pronta.
3) La custodia di smart card e password non può essere delegata. Fino a ieri
non c'era bisogno di "custodire la propria firma autografa": il
professionista ed il cliente sono in grado di riprodurla alla bisogna, né
poteva essere trafugata. Ora si pone questo problema aggiuntivo: dove
conservarle? Da un lato servono due luoghi sicuri data la gravità delle
possibili conseguenze; dall'altro servono due luoghi agevolmente accessibili,
data la frequenza dell'utilizzo e la necessità di disporne anche fuori
sede. Non è un problema da poco!
Libertà di scelta
Non abbiamo nulla contro la divulgazione della firma digitale, ma è l'utilizzo
obbligatorio che lede una importante libertà: quella di esprimere con
validità giuridica la propria volontà con una modalità accettabile, certa,
comprensibile, chiara a tutti e priva di rischi non volontariamente accettati.
Invochiamo la nostra libertà ed il nostro diritto di non possedere un
computer, di non conoscere cos'è un software, di usare soltanto la macchina
da scrivere e la penna.
Sottolineiamo la gravità della situazione, al limite della violazione dei
diritti umani (comprensibilità di ciò che si firma, separazione fisica tra
firma virtuale e soggetto responsabile, impossibilità di ripudiare la firma
digitale che in qualsiasi modo risultasse apposta senza la effettiva volontà
del firmatario in quanto "infalsificabile" per legge).