L’art. 36, comma 1-bis, del d.l. 25 giugno 2008, n.
112, inserito dalla relativa legge di conversione, dispone: “L’atto di
trasferimento di cui al secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile
può essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa anche
regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ed è
depositato, entro trenta giorni, presso l’ufficio del registro delle imprese
nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a cura di un
intermediario abilitato ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater,
della legge 24 novembre 2000, n. 340. In tale caso, l’iscrizione del
trasferimento nel libro soci ha luogo, su richiesta dell’alienante e dell’acquirente,
dietro esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto
deposito, rilasciato dall’intermediario che vi ha provveduto ai sensi del
presente articolo. Resta salva la disciplina tributaria applicabile agli atti di
cui al presente articolo”.
(L’art. 31, comma 2-quater, della
legge 24 novembre 2000, n. 340, aggiunto dall’art. 2, comma 54, della legge 24
dicembre 2003, n. 350, dispone che “Il deposito dei bilanci e degli altri
documenti di cui all'articolo 2435 del codice civile può essere effettuato
mediante trasmissione telematica o su supporto informatico degli stessi, da
parte degli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e
periti commerciali, muniti della firma digitale e allo scopo incaricati dai
legali rappresentanti della società”).
La nuova disposizione va quindi, per prima cosa, coordinata
con la previsione dell’art. 2470, comma 2, c.c., il cui oggetto è l’atto
di trasferimento delle partecipazioni in società a responsabilità limitata.
Più precisamente, il secondo comma in esame disciplina, nella sua prima parte,
l’atto di trasferimento inter vivos, disponendo che lo stesso deve
essere munito di “sottoscrizione autenticata” e deve essere depositato entro
trenta giorni presso l’ufficio del registro delle imprese “a cura del notaio
autenticante”, quale condizione per la successiva iscrizione nel libro soci. L’ultima
parte del secondo comma dell’art. 2470 – che non appare coinvolta dalla
previsione in esame – disciplina invece l’atto di trasferimento a causa di
morte, disponendo che in tal caso il deposito e l’iscrizione sono effettuati a
richiesta dell’erede o del legatario.
Già da una prima lettura della nuova disposizione, dettata
dalla legge speciale, si evince che la stessa non detta una disciplina
esaustiva dell’atto di trasferimento di quote di s.r.l., dei suoi effetti,
della sua forma e della sua pubblicità. Essa dispone, infatti, che l’atto
stesso “può” essere sottoscritto con firma digitale (e quindi “può”
essere redatto su supporto informatico), lasciando evidentemente alle parti la
scelta di redigere l’atto in forma cartacea e sottoscriverlo in forma
autografa: in quest’ultimo caso, evidentemente, trova integrale applicazione l’art.
2470 c.c. La stessa circostanza che la nuova previsione normativa non abbia
modificato la norma codicistica, lasciandola in vigore, dimostra che essa si
atteggia come norma “derogatoria”, che detta cioè una disciplina in deroga
alla normativa generale, la quale ultima continua tuttavia ad applicarsi al di
fuori dell’ambito coperto dalla deroga.
E’ poi pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che le norme
derogatorie assumono carattere eccezionale, e sono quindi di stretta
interpretazione, non essendo quindi, ad esempio, applicabili per analogia. E’,
infine, evidente che – non essendo stato neanche menzionato il terzo comma
dell’art. 2470 c.c., che disciplina l’efficacia “dichiarativa” dell’iscrizione
nel registro delle imprese ai fini della soluzione del conflitto tra più
acquirenti da un medesimo autore – nulla è innovato in ordine agli effetti
della pubblicità legale.
Si tratta allora di individuare l’esatto oggetto della
deroga portata dalla legge speciale. Per fare ciò occorre, innanzitutto,
passare brevemente in rassegna le disposizioni che disciplinano il deposito e l’iscrizione
degli atti societari nel registro delle imprese, e la forma degli atti medesimi.
La disposizione di riferimento è rappresentata dall’art.
11, comma 4, del D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581 (regolamento di attuazione in
materia di registro delle imprese) dispone che “L'atto da iscrivere è
depositato in originale, con sottoscrizione autenticata, se trattasi di
scrittura privata non depositata presso un notaio. Negli altri casi è
depositato in copia autentica”. La disposizione codifica quindi espressamente,
ed in linea generale, il principio di autenticità degli atti soggetti ad
iscrizione, del resto desumibile da numerose disposizioni del codice civile (ad
es., artt. 2296, 2556, comma 2, oltre ovviamente agli artt. 2328, 2375, comma 2,
2436, 2463, 2480 c.c.). Principio di autenticità che assolve a diverse
funzioni: l’accertamento dell’identità personale delle parti (art. 49
della legge n. 89/1913), con efficacia probatoria piena fino a querela di falso
(artt. 2700 e 2703 c.c.); l’indagine della volontà e capacità di agire delle
parti stesse (art. 47 della medesima legge n. 89/1913); la verifica della
legittimazione e dei poteri di rappresentanza (art. 54 del R.D. n. 1326/1914);
il controllo della legalità dell’atto soggetto ad iscrizione (art. 28 della
legge n. 89/1913). Proprio in funzione dei controlli ed accertamenti
effettuati dal notaio, il controllo da parte del conservatore del registro delle
imprese è limitato – per espressa previsione di legge – al solo profilo
formale.
Da rilevare che l’autentica della sottoscrizione
(agli effetti dell’art. 2703 c.c.) è disciplinata dalla legge sia riguardo
alla firma autografa che alla firma digitale; e che anche in questo secondo caso
essa ha luogo previo accertamento da parte del pubblico ufficiale autenticante,
oltre che della identità personale del sottoscrittore e della validità del
certificato elettronico utilizzato, “del fatto che il documento
sottoscritto non è in contrasto con l'ordinamento giuridico” (art. 25,
commi 1 e 2 del codice dell’amministrazione digitale (CAD), approvato con DLgv
7 marzo 2005, n. 82, successivamente modificato con decreto legislativo 4 aprile
2006, n. 259). L’utilizzo della firma digitale autenticata comporta,
quindi, il controllo notarile di legalità al pari dell’autenticazione della
firma autografa.
In tema di firma digitale si impone, a questo punto, una
riflessione sul concetto di atto "…sottoscritto digitalmente nel
rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei
documenti informatici". La definizione è pleonastica: sarebbe
stato sufficiente dire “sottoscritto digitalmente”, senza ulteriori
specificazioni, per individuare una fattispecie giuridicamente ben individuata e
già ampiamente disciplinata dalla legge. Ciò giustifica il sospetto che l’estensore
materiale della disposizione abbia poca dimestichezza con la disciplina
giuridica della firma digitale e con gli effetti che alla utilizzazione di quest’ultima
vengono riconosciuti dal nostro ordinamento.
La locuzione “sottoscritto digitalmente” non equivale, in
realtà, a “sottoscritto digitalmente con firma non autenticata”. Quest’ultima
è fattispecie ben precisa e chiaramente disciplinata all’interno del codice
dell’amministrazione digitale: si tratta dell’ipotesi di documento
informatico sottoscritto mediante utilizzo di firma digitale “a norma” (art.
24 CAD) ed al quale l’ordinamento riconosce valenza di scrittura privata
non autenticata (art. 21, comma 2 CAD: “Il documento informatico,
sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica
qualificata, ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile.
L'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo
che questi dia prova contraria”). La provenienza del documento informatico, in
caso di firma digitale non autenticata, può essere quindi disconosciuta dal
presunto sottoscrittore con qualsiasi mezzo di prova (senza necessità,
quindi, di esperire querela di falso).
Da rilevare che, sempre a norma dell’art. 24 CAD, … “per la generazione
della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento
della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti
revocato o sospeso. Attraverso il certificato qualificato si devono rilevare,
secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 71, la validità del
certificato stesso, nonchè gli elementi identificativi del titolare e del
certificatore e gli eventuali limiti d'uso.” Il che esclude, nella fattispecie
in esame, l’uso di firma “elettronica” o “non qualificata” giacchè
priva di uno o più degli elementi caratteristici della firma digitale
propriamente detta.
Ben diversa da quella disciplinata dall’art. 24 è l’ipotesi
di “firma digitale autenticata” disciplinata dall’art. 25 CAD: quest’ultima
disposizione chiarisce che “si ha per riconosciuta, ai sensi dell'articolo
2703 del codice civile, la firma digitale o altro tipo di firma elettronica
qualificata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò
autorizzato”. Solo la firma digitale autenticata ha, quindi, la medesima
efficacia di prova legale della firma autografa autenticata, e comporta i
medesimi obblighi (in particolare, controlli di legalità) e responsabilità in
capo al notaio autenticante.
Quella della firma digitale non autentica è quindi una valenza, è bene precisarlo, un
buon gradino sopra quella riconosciuta al documento sottoscritto con firma
“elettronica” (liberamente valutabile dal giudice) ma anche, come
unanimamente sostenuto dai migliori studiosi non solo italiani, un piccolo gradino sotto al documento
cartaceo sottoscritto con firma autografa (non autenticata). Deve infatti
considerarsi che (salve le ipotesi di falso o di uso fraudolento degli strumenti
di firma digitale) la apposizione di firma autografa implica una attività di
sottoscrizione, da parte del soggetto, concettualmente maggiore rispetto
all’utilizzo di una smart card, ed alla digitazione di un PIN (attività
che “di fatto” possono essere svolte, con estrema facilità, da un soggetto
diverso dal titolare del dispositivo di firma, senza che sia percepibile ictu oculi la falsità
della sottoscrizione): se la firma autografa è prima facie
riconducibile al sottoscrittore e ad una esternazione di volontà, lo stesso non
accade con la firma digitale se si riflette sulla semplicità delle interfacce e
dei sistemi informatici (lato utente) utilizzati per la sua apposizione.
La verità è che esiste, è innegabile, un gap culturale che a
tutt’oggi, ben oltre dieci anni dall’avvio del sistema, impedisce una
corretta visione del fenomeno “firma digitale”. L’utilizzazione di sistemi
sempre più user friendly e di apparente crescente semplicità ha
impedito alla quasi totalità degli utenti (ordinariamente poco esperti in
informatica) di recepire in pieno la serietà delle conseguenze giuridiche
dell’uso della firma digitale, giustificandone ben spesso un uso distorto o
anomalo (quasi fosse un gioco).
Proseguendo nell’analisi, va ricordato che gli atti
pubblici o autenticati sono soggetti al controllo da parte del conservatore dell’archivio
notarile in sede di ispezione biennale degli atti dei notai (art. 128 della
legge n. 89/1913). A tale scopo – oltre che a quello di una accurata
conservazione degli atti – è finalizzata la previsione contenuta nell’art.
72, comma 3, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come modificato dall’art.
12, comma 1, della legge 28 novembre 2005, n. 246, ai sensi del quale “Le
scritture private autenticate dal notaro, verranno, salvo contrario desiderio
delle parti e salvo per quelle soggette a pubblicità immobiliare o
commerciale, restituite alle medesime. In ogni caso però debbono essere
prima, a cura del notaro, registrate a termini delle leggi sulle tasse di
registro”. D’altra parte, l’art. 36, comma 2, della legge n. 340 del 2000
dispone, ancora, che “In tutti quei casi in cui è prevista a qualsiasi fine
la produzione in originale dell'atto pubblico o della scrittura privata
autenticata, il relativo obbligo si intende adempiuto, salvo specifico ordine
della competente autorità giudiziaria, mediante produzione di copia
certificata conforme dal pubblico ufficiale depositario”. Le disposizioni
attuative del registro delle imprese sono state quindi implicitamente modificate
dalla normativa successiva, nella parte in cui prevedevano il deposito dell’atto
originale in luogo della copia autentica: la legge si preoccupa, oggi, di
assicurare la conservazione presso il notaio degli atti soggetti a pubblicità
commerciale, anche al fine di rafforzare i controlli di legalità sugli stessi.
Riassumendo, in base ai principi generali quali desumibili
dal codice civile e dalle disposizioni relative al registro delle imprese, gli
atti soggetti ad iscrizione devono avere forma autentica e devono essere
conservati da parte del pubblico ufficiale rogante o autenticante; la
presenza del controllo notarile preventivo (che è sufficiente ad assicurare la
sicurezza dei traffici e delle contrattazioni) giustifica la limitazione della
verifica da parte del conservatore del registro delle imprese alla sola
regolarità formale della documentazione prodotta. Quanto alla sottoscrizione
del documento informatico, esistono due tipi di “firma digitale”:
quella non autenticata (art. 24 CAD), e quella autenticata (art. 25 CAD).
A questo punto appare più semplice circoscrivere la portata
applicativa del comma 1-bis dell’art. 36 del DL 112/2008, che già l’esegesi
della norma contribuisce a chiarire in modo inequivocabile: nel momento in cui
si afferma che l’atto di trasferimento di quote di s.r.l. “può essere
sottoscritto con firma digitale” non si dice, in alcun modo, che detta
firma digitale deve essere “non autenticata”. Se il legislatore avesse
voluto questo effetto, lo avrebbe sancito espressamente, come è avvenuto in
altre occasioni (si veda, da ultimo, l’art. 8, comma 3, ultimo periodo, del DL
31 gennaio 2007, n. 7, aggiunto dall’art. 2, comma 450, della legge 24
dicembre 2007, n. 244, ove si parla di “scrittura privata anche non
autenticata”). L’espressione “firma digitale” individua soltanto la
fattispecie definita dall’art. 1, lett. s), del d. lgs. n. 82/2005, e
nel contesto in esame vuole creare soltanto un’alternativa alla firma
autografa, ma non significa evidentemente “firma non autenticata”: l’argomento
letterale, unitamente a quello ex silentio, ed alla evidente natura
derogatoria (e quindi di stretta interpretazione) della disposizione, militano
quindi inevocabilmente nel senso che il comma 1-bis in esame si
riferisce alla firma digitale autenticata da notaio .
Non va trascurato, peraltro, l’argomento sistematico. La
disciplina della pubblicità commerciale si fonda, come si è visto, sul
controllo preventivo di legalità operato dal notaio: ipotizzare la possibilità
di iscrizione in base a scrittura privata non autenticata determinerebbe un vero
e proprio sconvolgimento del sistema, obbligando il conservatore del registro
delle imprese ad un oneroso controllo di legalità sostanziale (oltre che all’accertamento
della provenienza della scrittura privata e della legittimazione delle parti),
che dovrebbe fondarsi su una disposizione espressa, nella fattispecie mancante.
Né è possibile ipotizzare – sulla base di una norma derogatoria dalla
portata circoscritta come quella in esame – l’esonero da controlli di
identità, capacità, legittimazione e legalità per una categoria di atti (la
cessione di partecipazioni in società a responsabilità limitata), la cui
importanza giuridica ed economica non è certo inferiore ad altri. Si
aggiunga il fatto che, nel vigente ordinamento giuridico italiano, la
pubblicità dichiarativa è sempre preceduta dal controllo notarile preventivo
degli atti da pubblicare, a tutela dei terzi e della sicurezza delle
contrattazioni.
Vi è poi, non da ultima, l’esigenza di interpretazione
adeguatrice. Come è noto, la legittimità costituzionale delle leggi
presuppone la relativa copertura finanziaria (art. 81 Cost.): in funzione di
ciò, l’ultimo periodo del comma 1-bis in esame dispone che “Resta
salva la disciplina tributaria applicabile agli atti di cui al presente articolo”.
Ora, tale “disciplina tributaria” cambia in base all’autenticità o meno
dell’atto. L’atto pubblico e la scrittura privata autenticata che contengono
cessioni di partecipazioni sociali sono, infatti, soggetti ad una imposta fissa
di registro per ogni cessione, e sono soggetti ad imposta forfettaria di bollo
fin dall’origine, oltre che alla tassa di archivio (ex art. 65 della
legge n. 89/1913). Viceversa, se la cessione di quote sociali fosse perfezionata
per scrittura privata non autenticata, quest’ultima non sarebbe soggetta a
registrazione in termine fisso, ma solo in caso d’uso, il quale non sarebbe
comunque integrato dal solo deposito dell’atto nel registro delle imprese;
sarebbe soggetta ad una minore imposta di bollo, e non sarebbe soggetta a tassa
d’archivio. Mancherebbe inoltre un pubblico ufficiale obbligato alla
registrazione, responsabile di imposta: il che appare in evidente contrasto con
la “salvezza” sancita dal comma 1-bis, posto che la “disciplina
tributaria” che “resta salva” non può essere soltanto quella riguardante
il presupposto d’imposta, la relativa liquidazione ed i soggetti passivi, ma
deve essere anche quella riguardante i soggetti obbligati e responsabili d’imposta
(altrimenti la “salvezza” sarebbe solo parziale e, in definitiva,
insussistente). L’ultimo periodo del comma 1-bis, evidentemente, nel
fare “salve” le disposizioni tributarie sopra richiamate non le modifica,
né le rende applicabili a fattispecie diverse da quelle normate (atti
autentici): esso conferma quindi la necessità che l’atto di cessione di
quote sociali sia pubblico o autenticato (diversamente interpretato, il
comma 1-bis sarebbe incostituzionale per difetto di copertura
finanziaria), e ribadisce l’applicabilità delle medesime imposte e tasse
dovute per gli atti su supporto cartaceo anche in caso di redazione di documento
informatico con firma digitale (in parziale deroga, quindi, all’art. 21,
comma 5, del d. lgs. n. 82/2005).
Il comma 1-bis non deroga quindi al principio di
autenticità. Esso non deroga, però, neanche all’obbligo di
conservazione del documento originale negli atti del notaio rogante o
autenticante, per le stesse ragioni suesposte in ordine alla necessità di
stretta interpretazione della norma derogatrice, oltre che all’inesistenza di rationes
che possano giustificare il venir meno delle garanzie connesse alla
conservazione (compresa l’ispezione biennale degli atti ad opera del
conservatore dell’archivio notarile) per gli atti in esame. Né la
conservazione dell’atto autenticato, da parte del notaio, è impedita dalla
vigente disciplina del documento informatico. L’archiviazione “a norma”
dei documenti informatici ha come presupposto indifferibile il contemporaneo uso
di sistemi di firma digitale, di marcatura temporale, di autenticità legata al
supporto. Sia nel CAD sia in tutte le direttive emanate nel tempo dal CNIPA (e
prima di esso dall’AIPA) per il settore privato si indica espressamente il
notaio come unico soggetto abilitato alla estrazione ed alla certificazione di
autenticità di copie di documenti informatici oggetto di archiviazione.
Ciò che ad oggi manca per la definitiva affermazione del sistema di
archiviazione a norma degli atti notarili formati con documento informatico –
e che quindi rende probabilmente inapplicabile, nell’immediato, l’innovazione
legislativa – è una norma di coordinamento tra CAD e legge notarile (una
mancanza già sottolineata dalla apposita commissione di studio istituita nel
2006 presso il CNIPA, che di tale norma ha pure suggerito la formulazione).
La deroga apportata dal comma 1-bis in oggetto va,
quindi, circoscritta al profilo della trasmissione dell’atto (rectius,
di una sua copia autentica, ex art. 23 CAD) all’ufficio del registro
delle imprese. Il legislatore ha, cioè, ritenuto di creare una “apertura
concorrenziale” – riguardo all’attività professionale consistente nella
richiesta di iscrizione nel registro delle imprese – a professionisti diversi
dal notaio (in particolare, i soggetti abilitati cui fa riferimento l’articolo
31, comma 2-quater, della legge n. 340 del 2000), evidentemente tenendo
conto del fatto che, ferma la riserva al notaio dell’attività di
autenticazione e di “adeguamento necessario” all’ordinamento giuridico, la
restante consulenza civilistica e tributaria, e l’attività necessaria al
perfezionamento della pubblicità legale, potrebbero essere fornite dai suddetti
professionisti, in alternativa al notaio. In altri termini, la
preoccupazione del legislatore sembra sia stata quella di ridurre – attraverso
la suddetta apertura concorrenziale – i costi connessi alla prestazione
professionale finalizzata (oltre che alla redazione degli atti) alla
trasmissione all’ufficio del registro delle imprese (ferma restando la
remunerazione di quel segmento di attività rappresentato dall’autenticazione
e dal controllo di legalità, che rimane riservato al notaio).
Per giungere al risultato sopra descritto, il legislatore
ha eliminato l’obbligo del notaio di richiedere l’iscrizione nel registro
delle imprese nell’ipotesi in cui l’originale dell’atto sia redatto su
supporto informatico, ponendo tale obbligo a carico delle parti (non è del
tutto certo, dalla lettura del comma 1-bis, che le parti siano realmente
“obbligate” al deposito – come sembrerebbe desumersi dal tenore testuale
della disposizione – o piuttosto che quest’ultimo configuri un mero “onere”,
al fine dell’iscrizione del trasferimento delle partecipazioni nel libro
soci).
Il deposito “a cura di un intermediario abilitato” non
implica, infatti, un obbligo di quest’ultimo (anche perché la legge non
prevede l’assistenza obbligatoria di alcun intermediario nella fase di
formazione dell’atto). Le parti, quindi, potranno redigere l’atto (su
supporto cartaceo o informatico) senza l’assistenza di alcun professionista,
ovvero potranno farlo redigere dal notaio o dall’intermediario abilitato. Una
volta fatto ciò, le stesse parti dovranno rivolgersi ad un notaio per l’autenticazione
della sottoscrizione: trattandosi di originale informatico, il notaio
autenticherà la firma digitale delle parti. Quindi, se non incaricato dalle
parti della richiesta di iscrizione nel registro delle imprese, il medesimo
notaio rilascerà una copia autentica (sempre su supporto informatico, ai sensi
dell’art. 23 CAD, e utilizzando la propria firma digitale), che verrà
utilizzata dall’intermediario abilitato per richiederne l’iscrizione nel
registro delle imprese.
Tutto ciò a scapito, evidentemente, delle ragioni che sono
alla base della disciplina dettata a contrasto del fenomeno del riciclaggio del
denaro di provenienza illecita: il legislatore ha in altri termini – con
scelta discutibile sul piano della politica del diritto, oltre che probabilmente
irragionevole tenuto conto dell’esigenza di bilanciamento degli interessi
coinvolti – sacrificato le esigenze di lotta alla criminalità economica sull’altare
di un (presunto, ed ipotetico) risparmio dei costi professionali necessari al
perfezionamento delle operazioni societarie in esame; il tempo dirà quali
effetti la disciplina in esame avrà prodotto su entrambi tali versanti.
Ultimo elemento qualificante per la bontà e validità del
deposito presso il registro delle imprese è dato dall’invio telematico
attraverso sistemi protetti (non a caso definiti dal Ministero dell’Interno
come infrastrutture critiche informatiche di interesse nazionale – D.M.
9 gennaio 2008 (in GU n. 101 del 30 aprile 2008) – e dall’utilizzo del
sistema di firma digitale del notariato che, attraverso il Consiglio Nazionale
del Notariato in veste di Autorità di Certificazione, garantisce appieno ed in
via esclusiva la pubblica funzione del notaio sottoscrittore, al contrario di
quanto avviene con altri certificatori ed ordini professionali.
In conclusione, l’interpretazione del comma 1-bis
dell’art. 36 del d.l. n. 112/2008 conduce univocamente alla conclusione che l’atto
di cessione di quote di società a responsabilità limitata deve essere tuttora
redatto in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata; l’autentica
può avere ad oggetto sia la firma autografa che la firma digitale (trattandosi
di documento informatico); in quest’ultimo caso il deposito presso il registro
delle imprese può essere effettuato – oltre che dal notaio autenticante –
dall’intermediario abilitato ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater,
della legge 24 novembre 2000, n. 340.
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