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Firma digitale

Quote societarie: la sola novità è nell'invio dell'atto

di Enrico Maccarone* e Gaetano Petrelli** - 11.09.08

 

L’art. 36, comma 1-bis, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, inserito dalla relativa legge di conversione, dispone: “L’atto di trasferimento di cui al secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile può essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ed è depositato, entro trenta giorni, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a cura di un intermediario abilitato ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340. In tale caso, l’iscrizione del trasferimento nel libro soci ha luogo, su richiesta dell’alienante e dell’acquirente, dietro esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto deposito, rilasciato dall’intermediario che vi ha provveduto ai sensi del presente articolo. Resta salva la disciplina tributaria applicabile agli atti di cui al presente articolo”.

(L’art. 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340, aggiunto dall’art. 2, comma 54, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, dispone che “Il deposito dei bilanci e degli altri documenti di cui all'articolo 2435 del codice civile può essere effettuato mediante trasmissione telematica o su supporto informatico degli stessi, da parte degli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, muniti della firma digitale e allo scopo incaricati dai legali rappresentanti della società”).

La nuova disposizione va quindi, per prima cosa, coordinata con la previsione dell’art. 2470, comma 2, c.c., il cui oggetto è l’atto di trasferimento delle partecipazioni in società a responsabilità limitata. Più precisamente, il secondo comma in esame disciplina, nella sua prima parte, l’atto di trasferimento inter vivos, disponendo che lo stesso deve essere munito di “sottoscrizione autenticata” e deve essere depositato entro trenta giorni presso l’ufficio del registro delle imprese “a cura del notaio autenticante”, quale condizione per la successiva iscrizione nel libro soci. L’ultima parte del secondo comma dell’art. 2470 – che non appare coinvolta dalla previsione in esame – disciplina invece l’atto di trasferimento a causa di morte, disponendo che in tal caso il deposito e l’iscrizione sono effettuati a richiesta dell’erede o del legatario.

Già da una prima lettura della nuova disposizione, dettata dalla legge speciale, si evince che la stessa non detta una disciplina esaustiva dell’atto di trasferimento di quote di s.r.l., dei suoi effetti, della sua forma e della sua pubblicità. Essa dispone, infatti, che l’atto stesso “può” essere sottoscritto con firma digitale (e quindi “può” essere redatto su supporto informatico), lasciando evidentemente alle parti la scelta di redigere l’atto in forma cartacea e sottoscriverlo in forma autografa: in quest’ultimo caso, evidentemente, trova integrale applicazione l’art. 2470 c.c. La stessa circostanza che la nuova previsione normativa non abbia modificato la norma codicistica, lasciandola in vigore, dimostra che essa si atteggia come norma “derogatoria”, che detta cioè una disciplina in deroga alla normativa generale, la quale ultima continua tuttavia ad applicarsi al di fuori dell’ambito coperto dalla deroga.

E’ poi pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che le norme derogatorie assumono carattere eccezionale, e sono quindi di stretta interpretazione, non essendo quindi, ad esempio, applicabili per analogia. E’, infine, evidente che – non essendo stato neanche menzionato il terzo comma dell’art. 2470 c.c., che disciplina l’efficacia “dichiarativa” dell’iscrizione nel registro delle imprese ai fini della soluzione del conflitto tra più acquirenti da un medesimo autore – nulla è innovato in ordine agli effetti della pubblicità legale.

Si tratta allora di individuare l’esatto oggetto della deroga portata dalla legge speciale. Per fare ciò occorre, innanzitutto, passare brevemente in rassegna le disposizioni che disciplinano il deposito e l’iscrizione degli atti societari nel registro delle imprese, e la forma degli atti medesimi.

La disposizione di riferimento è rappresentata dall’art. 11, comma 4, del D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581 (regolamento di attuazione in materia di registro delle imprese) dispone che “L'atto da iscrivere è depositato in originale, con sottoscrizione autenticata, se trattasi di scrittura privata non depositata presso un notaio. Negli altri casi è depositato in copia autentica”. La disposizione codifica quindi espressamente, ed in linea generale, il principio di autenticità degli atti soggetti ad iscrizione, del resto desumibile da numerose disposizioni del codice civile (ad es., artt. 2296, 2556, comma 2, oltre ovviamente agli artt. 2328, 2375, comma 2, 2436, 2463, 2480 c.c.). Principio di autenticità che assolve a diverse funzioni: l’accertamento dell’identità personale delle parti (art. 49 della legge n. 89/1913), con efficacia probatoria piena fino a querela di falso (artt. 2700 e 2703 c.c.); l’indagine della volontà e capacità di agire delle parti stesse (art. 47 della medesima legge n. 89/1913); la verifica della legittimazione e dei poteri di rappresentanza (art. 54 del R.D. n. 1326/1914); il controllo della legalità dell’atto soggetto ad iscrizione (art. 28 della legge n. 89/1913). Proprio in funzione dei controlli ed accertamenti effettuati dal notaio, il controllo da parte del conservatore del registro delle imprese è limitato – per espressa previsione di legge – al solo profilo formale.

Da rilevare che l’autentica della sottoscrizione (agli effetti dell’art. 2703 c.c.) è disciplinata dalla legge sia riguardo alla firma autografa che alla firma digitale; e che anche in questo secondo caso essa ha luogo previo accertamento da parte del pubblico ufficiale autenticante, oltre che della identità personale del sottoscrittore e della validità del certificato elettronico utilizzato, “del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto con l'ordinamento giuridico” (art. 25, commi 1 e 2 del codice dell’amministrazione digitale (CAD), approvato con DLgv 7 marzo 2005, n. 82, successivamente modificato con decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 259). L’utilizzo della firma digitale autenticata comporta, quindi, il controllo notarile di legalità al pari dell’autenticazione della firma autografa.

In tema di firma digitale si impone, a questo punto, una riflessione sul concetto di atto "…sottoscritto digitalmente nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici". La definizione è pleonastica: sarebbe stato sufficiente dire “sottoscritto digitalmente”, senza ulteriori specificazioni, per individuare una fattispecie giuridicamente ben individuata e già ampiamente disciplinata dalla legge. Ciò giustifica il sospetto che l’estensore materiale della disposizione abbia poca dimestichezza con la disciplina giuridica della firma digitale e con gli effetti che alla utilizzazione di quest’ultima vengono riconosciuti dal nostro ordinamento.

La locuzione “sottoscritto digitalmente” non equivale, in realtà, a “sottoscritto digitalmente con firma non autenticata”. Quest’ultima è fattispecie ben precisa e chiaramente disciplinata all’interno del codice dell’amministrazione digitale: si tratta dell’ipotesi di documento informatico sottoscritto mediante utilizzo di firma digitale “a norma” (art. 24 CAD) ed al quale l’ordinamento riconosce valenza di scrittura privata non autenticata (art. 21, comma 2 CAD: “Il documento informatico, sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile. L'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria”). La provenienza del documento informatico, in caso di firma digitale non autenticata, può essere quindi disconosciuta dal presunto sottoscrittore con qualsiasi mezzo di prova (senza necessità, quindi, di esperire querela di falso).

Da rilevare che, sempre a norma dell’art. 24 CAD, … “per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della  sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso. Attraverso il certificato qualificato si devono rilevare, secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 71, la validità del certificato stesso, nonchè gli elementi identificativi del titolare e del certificatore e gli eventuali limiti d'uso.” Il che esclude, nella fattispecie in esame, l’uso di firma “elettronica” o “non qualificata” giacchè priva di uno o più degli elementi caratteristici della firma digitale propriamente detta.

Ben diversa da quella disciplinata dall’art. 24 è l’ipotesi di “firma digitale autenticata” disciplinata dall’art. 25 CAD: quest’ultima disposizione chiarisce che “si ha per riconosciuta, ai sensi dell'articolo 2703 del codice civile, la firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato”. Solo la firma digitale autenticata ha, quindi, la medesima efficacia di prova legale della firma autografa autenticata, e comporta i medesimi obblighi (in particolare, controlli di legalità) e responsabilità in capo al notaio autenticante.

Quella della firma digitale non autentica è quindi una valenza, è bene precisarlo, un buon gradino sopra quella riconosciuta al documento sottoscritto con firma “elettronica” (liberamente valutabile dal giudice) ma anche, come unanimamente sostenuto dai migliori studiosi non solo italiani, un piccolo gradino sotto al documento cartaceo sottoscritto con firma autografa (non autenticata). Deve infatti considerarsi che (salve le ipotesi di falso o di uso fraudolento degli strumenti di firma digitale) la apposizione di firma autografa implica una attività di sottoscrizione, da parte del soggetto, concettualmente maggiore rispetto all’utilizzo di una smart card, ed alla digitazione di un PIN (attività che “di fatto” possono essere svolte, con estrema facilità, da un soggetto diverso dal titolare del dispositivo di firma, senza che sia percepibile ictu oculi la falsità della sottoscrizione): se la firma autografa è prima facie riconducibile al sottoscrittore e ad una esternazione di volontà, lo stesso non accade con la firma digitale se si riflette sulla semplicità delle interfacce e dei sistemi informatici (lato utente) utilizzati per la sua apposizione.
La verità è che esiste, è innegabile, un gap culturale che a tutt’oggi, ben oltre dieci anni dall’avvio del sistema, impedisce una corretta visione del fenomeno “firma digitale”. L’utilizzazione di sistemi sempre più user friendly e di apparente crescente semplicità ha impedito alla quasi totalità degli utenti (ordinariamente poco esperti in informatica) di recepire in pieno la serietà delle conseguenze giuridiche dell’uso della firma digitale, giustificandone ben spesso un uso distorto o anomalo (quasi fosse un gioco).

Proseguendo nell’analisi, va ricordato che gli atti pubblici o autenticati sono soggetti al controllo da parte del conservatore dell’archivio notarile in sede di ispezione biennale degli atti dei notai (art. 128 della legge n. 89/1913). A tale scopo – oltre che a quello di una accurata conservazione degli atti – è finalizzata la previsione contenuta nell’art. 72, comma 3, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come modificato dall’art. 12, comma 1, della legge 28 novembre 2005, n. 246, ai sensi del quale “Le scritture private autenticate dal notaro, verranno, salvo contrario desiderio delle parti e salvo per quelle soggette a pubblicità immobiliare o commerciale, restituite alle medesime. In ogni caso però debbono essere prima, a cura del notaro, registrate a termini delle leggi sulle tasse di registro”. D’altra parte, l’art. 36, comma 2, della legge n. 340 del 2000 dispone, ancora, che “In tutti quei casi in cui è prevista a qualsiasi fine la produzione in originale dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, il relativo obbligo si intende adempiuto, salvo specifico ordine della competente autorità giudiziaria, mediante produzione di copia certificata conforme dal pubblico ufficiale depositario”. Le disposizioni attuative del registro delle imprese sono state quindi implicitamente modificate dalla normativa successiva, nella parte in cui prevedevano il deposito dell’atto originale in luogo della copia autentica: la legge si preoccupa, oggi, di assicurare la conservazione presso il notaio degli atti soggetti a pubblicità commerciale, anche al fine di rafforzare i controlli di legalità sugli stessi.

Riassumendo, in base ai principi generali quali desumibili dal codice civile e dalle disposizioni relative al registro delle imprese, gli atti soggetti ad iscrizione devono avere forma autentica e devono essere conservati da parte del pubblico ufficiale rogante o autenticante; la presenza del controllo notarile preventivo (che è sufficiente ad assicurare la sicurezza dei traffici e delle contrattazioni) giustifica la limitazione della verifica da parte del conservatore del registro delle imprese alla sola regolarità formale della documentazione prodotta. Quanto alla sottoscrizione del documento informatico, esistono due tipi di “firma digitale”: quella non autenticata (art. 24 CAD), e quella autenticata (art. 25 CAD).

A questo punto appare più semplice circoscrivere la portata applicativa del comma 1-bis dell’art. 36 del DL 112/2008, che già l’esegesi della norma contribuisce a chiarire in modo inequivocabile: nel momento in cui si afferma che l’atto di trasferimento di quote di s.r.l. “può essere sottoscritto con firma digitale” non si dice, in alcun modo, che detta firma digitale deve essere “non autenticata”. Se il legislatore avesse voluto questo effetto, lo avrebbe sancito espressamente, come è avvenuto in altre occasioni (si veda, da ultimo, l’art. 8, comma 3, ultimo periodo, del DL 31 gennaio 2007, n. 7, aggiunto dall’art. 2, comma 450, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ove si parla di “scrittura privata anche non autenticata”). L’espressione “firma digitale” individua soltanto la fattispecie definita dall’art. 1, lett. s), del d. lgs. n. 82/2005, e nel contesto in esame vuole creare soltanto un’alternativa alla firma autografa, ma non significa evidentemente “firma non autenticata”: l’argomento letterale, unitamente a quello ex silentio, ed alla evidente natura derogatoria (e quindi di stretta interpretazione) della disposizione, militano quindi inevocabilmente nel senso che il comma 1-bis in esame si riferisce alla firma digitale autenticata da notaio .

Non va trascurato, peraltro, l’argomento sistematico. La disciplina della pubblicità commerciale si fonda, come si è visto, sul controllo preventivo di legalità operato dal notaio: ipotizzare la possibilità di iscrizione in base a scrittura privata non autenticata determinerebbe un vero e proprio sconvolgimento del sistema, obbligando il conservatore del registro delle imprese ad un oneroso controllo di legalità sostanziale (oltre che all’accertamento della provenienza della scrittura privata e della legittimazione delle parti), che dovrebbe fondarsi su una disposizione espressa, nella fattispecie mancante. Né è possibile ipotizzare – sulla base di una norma derogatoria dalla portata circoscritta come quella in esame – l’esonero da controlli di identità, capacità, legittimazione e legalità per una categoria di atti (la cessione di partecipazioni in società a responsabilità limitata), la cui importanza giuridica ed economica non è certo inferiore ad altri. Si aggiunga il fatto che, nel vigente ordinamento giuridico italiano, la pubblicità dichiarativa è sempre preceduta dal controllo notarile preventivo degli atti da pubblicare, a tutela dei terzi e della sicurezza delle contrattazioni.

Vi è poi, non da ultima, l’esigenza di interpretazione adeguatrice. Come è noto, la legittimità costituzionale delle leggi presuppone la relativa copertura finanziaria (art. 81 Cost.): in funzione di ciò, l’ultimo periodo del comma 1-bis in esame dispone che “Resta salva la disciplina tributaria applicabile agli atti di cui al presente articolo”. Ora, tale “disciplina tributaria” cambia in base all’autenticità o meno dell’atto. L’atto pubblico e la scrittura privata autenticata che contengono cessioni di partecipazioni sociali sono, infatti, soggetti ad una imposta fissa di registro per ogni cessione, e sono soggetti ad imposta forfettaria di bollo fin dall’origine, oltre che alla tassa di archivio (ex art. 65 della legge n. 89/1913). Viceversa, se la cessione di quote sociali fosse perfezionata per scrittura privata non autenticata, quest’ultima non sarebbe soggetta a registrazione in termine fisso, ma solo in caso d’uso, il quale non sarebbe comunque integrato dal solo deposito dell’atto nel registro delle imprese; sarebbe soggetta ad una minore imposta di bollo, e non sarebbe soggetta a tassa d’archivio. Mancherebbe inoltre un pubblico ufficiale obbligato alla registrazione, responsabile di imposta: il che appare in evidente contrasto con la “salvezza” sancita dal comma 1-bis, posto che la “disciplina tributaria” che “resta salva” non può essere soltanto quella riguardante il presupposto d’imposta, la relativa liquidazione ed i soggetti passivi, ma deve essere anche quella riguardante i soggetti obbligati e responsabili d’imposta (altrimenti la “salvezza” sarebbe solo parziale e, in definitiva, insussistente). L’ultimo periodo del comma 1-bis, evidentemente, nel fare “salve” le disposizioni tributarie sopra richiamate non le modifica, né le rende applicabili a fattispecie diverse da quelle normate (atti autentici): esso conferma quindi la necessità che l’atto di cessione di quote sociali sia pubblico o autenticato (diversamente interpretato, il comma 1-bis sarebbe incostituzionale per difetto di copertura finanziaria), e ribadisce l’applicabilità delle medesime imposte e tasse dovute per gli atti su supporto cartaceo anche in caso di redazione di documento informatico con firma digitale (in parziale deroga, quindi, all’art. 21, comma 5, del d. lgs. n. 82/2005).

Il comma 1-bis non deroga quindi al principio di autenticità. Esso non deroga, però, neanche all’obbligo di conservazione del documento originale negli atti del notaio rogante o autenticante, per le stesse ragioni suesposte in ordine alla necessità di stretta interpretazione della norma derogatrice, oltre che all’inesistenza di rationes che possano giustificare il venir meno delle garanzie connesse alla conservazione (compresa l’ispezione biennale degli atti ad opera del conservatore dell’archivio notarile) per gli atti in esame. Né la conservazione dell’atto autenticato, da parte del notaio, è impedita dalla vigente disciplina del documento informatico. L’archiviazione “a norma” dei documenti informatici ha come presupposto indifferibile il contemporaneo uso di sistemi di firma digitale, di marcatura temporale, di autenticità legata al supporto. Sia nel CAD sia in tutte le direttive emanate nel tempo dal CNIPA (e prima di esso dall’AIPA) per il settore privato si indica espressamente il notaio come unico soggetto abilitato alla estrazione ed alla certificazione di autenticità di copie di documenti informatici oggetto di archiviazione. Ciò che ad oggi manca per la definitiva affermazione del sistema di archiviazione a norma degli atti notarili formati con documento informatico – e che quindi rende probabilmente inapplicabile, nell’immediato, l’innovazione legislativa – è una norma di coordinamento tra CAD e legge notarile (una mancanza già sottolineata dalla apposita commissione di studio istituita nel 2006 presso il CNIPA, che di tale norma ha pure suggerito la formulazione).

La deroga apportata dal comma 1-bis in oggetto va, quindi, circoscritta al profilo della trasmissione dell’atto (rectius, di una sua copia autentica, ex art. 23 CAD) all’ufficio del registro delle imprese. Il legislatore ha, cioè, ritenuto di creare una “apertura concorrenziale” – riguardo all’attività professionale consistente nella richiesta di iscrizione nel registro delle imprese – a professionisti diversi dal notaio (in particolare, i soggetti abilitati cui fa riferimento l’articolo 31, comma 2-quater, della legge n. 340 del 2000), evidentemente tenendo conto del fatto che, ferma la riserva al notaio dell’attività di autenticazione e di “adeguamento necessario” all’ordinamento giuridico, la restante consulenza civilistica e tributaria, e l’attività necessaria al perfezionamento della pubblicità legale, potrebbero essere fornite dai suddetti professionisti, in alternativa al notaio. In altri termini, la preoccupazione del legislatore sembra sia stata quella di ridurre – attraverso la suddetta apertura concorrenziale – i costi connessi alla prestazione professionale finalizzata (oltre che alla redazione degli atti) alla trasmissione all’ufficio del registro delle imprese (ferma restando la remunerazione di quel segmento di attività rappresentato dall’autenticazione e dal controllo di legalità, che rimane riservato al notaio).

Per giungere al risultato sopra descritto, il legislatore ha eliminato l’obbligo del notaio di richiedere l’iscrizione nel registro delle imprese nell’ipotesi in cui l’originale dell’atto sia redatto su supporto informatico, ponendo tale obbligo a carico delle parti (non è del tutto certo, dalla lettura del comma 1-bis, che le parti siano realmente “obbligate” al deposito – come sembrerebbe desumersi dal tenore testuale della disposizione – o piuttosto che quest’ultimo configuri un mero “onere”, al fine dell’iscrizione del trasferimento delle partecipazioni nel libro soci).

Il deposito “a cura di un intermediario abilitato” non implica, infatti, un obbligo di quest’ultimo (anche perché la legge non prevede l’assistenza obbligatoria di alcun intermediario nella fase di formazione dell’atto). Le parti, quindi, potranno redigere l’atto (su supporto cartaceo o informatico) senza l’assistenza di alcun professionista, ovvero potranno farlo redigere dal notaio o dall’intermediario abilitato. Una volta fatto ciò, le stesse parti dovranno rivolgersi ad un notaio per l’autenticazione della sottoscrizione: trattandosi di originale informatico, il notaio autenticherà la firma digitale delle parti. Quindi, se non incaricato dalle parti della richiesta di iscrizione nel registro delle imprese, il medesimo notaio rilascerà una copia autentica (sempre su supporto informatico, ai sensi dell’art. 23 CAD, e utilizzando la propria firma digitale), che verrà utilizzata dall’intermediario abilitato per richiederne l’iscrizione nel registro delle imprese.

Tutto ciò a scapito, evidentemente, delle ragioni che sono alla base della disciplina dettata a contrasto del fenomeno del riciclaggio del denaro di provenienza illecita: il legislatore ha in altri termini – con scelta discutibile sul piano della politica del diritto, oltre che probabilmente irragionevole tenuto conto dell’esigenza di bilanciamento degli interessi coinvolti – sacrificato le esigenze di lotta alla criminalità economica sull’altare di un (presunto, ed ipotetico) risparmio dei costi professionali necessari al perfezionamento delle operazioni societarie in esame; il tempo dirà quali effetti la disciplina in esame avrà prodotto su entrambi tali versanti.

Ultimo elemento qualificante per la bontà e validità del deposito presso il registro delle imprese è dato dall’invio telematico attraverso sistemi protetti (non a caso definiti dal Ministero dell’Interno come infrastrutture critiche informatiche di interesse nazionaleD.M. 9 gennaio 2008 (in GU n. 101 del 30 aprile 2008) – e dall’utilizzo del sistema di firma digitale del notariato che, attraverso il Consiglio Nazionale del Notariato in veste di Autorità di Certificazione, garantisce appieno ed in via esclusiva la pubblica funzione del notaio sottoscrittore, al contrario di quanto avviene con altri certificatori ed ordini professionali.

In conclusione, l’interpretazione del comma 1-bis dell’art. 36 del d.l. n. 112/2008 conduce univocamente alla conclusione che l’atto di cessione di quote di società a responsabilità limitata deve essere tuttora redatto in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata; l’autentica può avere ad oggetto sia la firma autografa che la firma digitale (trattandosi di documento informatico); in quest’ultimo caso il deposito presso il registro delle imprese può essere effettuato – oltre che dal notaio autenticante – dall’intermediario abilitato ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340.
 

* Notaio in Palermo
** Notaio in Verbania

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