Pagina pubblicata tra il 1995 e il 2013
Le informazioni potrebbero non essere più valide
Documenti e testi normativi non sono aggiornati

 

 Firma digitale

Leggere attentamente le avvertenze
di Manlio Cammarata - 27.11.97

Rivoluzione digitale al via. L'altro ieri l'AIPA ha presentato ufficialmente al ministro della Funzione pubblica il regolamento sul documento informatico e la firma digitale. Oggi si apre il 36° congresso nazionale del Notariato, con all'ordine del giorno la nuova figura del "notaio on-line" e la intranet che collegherà gli studi tra loro e con la pubblica amministrazione.
Il regolamento sul protocollo informatizzato degli uffici pubblici è quasi pronto, quello sulle norme tecniche dovrà essere emanato entro sei mesi. Sono le premesse di quella che possiamo chiamare a pieno titolo "la rivoluzione digitale", perché potrebbe cambiare radicalmente il funzionamento della pubblica amministrazione e i suoi rapporti con i cittadini e determinare uno sviluppo sensibile delle attività economiche. Vale la pena di sottolineare che con l'introduzione di questa normativa, organica e sistematica, l'Italia si pone all'avanguardia nel mondo per l'impiego delle tecnologie dell'informazione.
E non dobbiamo trascurare il fatto che gli evidenti vantaggi, in tutti i campi, del documento e della firma digitale, stimoleranno un grande numero di persone e di organizzazioni a munirsi dei necessari strumenti e ad apprenderne l'uso. Così potrà colmarsi più facilmente il divario nell'alfabetizzazione informatica che oggi ci separa da molti paesi industrializzati e potremo quindi sfruttare meglio le opportunità di crescita economica, sociale e culturale offerte dalle tecnologie dell'informazione.

E' presto per prevedere i modi e i tempi di questa evoluzione. Possiamo solo constatare che non ci sono ostacoli insormontabili né dal lato tecnologico, né da quello economico. La normativa, per quello che si può giudicare leggendo il primo regolamento, non presenta aspetti particolarmente critici e appare abbastanza flessibile da consentire gli aggiustamenti che si rendessero necessari con l'esperienza applicativa.

Un solo punto deve essere valutato con prudenza: quello dell'impatto delle nuove norme sulla cultura consolidata della carta, della firma autografa, del timbro e della "prassi"; il vero nemico, quest'ultima, di ogni innovazione.
Ne abbiamo avuto una prova evidente nelle discussioni che si sono svolte nelle scorse settimane in occasione del convegno e dei seminari organizzati da questa rivista: sono state avanzate diverse obiezioni, caratterizzate da un dato comune: la non perfetta comprensione degli aspetti sostanziali dell'innovazione, al di là delle norme specifiche sui singoli momenti delle procedure digitali.
Queste obiezioni possono essere comprese in tre categorie:
- la prima si riassume nella frase "comunque dovremo andare dal notaio di persona", esprime cioè una critica al fatto che non è stata prevista una totale "smaterializzazione" delle procedure;
- la seconda, avanzata da alcuni giuristi, è la difficoltà di applicare le attuali regole processuali alla documentazione digitale;
- la terza, espressa invece da qualche tecnologo, riguarda i rischi della manipolazione illecita dei documenti e della possibile perdita delle informazioni (è noto che i bit sono molto, molto più volatili della carta e che non c'è modo di distinguere un bit autentico da un bit falsificato).

Queste perplessità possono essere facilmente superate con una lettura attenta delle norme (vecchie e nuove) e con l'uso consapevole delle tecnologie. Insomma, è necessario "leggere attentamente le avvertenze e le modalità d'uso", come si deve fare con le medicine, per capire l'inconsistenza dei paventati aspetti negativi del documento informatico.

Partiamo dalla prima obiezione: nell'ordinamento attuale la presenza fisica dell'interessato è indispensabile per un certo numero di atti, in particolare quando l'accertamento della sua identità sia la premessa per gli adempimenti successivi. Non è immaginabile che questa necessità possa essere superata in futuro, almeno fino a quando le prescrizioni delle leggi saranno rivolte agli esseri umani. Qualsiasi rapporto di rilevanza giuridica fa capo a uno i più individui e la smaterializzazione dei rapporti non può portare alla smaterializzazione delle persone. Ci dovrà essere sempre un momento in cui viene certificata la corrispondenza tra l'identità fisica di un individuo e la sua identità digitale, espressa dai bit della sua chiave pubblica. E questa corrispondenza deve essere certificata da un soggetto responsabile, che deve essere a sua volta essere una persona, posto che nessuno è ancora riuscito a formulare ipotesi credibili di responsabilità di una macchina.
Dunque, almeno in un momento iniziale dell'assunzione della sua "identità digitale", l'interessato dovrà fornire una prova evidente della sua identità fisica.

Più complessa, e nello stesso tempo più significativa, appare la questione dell'applicazione delle procedure tradizionali al documento e alla firma digitali, e non solo in campo processuale.
Qui è necessaria una comprensione non superficiale degli aspetti tecnici della materia, e in particolare del formidabile meccanismo di "autocertificazione" dei documenti formati e trasmessi con sistemi informatici e telematici. Infatti l'apposizione dei contrassegni digitali (firma, impronta, time stamping) rende immediata e completamente automatica la verifica dell'originalità, dell'attribuzione a un determinato soggetto e del momento della formazione e/o della trasmissione di un documento. La "perizia calligrafica" e altri analoghi passaggi non avranno più motivo di esistere, ma dovranno essere sostituiti da altre procedure, come la verifica del momento di pubblicazione o della revoca della firma digitale, di eventuali brogli da parte del certificatore, della possibile presa di conoscenza della chiave privata da parte di un soggetto diverso dal titolare e, soprattutto, dell'eventuale inganno sull'identità dell'interessato al momento della certificazione della firma.
Questo è l'esempio forse più interessante del salto culturale richiesto dall'introduzione del documento informatico: dove oggi si prospetta un reato di falso per l'apposizione di una firma contraffatta, domani si dovrà indagare su una possibile sostituzione di persona al momento della certificazione della firma. Gli effetti possono essere gli stessi, ma il reato è un altro.

Vediamo la terza obiezione: l'impossibilità di distinguere i bit "veri" dai bit "falsi" e il rischio di perdita di informazioni, due problemi ben noti a chi con i bit lavora tutto il giorno. Il primo problema, a ben guardare, non esiste, perché il documento provvisto di sigillo digitale o è vero, o non è documento. Gli algoritmi a chiave asimmetrica danno una certezza pressoché assoluta dell'autenticità delle informazioni, non possono esistere documenti veri con una firma digitale falsa, o viceversa. Il problema può essere a monte, come si è visto prima, ma non riguarda il tecnologo, che deve solo predisporre efficaci procedure di documentazione certificata delle operazioni connesse al trattamento dei documenti informatici.
Quanto ai rischi di perdita delle informazioni, è ben noto che la carta può durare molto più di un supporto informatico e che è molto più facile "smarrire" un insieme di bit che un faldone di pratiche. Ma la totale duplicabilità del documento informatico lo può rendere "immortale". Un archivio cartaceo può essere provvisto di rivelatori di calore e di estintori, ed è bene mettere anche un cartello con il numero di telefono dei pompieri bene in vista. Ma tutto questo non impedisce il verificarsi di un incendio e la distruzione, definitiva, dei documenti. Invece il fuoco può incenerire un sistema informatico senza la perdita di un solo bit, se è stato fatto un back-up remoto dei dati (del tutto sicuro anche per la segretezza degli stessi, se sono cifrati).

Si giunge così all'aspetto più importante della "rivoluzione digitale", dal punto di vista culturale prima ancora che giuridico: il nuovo concetto di "documento", che prescinde dalla natura, anzi, dall'esistenza stessa del supporto. A ben guardare, nel documento tradizionale ciò che viene certificato non è l'informazione ma il supporto che la contiene. Firme, timbri, filigrane, sigilli, persino le barrette metalliche inserite nelle banconote non autenticano l'informazione, ma il supporto. L'autenticità del contenuto è data dalla sua inscindibilità dal contenitore.
Ora il contenuto digitale è perfettamente separabile dal contenitore e l'autenticazione riguarda il contenuto stesso, e può addirittura esserne separata senza perdere la sua efficacia.

Il fatto veramente nuovo è che la verifica dell'autenticità dell'informazione digitale non può essere fatta "a mano" o "a occhio": occorre sempre un sistema informatico. Il che può sembrare un vincolo pesante a chi considera ancora il computer come un oggetto preoccupante e un po' misterioso o, al contrario, a chi lo venera ancora come una divinità, o a chi pensa di utilizzarlo come un "servitore intelligente".
Il computer è semplicemente lo strumento che rende possibile l'esistenza della società organizzata di oggi ed è indispensabile per l'individuo che voglia partecipare a pieno titolo alla vita di questa società. Chi non sa servirsi correttamente di questo strumento si allontana sempre di più dalle opportunità offerte dell'evoluzione della tecnologia: ma per evitare questo rischio basta "leggere attentamente le avvertenze".