La firma digitale tra
normativa nazionale e normativa comunitaria
di Natascia Montanari
- 07.10.99
(Sintesi della relazione presentata al seminario e convegno di studi "Firma digitale e libere professioni" - Pontremoli, 15-16 ottobre 1999)
Nonostante
lItalia sia stato uno dei primi paesi europei ad
aver accolto in maniera integrale linnovazione
tecnologica nel proprio sistema economico giuridico
attraverso il recepimento della tecnologia della firma
digitale con D.P.R. 513/1997, la proposta di direttiva
comunitaria sulla firma elettronica (Posizione Comune del
28 giugno 1999) potrebbe condurre il legislatore italiano
a modificare alcuni punti salienti della normativa
attualmente in vigore.
Infatti, lesame comparato dei due testi legislativi
evidenzia come vi siano delle differenze sostanziali che
potrebbero comportare la necessità di un adeguamento da
parte dellItalia al fine di armonizzare la
normativa dei diversi Stati Membri. Esaminiamo qui di
seguito le divergenze più rilevanti tra i due
provvedimenti.
Modello legislativo
adottato
A differenza della proposta di direttiva comunitaria,
lItalia ha optato per la tecnologia asimmetrica
della firma digitale di cui viene fornita la definizione:
essa si basa "su un sistema di chiavi
asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che
consente al sottoscrittore tramite la chiave privata e al
destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente,
di rendere manifesta e di verificare al provenienza e
lintegrità di un documento informatico o di un
insieme di documenti informatici" (art. 1 lett.
b) del D.P.R. 513 del 1997).
La posizione comune del Consiglio dellUnione
Europea che ha modificato nella sostanza
loriginaria proposta della Commissione sulla firma
digitale continua ad adottare un sistema tecnologicamente
neutro in quanto attribuisce validità giuridica alla
firma elettronica intesa come un qualunque mezzo
elettronico di identificazione sebbene, nella sua ultima
versione, si faccia riferimento anche ad una firma
elettronica "avanzata". Questultima viene
definita come "una firma elettronica che soddisfi
i seguenti requisiti: a) essere connessa in maniera unica
al firmatario; b) essere idonea ad identificare il
firmatario; c) essere creata con i mezzi sui quali il
firmatario può conservare il proprio controllo
esclusivo; d) essere collegata ai dati cui si riferisce
in modo da consentire lidentificazione di ogni
successiva modifica di detti dati" (ex art. 2
punto n.2).
Il riferimento alla firma elettronica
"avanzata" non può essere intesa nel senso che
la Comunità Europea abbia voluto avallare la scelta
legislativa di quei Stati, come lItalia, che hanno
adottato la firma digitale. Infatti, in primo luogo, le
caratteristiche che deve avere la firma elettronica
avanzata potrebbero essere assicurate dalladozione
di altre tecnologie diverse dalla crittografia a chiavi
asimmetriche; in secondo luogo, lart. 5 comma
secondo della posizione comune del Consiglio esclude che
la firma elettronica possa non essere considerata
efficace ed ammissibile come prova in un giudizio
unicamente a causa del fatto che "non sia creata
da un dispositivo per la creazione di una firma
sicura". Infatti, se la normativa europea avesse
voluto adottare la firma digitale come standard minimo di
sicurezza ammissibile, questultima disposizione non
avrebbe alcun senso.
Seguendo lesempio di quasi tutte le legislazioni
straniere, il decreto italiano si apre enunciando le
definizioni dei termini tecnici rilevanti per la
disciplina giuridica. Il fatto che venga determinato il
concetto generale di documento informatico pone una
ulteriore distinzione rispetto al testo della normativa
elaborata dallUnione Europea.
Anche se non sottoscritto con firma digitale, il
documento informatico provvisto dei requisiti stabiliti
dal regolamento ha lefficacia probatoria delle
riproduzioni meccaniche e pertanto fa piena prova dei
fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale
è prodotto non ne disconosce la conformità ai fatti o
alle cose medesime.
Mentre la normativa italiana è volta a dare un separato
valore legale al documento informatico non sottoscritto,
il testo comunitario attribuisce valore giuridico al
documento (informatico) sottoscritto con firma
elettronica. Infatti in tutta la disciplina comunitaria
non si fa alcun riferimento al documento, ma
esclusivamente alla firma, con la conseguenza che la
validità giuridica del primo è solo desumibile e quindi
non direttamente ed espressamente stabilito dal testo di
legge.
Il servizio di
certificazione e la responsabilità delle Autorità di
Certificazione
Secondo la normativa italiana, lAutorità di
Certificazione può essere sia un soggetto pubblico che
privato. Il certificatore, se soggetto privato, deve
avere la forma di società per azioni e capitale sociale
non inferiore a quello necessario ai fini
dellautorizzazione allattività bancaria
(12,5 miliardi di lire). Inoltre, il fornitore del
servizio deve possedere tutta una serie di requisiti
previsti dallart. 8 del D.P.R. 513/1997, tra cui
liscrizione in un apposito elenco predisposto
dallAutorità Informatica per la Pubblica
Amministrazione (AIPA). La normativa italiana nulla dice
sulla validità dei certificati emessi da autorità di
certificazione non accreditate e quindi non iscritte
nellapposito albo. Si può desumere, dal silenzio
normativo che certificatori che non rispettino i
requisiti e le procedure previste dal Decreto e dal
relativo Regolamento di attuazione ( Regolamento tecnico
approvato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri il
13 febbraio 1999) non possono svolgere tale attività
ovvero che nellipotesi in cui la svolgano, ai
certificati da loro emessi non si può attribuire alcuna
validità giuridica.
Contrariamente, la normativa comunitaria prevede che gli
Stati membri non possono subordinare lesercizio del
servizio di certificazione ad una autorizzazione
preventiva (art. 3) altrimenti si ostacolerebbe lo
sviluppo sia in termini di domanda che in termini di
innovazione tecnologica ma, per raggiungere un equilibrio
tra esigenze dei consumatori ed esigenze delle imprese e
conquistare la fiducia dei primi, lo Stato membro può
subordinare la fornitura di servizi di certificazione di
un elevato livello di sicurezza a sistemi di
accreditamento volontari. La norma comunitaria richiede
in questo caso che gli accreditation schemes siano
obiettivi, proporzionati, trasparenti e non
discriminatori.
Lautorità di certificazione accreditata viene
iscritta in un apposito albo e i certificati da essa
rilasciati sono ritenuti "qualificati" cioè
dotati di un alto livello di sicurezza senza escludere
comunque la validità giuridica e la sicurezza dei
certificati forniti da autorità che non hanno richiesto
laccreditamento. La distinzione si pone solo
nellipotesi di controversie giuridiche: le
autorità di certificazione non accreditate dovranno
dimostrare che i loro certificati offrono standard di
autenticazione e sicurezza simili ai certificati
qualificati.
La normativa italiana, allart. 9 del Decreto
513/1997 prevede tutta una serie di obblighi che devono
essere adempiuti dallAutorità di Certificazione,
senza però individuare eventuali responsabilità
nellipotesi in cui tali obblighi vengano violati.
Lart. 6 del testo comunitario, invece, stabilisce
tutta una serie di responsabilità del fornitore del
servizio di certificazione, il quale è responsabile per
i danni provocati a persone fisiche o giuridiche che
facciano ragionevole affidamento sul certificato. In
particolare, lAutorità di certificazione è
responsabile a) per lesattezza delle informazioni
contenute nel certificato; b) per la mancata
registrazione della revoca del certificato; c) per la
garanzia che, al momento del rilascio del certificato, il
firmatario identificato nel certificato qualificato
detenesse i dati per la creazione della firma
corrispondenti ai dati per la verifica della firma
riportati o identificati nel certificato; d) per la
garanzia della complementarietà dei dati per la
creazione e la verifica della firma, salvo che il
prestatore provi di aver agito senza negligenza
(inversione onere della prova).
Inoltre, viene prevista la possibilità di porre delle
limitazioni economiche di responsabilità: se è
stabilito un limite duso del certificato, "il
prestatore di servizi di certificazione deve essere
esentato dalla responsabilità per i danni derivanti
dalluso di un certificato qualificato che ecceda i
limiti posti nello stesso" (art. 8, terzo
comma).
Aspetti internazionali
Secondo il testo comunitario, la procedura di
accreditamento deve essere concepita in modo da
facilitare il commercio elettronico a livello mondiale
attraverso la cooperazione ed il mutuo riconoscimento dei
certificati emanati da autorità di certificazione di
Stati non appartenenti alla Unione Europea (art. 7). Le
condizioni necessarie per il riconoscimento sono:
1. la presenza dei requisiti previsti dalla direttiva e
laccreditamento da parte di uno degli Stati membri;
oppure
2. la garanzia sulla validità del certificato da parte
di una autorità di certificazione "europea" in
possesso dei requisiti; oppure
3. il riconoscimento dellautorità di
certificazione sulla base di un accordo bilaterale o
multilaterale tra lUnione Europea e stati terzi
oppure organizzazioni internazionali.
La Commissione può intervenire per facilitare il
reciproco riconoscimento dei certificati sia con proposte
volte a rendere effettive limplementazione degli
standard tecnici sia con proposte da sottoporre al
Consiglio e volte ad ottenere dei mandati a negoziare
accordi bilaterali e multilaterali con paesi terzi ed
organizzazioni internazionali.
Contrariamente, invece, lart. 8 del Decreto
513/1997 stabilisce che la procedura di certificazione
può essere svolta anche da un certificatore operante
sulla base di una licenza od autorizzazione rilasciata
solo da un altro Stato membro dellUnione Europea o
dello Spazio economico europeo - con lesclusione
quindi di Stati extracomunitari - e solo a condizione che
tali certificati vengano rilasciati qualora siano in
possesso di equivalenti requisiti.
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