Firme digitali, canali sicuri e
chiavi biometriche
di Manlio Cammarata - 21.05.99
Attenzione!
Con la pubblicazione delle nuove regole tecniche (gennaio 2004), questi articoli
non sono più attuali.
Ritorniamo su un argomento che
abbiamo sfiorato diverse volte in queste pagine, perché è fonte di grande
confusione e oggetto di uscite a volte strampalate: i rapporti tra la firma
digitale e le esigenze di sicurezza del commercio elettronico.
In senso tecnico la
firma digitale è il risultato di una particolare procedura di applicazione
della chiave segreta di un cifrario asimmetrico al documento da firmare. Il suo
valore è legato sostanzialmente alla serietà del certificatore (Certification
Authority nel linguaggio dell'internet) che pubblica l'altra chiave della
coppia - detta appunto "chiave pubblica" - testimoniando l'identità
del soggetto al quale essa è attribuita.
In senso legale,
oggi in Italia, la firma digitale è quella che rispetta la normativa in vigore,
cioè il DPR
513/97 e le regole tecniche stabilite con
il DPCM 8
febbraio 1999. Questa firma serve a
rendere un documento informatico "valido e rilevante a tutti gli effetti di
legge" e la sua validità deriva dalla pubblicazione del certificato della
corrispondente chiave pubblica da parte di un certificatore iscritto in un
apposito elenco tenuto dall'Autorità per l'informatica nella pubblica
amministrazione. Dal punto di vista sostanziale è una firma digitale
esattamente come quella descritta prima, ma è generata e certificata secondo
procedure molto severe che offrono un livello di sicurezza estremamente elevato
contro possibili contraffazioni.
Solo questa firma conferisce validità legale al documento informatico, nel
senso che sostituisce tutto l'armamentario di firme, timbri, filigrane e
quant'altro è stato inventato nei secoli per testimoniare l'autenticità di un
documento. Inoltre offre una serie di indicazioni certe sull'autore del
medesimo, come si legge nell'articolo
10 delle regole tecniche:
Art. 10
- Firma digitale
2. L'apposizione o l'associazione della firma
digitale al documento informatico equivale alla sottoscrizione prevista per gli
atti e documenti in forma scritta su supporto cartaceo.
6. L'apposizione di firma digitale integra
e sostituisce, ad ogni fine previsto dalla normativa vigente, l'apposizione di
sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere.
7. Attraverso la firma digitale devono
potersi rilevare, nei modi e con le tecniche definiti con il decreto di cui
all'articolo 3, gli elementi identificativi del soggetto titolare della firma,
del soggetto che l'ha certificata e del registro su cui essa è pubblicata per
la consultazione.
La firma digitale in senso tecnico, cioè quella
generata senza il rispetto delle procedure prescritte dalla normativa, ha il
valore che di volta in volta le viene riconosciuto da chi riceve il documento.
Tanto per fare un esempio, Telecom Italia ha iniziato a distribuire, a scopo
dimostrativo, certificati che non valgono assolutamente nulla. Nei giorni
scorsi, al Forum della pubblica amministrazione, chiunque si presentasse allo
stand di Telecom poteva ottenere un certificato dichiarando di chiamarsi Donald
Duck e inventando sul momento un codice fiscale (nemmeno questo veniva
controllato). Ora, se mi arriva un documento con firma digitale certificata
"Village Trust" (questa l'etichetta del certificatore), per me vale
meno di un documento senza firma, perché subito sospetto un imbroglio.
E' chiaro, ho fatto un esempio al limite, perché
in sostanza quello di Telecom è un gioco (molto pericoloso, però, perché
qualche sprovveduto potrebbe crederlo una cosa seria), mentre sulla rete ci sono
certificatori validi, anche se i loro certificati non avranno efficacia legale
fino a quando non sarà in funzione il registro dell'AIPA e non vi si
iscriveranno.
A questo punto ci chiediamo: serve la firma
digitale ai sensi di legge per il commercio elettronico? La risposta è un
"no" secco e senza riserve. Tutto le transazioni che si svolgono in
rete, in tutto il mondo, con piena soddisfazioni di venditori, acquirenti e
banche, fanno a meno della firma ditale "legale" (cioè non sono
basate su documenti informatici validi e rilevanti a tutti gli effetti di
legge), per il semplice motivo che l'Italia è stato il primo paese al mondo a
darsi queste regole, per di più ancora non operanti.
Eppure tutto funziona bene e le operazione fraudolente sono inesistenti.
Perché?
Perché il commercio elettronico, ameno quello più serio, si svolge attraverso
l'uso di "canali sicuri". Un "canale sicuro" di fatto è un
parente stretto della firma digitale, perché funziona con gli stessi principi
di crittografia, ma ha solo lo scopo di evitare che qualcuno possa intercettare
le informazioni che passano sulla rete (in particolare il numero della carta di
credito) o di alterare il contenuto dell'ordine.
Dell'identificazione certa del compratore non importa nulla a nessuno. Al
venditore interessa solo incassare il corrispettivo, e questo gli è garantito
dalla banca alla quale si appoggia (o, più esattamente, dall'emittente della
carta di credito). Al compratore interessa che nessuno possa intercettare il
numero della sua carta, e questo è garantito appunto dal "canale
sicuro". Solo all'emittente della carta interessa l'identità di chi la
usa, e questa è testimoniata dalla banca attraverso la quale la carta è stata
rilasciata.
Resta un punto critico: che la carta sia stata
sottratta al legittimo possessore, o che ne sia stato abusivamente copiato il
numero, e che la transazione avvenga prima che la carta sia stata invalidata con
l'iscrizione nella "lista nera". Qui entra in ballo una sicurezza
intrinseca del commercio elettronico: il bene o il servizio venduti attraverso
l'internet devono essere consegnati a qualcuno, o qualcuno si deve presentare
per usufruire del servizio acquistato. Ma se questo qualcuno ha fatto la spesa
con la carta di un altro, c'è il forte rischio che si veda davanti, invece che
un fattorino o una hostess, un paio di poliziotti...
Questo è il motivo per il quale nel commercio elettronico il numero delle
transazioni fraudolente, fino a questo momento, è insignificante.
Invece nel commercio "fisico" la frode è più facile: chiunque può
pagare il conto di un ristorante con una carta di credito rubata e poi sparire,
se riesce a farlo prima che il derubato denunci il furto.
Resta il fatto che in questo periodo si associa
spesso la firma digitale al commercio elettronico, sui mezzi di informazione e
anche in convegni e comunicazioni commerciali, da parte di organizzazioni
interessate al nuovo mercato. In molti casi può trattarsi di scarsa conoscenza
del problema, in altri di pura speculazione. In prospettiva, firma digitale
(legale) e commercio elettronico potranno incontrarsi per transazioni di valore
elevato, come l'acquisto di un'automobile o di una casa, ma è difficile che
questo possa verificassi in tempi brevi, almeno in Italia.
Naturalmente un acquirente "certificato" è un cliente più sicuro e
più disponibile per il commercio telematico, ed è comprensibile che qualcuno
cerchi di allargare la base dei potenziali clienti anche con l'offerta della
certificazione della firma digitale. Ma non sembra questo il sistema più
semplice e veloce per far decollare il mercato sull'internet.
Il problema, come ho già scritto, è che le
procedure della firma digitale con valore legale sono troppo complesse - e,
probabilmente, costose - per diventare prassi comune nel commercio elettronico.
Con le procedure "libere", molto più semplici da realizzare, si
ottiene l'effetto del "canale sicuro", che è il requisito essenziale
delle transazioni telematiche.
Resta ancora un punto da chiarire: in diverse
occasioni, quando si parla di forma digitale, vengono presentati dispositivi per
il riconoscimento biometrico, cioè apparecchi che identificano l'utente
analizzando l'impronta digitale o quella della retina o dell'iride, oppure il
timbro della voce.
Qualcuno ipotizza addirittura l'introduzione di firme digitali basate su chiavi
biometriche, ma gli standard attuali escludono questa possibilità: la chiave
biometrica non ha nulla a che fare con il documento informatico e con la firma
digitale. Si tratta di un sistema di sicurezza, la cui introduzione è prevista
dall'articolo
1 del DPR 523/97:
Art. 1 - Definizioni
1. Ai fini del presente decreto si intende:
g) per chiave biometrica, la sequenza di
codici informatici utilizzati nell'ambito di meccanismi di sicurezza che
impiegano metodi di verifica dell'identità personale basati su specifiche
caratteristiche fisiche dell'utente.
Dunque si tratta di meccanismi di sicurezza che
servono a verificare l'identità personale. Non è da escludere che, in futuro,
la chiave biometrica possa far parte delle procedure di identificazione del
titolare adottate dai certificatori. Ma, per ora, la chiave biometrica è
entrata nella normativa sul documento informatico perché può essere adottata
nell'ambito delle procedure si sicurezza interne dei certificatori.
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