L'Europa della firma digitale
di Daniele Ricciardi - 25.10.99
Nei prossimi mesi l'Italia, in quanto membro
dell'Unione Europea, si renderà conto, se non già lo ha fatto, di non essere
solo un paese di sognatori, bensì di scienziati e giuristi d'avanguardia.
Nessun paragone con personaggi della storia passata (Leonardo da Vinci) o
recente (Francesco Carnelutti), tuttavia studiosi degni di rispetto nel mondo.
Questa premessa introduce una materia estremamente seria: la firma digitale in
Europa.
Entro la fine dell'anno una direttiva del
Parlamento e del Consiglio Europeo, attribuirà valore giuridico alla firma
elettronica stimolando gli Stati membri dell'Unione ad accelerare i tempi per
l'introduzione dell'informatica e della telematica nel settore pubblico ed
in quello privato. Il nostro Paese si è già regolato nella materia da alcuni
anni per mezzo di una serie di regolamenti governativi, che trovano ispirazione
nell'art. 15, comma 2, della legge 57/1997. Differente è la situazione degli
altri Stati europei, i quali, anche a causa di differenze culturali e
strutturali, vivono fasi diverse di quel processo che li condurrà ad adeguarsi
all'evoluzione tecnologica. Il quadro dei lavori fino ad oggi compiuti,
studiato dalle istituzioni comunitarie, mostra una eterogeneità che potrebbe
creare serie difficoltà alla comunicazione delle informazioni ed al commercio
sulle reti aperte come Internet. I propositi della direttiva sono indirizzati
all'eliminazione degli ostacoli per il riconoscimento giuridico delle firme
elettroniche e la libera circolazione dei servizi di certificazione. Naturali
presupposti al conseguimento di questi risultati sono il corretto funzionamento
del mercato interno per mezzo di un'armonizzazione delle discipline ed il
mutuo riconoscimento delle firme elettroniche e dei soggetti coinvolti nel
sistema.
Queste affermazioni, presenti nella relazione
dell'atto normativo in oggetto, non sono sufficienti al giurista, il cui
compito è studiare ed interpretare le norme. Senza dimenticare che le norme
europee sono "emanande" e che una loro modifica comporterebbe
differenti valutazioni, è opportuno effettuare un esame comparativo con le
disposizioni "emanate" dal legislatore italiano nel d.P.R. 513/1997 (e
nel collegato d.P.C.M 8 febbraio 1999).
Innanzitutto il titolo dei due atti chiarisce le
prime ed essenziali differenze. Mentre la disciplina italiana ha per oggetto il
documento informatico (meglio, i criteri e modalità per la formazione, l'archiviazione
e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici), la
direttiva è dedicata esclusivamente alla firma elettronica; di fatto, la
normativa italiana si dedica principalmente alla disciplina della firma digitale
ed al sistema di certificazione. Si è detto firma digitale e non firma
elettronica: la distinzione non è meramente terminologica, ma ha radici nelle
caratteristiche tecniche alla base dei tipi di firma. Senza perdersi nei meandri
della tecnologia informatica, è sufficiente chiarire che firma elettronica e
firma digitale si trovano in rapporto di genus a species. "Firma
elettronica" è un insieme di "dati in forma elettronica allegati,
oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici ed
utilizzata come metodo di autenticazione" (art. 2 n. 1, dir.). La firma
digitale è una particolare firma elettronica che si fonda su sistemi digitali.
L'intento del legislatore comunitario è di non limitare alla tecnologia
basata sulla crittografia asimmetrica (scelta dal legislatore italiano), la
possibilità degli Stati membri di adottare strumenti diversi (forse per l'eterogeneo
stato della tecnica). L'art. 1 dir. limita il proprio campo di applicazione
alle firme elettroniche ed a taluni servizi di certificazione, escludendo il
riconoscimento giuridico dei contratti che richiedono l'apposizione di una
firma. La necessità di una firma estremamente "sicura" ha indotto il
legislatore ad introdurre la nozione di "firma elettronica avanzata"
(art. 2, n. 2, dir.), ossia una firma elettronica connessa in maniera unica al
firmatario, idonea ad identificarlo, creata su mezzi sotto il controllo
esclusivo del firmatario e tali da permettere l'identificazione di ogni
successiva modifica dei dati. Una firma elettronica così strutturata ha
caratteri analoghi al sistema di firma digitale fondato sulla crittografia
asimmetrica previsto dalle nostre norme e non sembra difficile ammettere che la
disciplina italiana della firma digitale sia conforme e rientri nella
definizione di firma elettronica avanzata.
Le regole relative all'accesso al mercato dei
servizi di certificazione porta alla luce delle differenze tra sistema di
certificazione europeo e quello nostrano. Per l'Unione, "gli Stati membri
non subordinano ad autorizzazione preventiva la prestazione di servizi di
certificazione"; è tuttavia consentita la conservazione o l'introduzione
di sistemi di "accreditamento facoltativi" per servizi di
certificazione di livello più elevato, i quali vengano svolti da soggetti con i
requisiti previsti dall'allegato III della direttiva e che possono fornire
"certificati qualificati". Infatti, la disciplina europea distingue
due tipi di certificato; "certificato" è un attestato elettronico che
colleghi i dati di verifica della firma ad una persona e conferma l'identità
di tale persona (art. 2 n. 9 dir.); "certificato qualificato" è un
attestato elettronico con i requisiti previsti dall'allegato I e fornito da un
prestatore di servizi di certificazione che soddisfa i requisiti dell'allegato
II (art. 2 n. 10 dir.).
Il legislatore italiano sembra aver scelto una
strada diversa prevista dall'art. 8 d.P.R. 513. Il terzo comma afferma che
"le attività di certificazione sono effettuate da certificatori inclusi,
sulla base di una dichiarazione anteriore all'inizio dell'attività, in
apposito elenco pubblico, consultabile in via telematica, predisposto tenuto e
aggiornato a cura dell'Autorità per l'informatica nella pubblica
amministrazione". Questo procedimento è l'unico descritto dal
Regolamento e permette il pieno riconoscimento giuridico alla documentazione
informatica con firma digitale. La combinazione degli articoli del d.P.R. 513 e
del d.P.C.M collegato, che ne stabiliscono i requisiti, permette di considerare
il certificatore italiano quale prestatore di servizi di certificazione che
rilascia un certificato qualificato.
In sostanza, la disciplina del nostro Paese non
prevede una firma elettronica non basata su un sistema crittografico a chiave
pubblica e la possibilità di esercitare l'attività di certificazione al di
fuori del sistema di accreditamento. Allo stesso modo la direttiva comunitaria
è carente a causa della mancata previsione dei requisiti di un certificato non
qualificato o di un soggetto che voglia, senza essere accreditato presso
Autorità nazionali, svolgere il ruolo di prestatore di servizi di
certificazione.
Di particolare interesse è l'art. 5 della
direttiva, in tema di effetti giuridici delle firme elettroniche, in base al
quale gli Stati membri provvedono a che le firme elettroniche avanzate basate su
un certificato qualificato e creato mediante un dispositivo per la creazione di
una firma sicura posseggano i requisiti legali di una firma in relazione ai dati
in forma elettronica così come una firma autografa li possiede per quelli
cartacei e siano ammesse come prova in giudizio. Il secondo comma prevede che
gli Stati membri provvedano affinché una firma elettronica non sia considerata
legalmente inefficace ed inammissibile come prova in giudizio unicamente a causa
della sua forma elettronica, o di non essere basata su un certificato
qualificato, o di un certificato rilasciato da un prestatore qualificato o di
non essere creata da un dispositivo per la creazione di una firma sicura. Quanto
affermato chiarisce che la firma elettronica ha un riconoscimento giuridico da
parte dell'Unione. Tuttavia mentre la firma elettronica avanzata va equiparata
alla sottoscrizione autografa ai fini sia di forma sia di prova, la firma
elettronica (non specificata) deve, in ogni caso, possedere una rilevanza
giuridica che avrà meno "forza legale" rispetto alla precedente.
Diversa è la previsione del d.P.R 513, il quale
crea un'equivalenza fra la firma digitale e la sottoscrizione autografa (art.
10, comma 2). Non sembra possibile attribuire, in base alle norme italiane, un
riconoscimento giuridico a firme apposte od associate con strumenti differenti
da quelli presenti nel Regolamento governativo. Inoltre la figura del
certificatore ha dei caratteri estremamente dettagliati che mal si conciliano
con il libero esercizio di questa delicata funzione di autenticazione prevista
dalla direttiva europea. Mentre quest'ultima consente lo svolgimento dell'attività
certificativa tanto a persone giuridiche quanto a persone fisiche (art. 2, n. 11
dir., prestatore di servizi di certificazione è "un'entità o una
persona fisica o una persona giuridica che rilascia certificati o fornisce altri
servizi connessi alle firme elettroniche"), il decreto italiano ammette
esclusivamente a tale qualifica soggetti pubblici o privati con forma di
società per azioni e capitale sociale non inferiore a quello necessario ai fini
dell'autorizzazione dell'attività bancaria (art. 8, comma 3, (a ).
Già la dottrina aveva sollevato perplessità in merito al rigore dei requisiti
perché rendono inevitabile l'esclusione di soggetti che potrebbero svolgere
efficacemente l'attività di certificazione proprio per il loro ruolo e le
loro funzioni tipiche, ad esempio i fornitori di accesso ad Internet (vedi
Ciacci, La firma digitale, Il Sole24ore, 1999).
Dall'esame comparativo fin qui svolto sembra
evidente che vi siano dei punti di frizione fra le emanande norme comunitarie e
quelle italiane. Va sottolineato come la materia oggetto di studio sia una
novità per molti degli ordinamenti degli Stati membri dell'Unione e di
conseguenza per l'attività legislativa del Parlamento e del Consiglio
Europeo, il cui obiettivo non è armonizzare le discipline statuali bensì
dettare norme comuni per iniziare una fase legislativa nazionale nel segno dei
principi disposti dagli organi sovranazionali. In questo caso l'Italia si è
fatta trovare ben preparata (forse troppo), emanando prima delle istituzioni
europee norme che da quanto analizzato, dovranno subire delle modifiche per
armonizzarsi con le scelte del legislatore comunitario.
Questi ed altri interessanti aspetti comparativi
hanno bisogno di essere sviluppati per comprendere il futuro del d.P.R. 513/1997
e del d.P.C.M 8 febbraio 1999, nel momento in cui dovrà essere attuata la
direttiva europea relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche.
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