Tasse "difficili" per le
transazioni in rete
di Natasha Montanari*
e Benedetto Santacroce**
- 07.05.98
Bruxelles. Secondo
esperti americani, il traffico di dati su Internet aumenta del 50% ogni 100
giorni, e ciò è dovuto soprattutto al commercio elettronico che sta
velocemente sostituendo i tradizionali canali commerciali.
Il rapporto presentato nel luglio 1997 dall'amministrazione Clinton, Framework
for global electronic commerce,
attribuisce alla rete la capacità di "cambiare i paradigmi classici degli
affari e dell'economia", tramite il commercio elettronico, creando un
mercato del tutto nuovo, privo di confini geografici o politici.
Le caratteristiche peculiari del commercio via
Internet hanno però costretto gli operatori del settore ad affrontare problemi
che nel commercio tradizionale erano già ampiamente risolti, o sconosciuti,
come la sicurezza dell'informazione, la tutela della privacy, e della
proprietà intellettuale e la corretta applicazione delle regole doganali e
fiscali. In effetti, proprio a proposito delle regole fiscali, bisogna
sottolineare che la "spersonalizzazione" e la "delocalizzazione"
connesse al commercio elettronico determinano non poche difficoltà normative
agli Stati, che non riescono a identificare facilmente il luogo in cui è
possibile tassare una transazione commerciale. In particolare, come vedremo, il
problema si pone per l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto.
Sin dal 1996 l'OCSE ha ritenuto necessario
lanciare un dibattito a livello mondiale per elaborare una serie di principi (OECD
Model Treaty on Income and Capital) che possano assicurare l'efficacia
della legislazione doganale e fiscale in questo nuovo ambiente commerciale. Al
dibattito hanno partecipato attivamente sia la Comunità Europea, sia gli Stati
Uniti, che al Summit di dicembre 1997 hanno concordato sulla neutralità
e sulla non discriminazione delle tasse, anche se sono sorti problemi
interpretativi sul trattamento doganale per le cosiddette "merci
virtuali".
In "Un'iniziativa europea in materia di
commercio elettronico" COM
(97) 157 (15.04.97) la Commissione
europea richiede che i sistemi fiscali forniscano certezza legale e neutralità
dell'imposta, in modo di assicurare trasparenza di obblighi e non ostacolare
lo sviluppo di questo nuovo tipo di commercio, rispetto a quello tradizionale.
Il commercio elettronico di beni e servizi rientra nel campo di applicazione
dell'IVA, ma sarà necessario valutare fino a che punto l'attuale
legislazione dovrà essere adattata, tenendo conto delle peculiarità di questo
nuovo tipo di transazione. La possibilità di applicare tasse alternative, come
la bit tax proposta da alcuni esperti, è stata ritenuta non adatta sia
dalla Commissione, sia dal commissario Monti che, in una conferenza a Bonn nel
giugno 1997, ha dichiarato: "L'IVA si applica al commercio telematico di
beni e servizi, non c'è così alcuna esigenza di introdurre nuove forme di
tassazione come la bit tax. La pressione fiscale su questo nuovo tipo di
commercio non deve essere superiore a quella del commercio tradizionale".
Nella conferenza di Turku del novembre 1997 l'OCSE
ha affrontato il problema delle imposte indirette. Nel documento (Dismantling
the Barriers to Global Electronic Commerce)
si affronta il problema delle imposte indirette e, con riferimento all'IVA, si
propone che per "luogo di imposizione", sia considerato sempre e
comunque il luogo dove il prodotto viene consumato; per i "beni
intangibili" o per i servizi forniti elettronicamente, l'OCSE chiede che
essi circolino in una tarif free zone. Per i beni ordinati
elettronicamente, ma consegnati attraverso mezzi tradizionali, la transazione
deve considerarsi soggetta a ogni tipo di imposta, come se i prodotti fossero
stati acquistati per telefono o per posta.
L'amministrazione statunitense, nel rapporto di
luglio 1997, oltre a escludere la possibilità di imporre nuove tasse sul
commercio in rete - in linea quindi con i suggerimenti europei - ha stabilito i
principi a cui si deve ispirare la politica fiscale per il commercio via
Internet:
1. rispetto dei principi esistenti in materia di
tassazione internazionale;
2. esclusione della doppia tassazione;
3. chiarezza e semplificazione amministrativa;
4. rispetto delle peculiari caratteristiche di Internet.
L'eccessivo entusiasmo americano per il
commercio elettronico ha portato due senatori USA a proporre l'esenzione
totale per "evitare che Internet sia vessata da oltre 30 mila tipi di
imposte". Invece l'Associazione nazionale dei governatori degli stati
americani ha chiesto una nuova legge sulle tasse, da applicare al commercio
on-line, e ha proposto di adottare una singola imposta statale sul commercio in
rete. Non sembra che questa proposta sia stata accettata dal presidente
americano, che intende invece fornire tutto il sostegno necessario al neonato
commercio su Internet, per farlo diventare un settore maturo dell'economia.
Attualmente il commercio elettronico viene
utilizzato soprattutto fra imprese, per ridurre i costi di marketing, per
rendere più efficienti i servizi ai consumatori e per ridurre i costi di
acquisto delle merci. In un rapporto del Dipartimento del Commercio americano (The
emerging digital economy, April 1998)
gli esperti hanno calcolato che il commercio "business to business" il
prossimo anno supererà i 300 miliardi di dollari, mentre il commercio
"business to consumer" raddoppierà per aumentare ancora del 50% nel
2000.
Il traffico di dati aumenterà al punto tale da provocare l'intasamento delle
"autostrade dell'informazione" e rallentare l' accesso ai servizi
proposti dalla rete.
Internet dunque, con i suoi 100 milioni di utenti, non sarà più in grado di
garantire un servizio di qualità, ed è per questo che aziende e università
americane hanno presentato un progetto per creare una nuova rete (accessibile in
un primo tempo solo a istituti di ricerca), capace di garantire un grande
traffico di suoni, dati ed immagini: Internet 2.
Di fronte a questo nuovo scenario è facile
comprendere le dimensioni che assumeranno tutte le problematiche legate al
commercio elettronico, e in particolare quelle riguardanti la dogana e la
fiscalità. Vediamo, in questo contesto, alcuni profili del problema.
Dogane. Il trattamento ai fini doganali in
realtà non pone particolari problemi, se si distingue fra transazioni
coinvolgenti "merci virtuali" e quelle coinvolgenti beni tangibili,
ordinati via Internet, ma consegnati con i tradizionali mezzi postali. Infatti,
mentre nel primo caso, in conformità alle scelte operate a livello comunitario,
le transazioni devono essere disciplinate come prestazioni di servizio e in
quanto tali risultano doganalmente irrilevanti, nel secondo caso Internet si
configura solo come una delle tante modalità di vendita a distanza con
pagamento dei diritti doganali al momento del passaggio della frontiera.
Questo aspetto si comprende facilmente se si considera che la fornitura di
"merci virtuali" e la "consumazione" di prodotti come brani
musicali, video, software on-line, è di difficile identificazione. La
legislazione doganale applicabile dipende da come viene classificata l'operazione:
se si tratta di fornitura di merci nulla questio sulla riscossione di
diritti doganali; se invece la si considera una fornitura di servizi, come è
inclinazione della UE, queste merci non sono sottoponibili, seguendo i principi
tradizionali, a diritti doganali.
La nuova capacità dei consumatori di acquistare direttamente dal produttore
ogni tipo di bene conduce alla cosiddetta "disintermediazione" e, per
le merci provenienti da Paesi terzi, provoca la frammentazione del traffico e
condizionamenti operativi alle singole dogane.
IVA. L'anonimato, caratteristica
principale del commercio elettronico, pone dei contrasti con la tradizionale
nozione di imposizione fiscale, soprattutto con riferimento all'IVA. Le tracce
elettroniche possono essere cancellate e le tecniche di cifratura possono
rendere difficile per le autorità fiscali l'identificazione delle parti reali
della transazione commerciale. Inoltre nelle transazioni on-line, come si è
detto più volte, è difficile individuare la posizione geografica del venditore
e dell'acquirente e il luogo di consumazione del bene, con la conseguenza di
rendere difficile l'identificazione del "luogo di tassazione".
Dunque gli obiettivi da raggiungere, ai fini IVA,
sono:
1. identificare il luogo di tassazione rispetto al consumo del bene;
2. stabilire le modalità per garantire i controlli fiscali.
Il primo obiettivo, almeno in relazione alla
legislazione nazionale e alla legislazione comunitaria, è raggiungibile solo
attraverso una modifica della normativa vigente, prevedendo una espressa deroga
all'art. 7 del Dpr 633/72 (ovvero, in base alla norma comunitaria, all'art.
9 della sesta direttiva IVA 388/77/CEE). Infatti allo stato attuale le
disposizioni richiamate prevedono che, per la fornitura di dati, il luogo di
tassazione venga fissato in base alla localizzazione del prestatore del
servizio, in particolare nei casi in cui la prestazione è effettuata nei
confronti di privati consumatori residenti o domiciliati in un altro Stato della
comunità. Questa regola però non si applica per tutte le prestazioni di
fornitura di dati rese nei confronti di soggetti domiciliati o residenti nel
territorio dello Stato, a condizione che le stesse non siano utilizzate fuori
della Comunità.
Se si tengono in considerazione le peculiarità
del commercio telematico, le suddette regole dovrebbero essere uniformate nel
senso di considerare, comunque, luogo di tassazione il Paese in cui è situato
colui che usufruisce del servizio, ovvero che consuma l'oggetto della
transazione.
Questa regola in realtà è difficilmente applicabile, a meno che non si
riescano ad introdurre dei meccanismi di controllo che consentano alle
amministrazioni fiscali di determinare in ogni momento il luogo effettivo di
consumazione, in relazione alla localizzazione esatta del fruitore del servizio.
Da qualcuno è stato proposto di seguire i flussi di regolamento valutario
garantiti dal sistema bancario. In effetti la maggior parte delle transazioni in
rete avviene utilizzando le carte di credito, le cui tracce sono facilmente
individuabili. Questo sistema di controllo è però carente nel momento in cui
si pensa che, sempre più, esistono meccanismi di pagamento basati su monete
elettroniche completamente anonime.
Insomma, il vero problema da risolvere è quello del controllo fiscale che
garantisca di volta in volta l'individuazione del luogo di tassazione, o
meglio di consumo del servizio.
La Commissione sta attualmente studiando come
risolvere questi problemi: ha istituito un gruppo di lavoro che l 24 Aprile 1998
ha presentato i un rapporto, approvato dai direttori generali dei Ministeri
delle finanze dei 15 paesi membri.
A livello internazionale gli Stati sono in attesa
della conferenza. organizzata dall'OCSE, che si terrà ad Ottawa il prossimo
ottobre, dove si affronteranno tutte le problematiche legate al commercio
elettronico.
*
Consulente legale, diritto della Comunità europea, Geater & Co - Bruxelles
**
esperto nazionale distaccato presso la Commissione della Comunità Europea DGXXI
(dogane e fiscalità indiretta).
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