L'ormai prossimo termine del lungo e tormentato iter
legislativo della proposta di direttiva UE relativa alle invenzioni attuate
per mezzo di elaboratori elettronici (Directive on Computer-Implemented
Inventions - CII) ha, ancora una volta, animato un dibattito iniziato
oltre un trentennio addietro e mai completamente sopito tra fautori della
brevettabilità dei programmi per elaboratore e fieri e romantici paladini
della non brevettabilità.
Nessuna sorpresa, dunque, che da una parte e dall'altra nelle ultime
settimane si moltiplichino le iniziative in sostegno delle reciproche
posizioni e che, ad esempio, Richard
Stallman, presidente della Free Software Foundation e guru del software
libero avverta l'esigenza di prendere carta e penna (o più probabilmente di
inviare una mail) per mettere in guardia i parlamentari italiani dai pericoli
che si nasconderebbero dietro ai brevetti software ed invitarli a non
contribuire all'approvazione della proposta di direttiva europea aiutando
così "gli Stati Uniti a salvarsi dai brevetti software, salvando"
- sono parole testuali di Stallman - "innanzitutto voi stessi".
Nessuna sorpresa, allo stesso modo, se il Senato della Repubblica - quello
stesso che spesso ha attuato con anni di ritardo le direttive comunitarie e
che è stato ripetutamente sanzionato dai giudici europei per la propria
scarsa attenzione alle questioni ed indicazioni di Bruxelles - in questa
occasione, abbia addirittura ritenuto opportuno giocare di anticipo ed
approvare una mozione con la quale invita i ministri dell'innovazione e
delle attività produttive dall'astenersi dall'approvazione del testo
della direttiva.
Tali iniziative - sintomo dell'evidente grande interesse che il tema
suscita nel mondo politico ed in quello industriale - non possono, ovviamente
che essere salutate con favore.
Sussiste, tuttavia, il rischio - ed anzi vorrei dire la certezza - che esse
per il clima nel quale si sviluppano e per le modalità e le motivazioni con
le quali vengono intraprese producano pericolosi fraintendimenti le cui
conseguenze per l'economia europea ed il progresso tecnologico del Vecchio
continente appaiono difficilmente prevedibili.
Ogni qualvolta si affronta una questione con evidenti risvolti economici,
politici e filosofici quale quella sulle CII, professarsi imparziali o
promettere analisi obbiettive risulta assai difficile e poco corretto; sembra,
pertanto, meglio dichiarare sin dall'inizio la propria preferenza e
sforzarsi poi, eventualmente, di sorprendere il lettore con il rigore del
proprio ragionamento e l'equidistanza della propria posizione.
E' lo stesso principio per il quale è meno pericoloso un quotidiano di
destra o di sinistra che sostenga apertamente una certa posizione politica
piuttosto che un telegiornale della TV di Stato che faccia altrettanto sotto
le mentite spoglie del servizio pubblico.
In tale prospettiva dichiarerò sin da subito la mia preferenza per la
soluzione positiva circa la brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo
di elaboratori elettronici non senza aggiungere, tuttavia, che ciò non
significa condivisione piena ed incondizionata all'iniziativa legislativa
comunitaria in materia, in relazione alla quale, d'altro canto, ho già
evidenziato proprio dalle colonne di questa rivista limiti ed ambiguità.
Tanto premesso, ritengo, ora opportuno, tentare di replicare - sebbene
nella consapevolezza di "difendere" una posizione meno romantica di quella
di Richard Stallman e di non poter pertanto ricorrere ad immagini suadenti
quali quella "degli occhi blu di una persona che assomigliano al mare" - a
talune affermazioni che ricorrono nelle posizioni ufficiali e nelle
comunicazioni ufficiose dei fautori della non brevettabilità delle invenzioni
di software singolarmente coincidenti con i sostenitori del fenomeno open
source.
Si tratta, in taluni casi - beninteso, a mio avviso - di affermazioni che
più che rappresentare una posizione o un punto di vista lasciando poi libera
l'opinione pubblica di aderirvi o meno, tendono a condizionare in modo quasi
subliminale il processo di comprensione del problema, producendo pericolosi
errori di prospettiva.
Tra tali affermazioni spicca, innanzitutto, quella secondo cui con la proposta
di direttiva si vorrebbe introdurre nell'ordinamento europeo il brevetto
software oggi, viceversa vietato.
Si tratta, semplicemente, di un'affermazione non corrispondente al vero
dettata o da una scarsa conoscenza dell'attuale quadro normativo e
giurisprudenziale o - il che sarebbe più grave - di un messaggio di tipo "promozionale"
studiato allo scopo di raccogliere consensi circa l'inopportunità che la
proposta venga approvata.
Alcuni dati - in questo caso oggettivi ed incontrovertibili - mi sembra
valgano a dissipare ogni dubbio al riguardo:
a) la Convenzione di Monaco sul brevetto europeo (CBE) all'art. 52 rubricato
"Invenzioni brevettabili" prevede, al suo primo comma, che "i
brevetti europei sono concessi per le invenzioni nuove implicanti un'attività
inventiva e suscettibili di applicazione industriale" e contiene poi, al
comma secondo, un elenco di tutta una serie di trovati - che, evidentemente,
in assenza di un'esplicita esclusione sarebbero rientrati nel novero delle
invenzioni brevettabili - in relazione ai quali il legislatore ha ritenuto
opportuno stabilire un limite relativo di brevettabilità nel senso che essi
non devono, "in quanto tali", essere considerati invenzioni
brevettabili.
Tra tali trovati - alla lettera c) - sono inseriti i programmi per
elaboratore.
Un'interpretazione sistematica e rigorosa della richiamata disposizione
consente di ritenere de plano che i programmi per elaboratore
costituiscono un'invenzione industriale e che, pertanto - già allo stato e
senza l'esigenza di alcun ulteriore intervento normativo - debbono essere
ammessi alla tutela brevettuale ogni qualvolta siano in possesso dei requisiti
di cui al comma 1 e la rivendicazione brevettuale non li consideri "in
quanto tali".
b) coerentemente a tale impostazione, d'altro canto, ormai da diversi
anni l'Ufficio europeo dei brevetti e diversi uffici brevetti nazionali
hanno iniziato a rilasciare brevetti aventi ad oggetto invenzioni attuate
attraverso elaboratori elettronici ovvero brevetti aventi ad oggetto software
non considerato "in quanto tale" ma considerato in relazione ad una
specifica interazione con un dispositivo hardware o, più
semplicemente, in quanto idoneo a risolvere - nella sua specifica attuazione
ed interazione con altri dispositivi - un particolare problema tecnico.
Si tratta di un orientamento che può ormai ritenersi consolidato in quanto
recepito nella giurisprudenza della Commissione di ricorso dell'Ufficio
europeo dei brevetti, in quella di diversi Paesi aderenti alla Convenzione di
Monaco nonché nelle direttive che guidano gli esaminatori dell'UEB al
rilascio dei brevetti.
(c) come d'altra parte riconosciuto dallo stesso Stallman nella sua
lettera ai parlamentari italiani, l'UEB ha già riconosciuto circa 50 mila
brevetti relativi ad invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici.
A prescindere da tale cifra - evidentemente approssimativa stante l'assenza
di una precisa classe brevettuale relativa ai trovati di cui ci stiamo
occupando - si stima, comunque, che essa corrisponda a circa il 15% del volume
complessivo delle domande presentate e, quindi, se si tiene conto che nel 2003
ne sono state depositate oltre 160000 può, ragionevolmente, ritenersi che
solo in tale anno siano stati richiesti oltre 24000 brevetti per invenzioni
attuate per mezzo di elaboratori elettronici.
L'idea secondo la quale le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori
elettronici non sarebbero allo stato brevettabili è, dunque, priva di ogni
fondamento.
Una seconda affermazione non corrispondente alla realtà ed anch'essa
ricorrente nel "partito" dei contrari all'approvazione della proposta di
direttiva è quella secondo cui attraverso tale proposta si vorrebbe superare
il divieto di brevettabilità del software sancito all'art. 52 della
Convenzione di Monaco e riconoscere, per questa via, il brevetto - per dirla
con le parole di Stallman - sulle singole idee che compongono un programma.
Si tratta, anche in questo caso di un'affermazione o frutto di un'approssimativa
lettura del testo della proposta di direttiva e di una scarsa conoscenza del
sistema brevettuale o, piuttosto - ancora una volta - di un pericoloso "messaggio
promozionale" fonte di disinformazione e dunque da rettificare con le poche
sintetiche considerazioni che seguono:
(a) la direttiva non solo non mira a rimuovere il divieto di
brevettabilità dei programmi per elaboratore in quanto tali sancito dal
richiamato art. 52 della CBE ma, anzi, ribadisce in modo esplicito tale
principio al primo comma del suo art. 4 laddove è previsto che "un
programma per elaboratore in quanto tale non può costituire un'invenzione
brevettabile".
Sotto tale profilo, dunque, la direttiva appare dotata di scarsa portata
innovativa e, in questo senso, assai poco coraggiosa tanto da avermi già
indotto a definirla, per taluni aspetti, "inutile".
(b) l'art. 3 della proposta chiarisce - in modo inequivocabile - che "per
essere brevettabile, un'invenzione attuata per mezzo di elaboratori
elettronici deve essere suscettibile di applicazione industriale, presentare
un carattere di novità ed implicare un'attività inventiva",
requisito che sussiste solo laddove il trovato apporti "un contributo
tecnico".
Il secondo comma dell'art. 4 della medesima proposta, prevede, poi che
"un'invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici non è
considerata arrecante un contributo tecnico (n.d.r. e dunque non è
brevettabile) per il semplice fatto di implicare l'uso di un elaboratore,
di una rete o di altro apparecchio programmabile. Pertanto non sono
brevettabili le invenzioni implicanti programmi per elaboratore, in codice
sorgente, in codice oggetto o in qualsiasi altra forma, che applicano metodi
per attività commerciali, metodi matematici o di altro tipo e che non
producono alcun effetto tecnico oltre a quello delle normali interazioni
fisiche tra un programma e l'elaboratore, la rete o un altro apparecchio
programmabile in cui viene eseguito".
Non appare pertanto sostenibile quanto riferito nella lettera di Stallman e
nella mozione del Senato secondo cui la proposta di direttiva mirerebbe a
consentire il brevetto delle singole idee alla base di un programma per
elaboratore nonché quello di metodi commerciali incorporati in programmi per
elaboratore.
Chiariti tali aspetti e sgombrato il campo da pericolosi fraintendimenti
occorre, dunque, riconoscere - ferma restando la possibilità di ciascuno di
continuare a ritenere o meno opportuna ed auspicabile l'approvazione della
proposta di direttiva - che il provvedimento in oggetto mira esclusivamente a
dettare una disciplina uniforme della materia superando i profili di
ambiguità e gli eterogenei approcci che hanno determinato l'attuale
situazione, ovvero, un contesto nel quale si è brevettato troppo e male.
C'è, infine, un altro profilo - almeno tra quelli che le esigenze di
sintesi proprie di questo scritto consentono di esaminare - caratteristico del
"fronte del no" che non appare convincente: l'idea secondo la quale l'eventuale
approvazione della direttiva porrebbe l'industria europea - e soprattutto la
PMI - alla mercè di quella statunitense.
Tale impostazione - ancora una volta - per un verso sembra ignorare l'attuale
contesto storico ed economico e, per altro verso, appare di matrice "propagandistica".
Al riguardo sembra opportuno ricordare che l'infausto scenario
tratteggiato in tali affermazioni corrisponde esattamente a quello prodottosi
nell'ultimo trentennio per effetto della vigente disciplina della materia:
mentre, infatti, la PMI europea ha ritenuto preclusa la strada della
brevettabilità del software, l'industria extra europea e, in particolare,
quella statunitense e giapponese ha fatto un intenso ricorso a tale strumento.
Il risultato - oggi sotto gli occhi di ogni attento osservatore - è che
oltre il 60% dei brevetti concernenti invenzioni attuate per mezzo di
elaboratori elettronici concessi dall'UEB sono di titolarità di
multinazionali extra-europee che, ovviamente, li utilizzano per creare o
consolidare la propria posizione dominante in determinati settori tecnologici.
L'eventuale approvazione della proposta di direttiva, dunque, non solo
non appare suscettibile di consegnare l'industria informatica europea a
quella straniera ma, anzi, potrebbe agire, almeno, da strumento promozionale
del sistema brevettuale spingendo la PMI del Vecchio continente - da sempre
dotata di straordinaria inventiva e creatività - a ricorrere in modo più
massiccio al sistema brevettuale, liberandosi, così dalla dipendenza
statunitense e, forse, in taluni casi, invertendo il rapporto di forza.
La proposta di direttiva sulle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori
elettronici che il prossimo 6 luglio il Parlamento europeo è chiamato a
votare è - come ogni altro testo legislativo frutto di iter lunghi e
complessi nonché di articolati "negoziati" - certamente perfettibile e
non scevra da taluni limiti ma, allo stato, non credo sia opportuno continuare
ad osteggiarne l'approvazione, apparendo, piuttosto preferibile - come già
scritto in passato - concentrare gli sforzi di quanti hanno a cuore l'economia
europea ed il progresso dell'industria informatica su taluni correttivi e
miglioramenti che è indispensabile apportare al sistema brevettuale nel suo
complesso: i troppo alti costi di accesso e mantenimento della privativa, l'eccessiva
complessità di talune ricerche di anteriorità e la lungaggine delle
procedure di esame delle domande e di concessione del brevetto.
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