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Le relazioni - 11

Brevetti software: le ragioni del fronte del "sì"

di Guido Scorza* - 26.05.05
 
L'ormai prossimo termine del lungo e tormentato iter legislativo della proposta di direttiva UE relativa alle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici (Directive on Computer-Implemented Inventions - CII) ha, ancora una volta, animato un dibattito iniziato oltre un trentennio addietro e mai completamente sopito tra fautori della brevettabilità dei programmi per elaboratore e fieri e romantici paladini della non brevettabilità.

Nessuna sorpresa, dunque, che da una parte e dall'altra nelle ultime settimane si moltiplichino le iniziative in sostegno delle reciproche posizioni e che, ad esempio, Richard Stallman, presidente della Free Software Foundation e guru del software libero avverta l'esigenza di prendere carta e penna (o più probabilmente di inviare una mail) per mettere in guardia i parlamentari italiani dai pericoli che si nasconderebbero dietro ai brevetti software ed invitarli a non contribuire all'approvazione della proposta di direttiva europea aiutando così "gli Stati Uniti a salvarsi dai brevetti software, salvando" - sono parole testuali di Stallman - "innanzitutto voi stessi".

Nessuna sorpresa, allo stesso modo, se il Senato della Repubblica - quello stesso che spesso ha attuato con anni di ritardo le direttive comunitarie e che è stato ripetutamente sanzionato dai giudici europei per la propria scarsa attenzione alle questioni ed indicazioni di Bruxelles - in questa occasione, abbia addirittura ritenuto opportuno giocare di anticipo ed approvare una mozione con la quale invita i ministri dell'innovazione e delle attività produttive dall'astenersi dall'approvazione del testo della direttiva.

Tali iniziative - sintomo dell'evidente grande interesse che il tema suscita nel mondo politico ed in quello industriale - non possono, ovviamente che essere salutate con favore.
Sussiste, tuttavia, il rischio - ed anzi vorrei dire la certezza - che esse per il clima nel quale si sviluppano e per le modalità e le motivazioni con le quali vengono intraprese producano pericolosi fraintendimenti le cui conseguenze per l'economia europea ed il progresso tecnologico del Vecchio continente appaiono difficilmente prevedibili.

Ogni qualvolta si affronta una questione con evidenti risvolti economici, politici e filosofici quale quella sulle CII, professarsi imparziali o promettere analisi obbiettive risulta assai difficile e poco corretto; sembra, pertanto, meglio dichiarare sin dall'inizio la propria preferenza e sforzarsi poi, eventualmente, di sorprendere il lettore con il rigore del proprio ragionamento e l'equidistanza della propria posizione.

E' lo stesso principio per il quale è meno pericoloso un quotidiano di destra o di sinistra che sostenga apertamente una certa posizione politica piuttosto che un telegiornale della TV di Stato che faccia altrettanto sotto le mentite spoglie del servizio pubblico.
In tale prospettiva dichiarerò sin da subito la mia preferenza per la soluzione positiva circa la brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici non senza aggiungere, tuttavia, che ciò non significa condivisione piena ed incondizionata all'iniziativa legislativa comunitaria in materia, in relazione alla quale, d'altro canto, ho già evidenziato proprio dalle colonne di questa rivista limiti ed ambiguità.

Tanto premesso, ritengo, ora opportuno, tentare di replicare - sebbene nella consapevolezza di "difendere" una posizione meno romantica di quella di Richard Stallman e di non poter pertanto ricorrere ad immagini suadenti quali quella "degli occhi blu di una persona che assomigliano al mare" - a talune affermazioni che ricorrono nelle posizioni ufficiali e nelle comunicazioni ufficiose dei fautori della non brevettabilità delle invenzioni di software singolarmente coincidenti con i sostenitori del fenomeno open source.

Si tratta, in taluni casi - beninteso, a mio avviso - di affermazioni che più che rappresentare una posizione o un punto di vista lasciando poi libera l'opinione pubblica di aderirvi o meno, tendono a condizionare in modo quasi subliminale il processo di comprensione del problema, producendo pericolosi errori di prospettiva.
Tra tali affermazioni spicca, innanzitutto, quella secondo cui con la proposta di direttiva si vorrebbe introdurre nell'ordinamento europeo il brevetto software oggi, viceversa vietato.

Si tratta, semplicemente, di un'affermazione non corrispondente al vero dettata o da una scarsa conoscenza dell'attuale quadro normativo e giurisprudenziale o - il che sarebbe più grave - di un messaggio di tipo "promozionale" studiato allo scopo di raccogliere consensi circa l'inopportunità che la proposta venga approvata.

Alcuni dati - in questo caso oggettivi ed incontrovertibili - mi sembra valgano a dissipare ogni dubbio al riguardo:
a) la Convenzione di Monaco sul brevetto europeo (CBE) all'art. 52 rubricato "Invenzioni brevettabili" prevede, al suo primo comma, che "i brevetti europei sono concessi per le invenzioni nuove implicanti un'attività inventiva e suscettibili di applicazione industriale" e contiene poi, al comma secondo, un elenco di tutta una serie di trovati - che, evidentemente, in assenza di un'esplicita esclusione sarebbero rientrati nel novero delle invenzioni brevettabili - in relazione ai quali il legislatore ha ritenuto opportuno stabilire un limite relativo di brevettabilità nel senso che essi non devono, "in quanto tali", essere considerati invenzioni brevettabili.
Tra tali trovati - alla lettera c) - sono inseriti i programmi per elaboratore.
Un'interpretazione sistematica e rigorosa della richiamata disposizione consente di ritenere de plano che i programmi per elaboratore costituiscono un'invenzione industriale e che, pertanto - già allo stato e senza l'esigenza di alcun ulteriore intervento normativo - debbono essere ammessi alla tutela brevettuale ogni qualvolta siano in possesso dei requisiti di cui al comma 1 e la rivendicazione brevettuale non li consideri "in quanto tali".

b) coerentemente a tale impostazione, d'altro canto, ormai da diversi anni l'Ufficio europeo dei brevetti e diversi uffici brevetti nazionali hanno iniziato a rilasciare brevetti aventi ad oggetto invenzioni attuate attraverso elaboratori elettronici ovvero brevetti aventi ad oggetto software non considerato "in quanto tale" ma considerato in relazione ad una specifica interazione con un dispositivo hardware o, più semplicemente, in quanto idoneo a risolvere - nella sua specifica attuazione ed interazione con altri dispositivi - un particolare problema tecnico.
Si tratta di un orientamento che può ormai ritenersi consolidato in quanto recepito nella giurisprudenza della Commissione di ricorso dell'Ufficio europeo dei brevetti, in quella di diversi Paesi aderenti alla Convenzione di Monaco nonché nelle direttive che guidano gli esaminatori dell'UEB al rilascio dei brevetti.

(c) come d'altra parte riconosciuto dallo stesso Stallman nella sua lettera ai parlamentari italiani, l'UEB ha già riconosciuto circa 50 mila brevetti relativi ad invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici.
A prescindere da tale cifra - evidentemente approssimativa stante l'assenza di una precisa classe brevettuale relativa ai trovati di cui ci stiamo occupando - si stima, comunque, che essa corrisponda a circa il 15% del volume complessivo delle domande presentate e, quindi, se si tiene conto che nel 2003 ne sono state depositate oltre 160000 può, ragionevolmente, ritenersi che solo in tale anno siano stati richiesti oltre 24000 brevetti per invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici.

L'idea secondo la quale le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici non sarebbero allo stato brevettabili è, dunque, priva di ogni fondamento.
Una seconda affermazione non corrispondente alla realtà ed anch'essa ricorrente nel "partito" dei contrari all'approvazione della proposta di direttiva è quella secondo cui attraverso tale proposta si vorrebbe superare il divieto di brevettabilità del software sancito all'art. 52 della Convenzione di Monaco e riconoscere, per questa via, il brevetto - per dirla con le parole di Stallman - sulle singole idee che compongono un programma.

Si tratta, anche in questo caso di un'affermazione o frutto di un'approssimativa lettura del testo della proposta di direttiva e di una scarsa conoscenza del sistema brevettuale o, piuttosto - ancora una volta - di un pericoloso "messaggio promozionale" fonte di disinformazione e dunque da rettificare con le poche sintetiche considerazioni che seguono:

(a) la direttiva non solo non mira a rimuovere il divieto di brevettabilità dei programmi per elaboratore in quanto tali sancito dal richiamato art. 52 della CBE ma, anzi, ribadisce in modo esplicito tale principio al primo comma del suo art. 4 laddove è previsto che "un programma per elaboratore in quanto tale non può costituire un'invenzione brevettabile".
Sotto tale profilo, dunque, la direttiva appare dotata di scarsa portata innovativa e, in questo senso, assai poco coraggiosa tanto da avermi già indotto a definirla, per taluni aspetti, "inutile".

(b) l'art. 3 della proposta chiarisce - in modo inequivocabile - che "per essere brevettabile, un'invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici deve essere suscettibile di applicazione industriale, presentare un carattere di novità ed implicare un'attività inventiva", requisito che sussiste solo laddove il trovato apporti "un contributo tecnico".

Il secondo comma dell'art. 4 della medesima proposta, prevede, poi che "un'invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici non è considerata arrecante un contributo tecnico (n.d.r. e dunque non è brevettabile) per il semplice fatto di implicare l'uso di un elaboratore, di una rete o di altro apparecchio programmabile. Pertanto non sono brevettabili le invenzioni implicanti programmi per elaboratore, in codice sorgente, in codice oggetto o in qualsiasi altra forma, che applicano metodi per attività commerciali, metodi matematici o di altro tipo e che non producono alcun effetto tecnico oltre a quello delle normali interazioni fisiche tra un programma e l'elaboratore, la rete o un altro apparecchio programmabile in cui viene eseguito".

Non appare pertanto sostenibile quanto riferito nella lettera di Stallman e nella mozione del Senato secondo cui la proposta di direttiva mirerebbe a consentire il brevetto delle singole idee alla base di un programma per elaboratore nonché quello di metodi commerciali incorporati in programmi per elaboratore.

Chiariti tali aspetti e sgombrato il campo da pericolosi fraintendimenti occorre, dunque, riconoscere - ferma restando la possibilità di ciascuno di continuare a ritenere o meno opportuna ed auspicabile l'approvazione della proposta di direttiva - che il provvedimento in oggetto mira esclusivamente a dettare una disciplina uniforme della materia superando i profili di ambiguità e gli eterogenei approcci che hanno determinato l'attuale situazione, ovvero, un contesto nel quale si è brevettato troppo e male.

C'è, infine, un altro profilo - almeno tra quelli che le esigenze di sintesi proprie di questo scritto consentono di esaminare - caratteristico del "fronte del no" che non appare convincente: l'idea secondo la quale l'eventuale approvazione della direttiva porrebbe l'industria europea - e soprattutto la PMI - alla mercè di quella statunitense.
Tale impostazione - ancora una volta - per un verso sembra ignorare l'attuale contesto storico ed economico e, per altro verso, appare di matrice "propagandistica".

Al riguardo sembra opportuno ricordare che l'infausto scenario tratteggiato in tali affermazioni corrisponde esattamente a quello prodottosi nell'ultimo trentennio per effetto della vigente disciplina della materia: mentre, infatti, la PMI europea ha ritenuto preclusa la strada della brevettabilità del software, l'industria extra europea e, in particolare, quella statunitense e giapponese ha fatto un intenso ricorso a tale strumento.

Il risultato - oggi sotto gli occhi di ogni attento osservatore - è che oltre il 60% dei brevetti concernenti invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici concessi dall'UEB sono di titolarità di multinazionali extra-europee che, ovviamente, li utilizzano per creare o consolidare la propria posizione dominante in determinati settori tecnologici.

L'eventuale approvazione della proposta di direttiva, dunque, non solo non appare suscettibile di consegnare l'industria informatica europea a quella straniera ma, anzi, potrebbe agire, almeno, da strumento promozionale del sistema brevettuale spingendo la PMI del Vecchio continente - da sempre dotata di straordinaria inventiva e creatività - a ricorrere in modo più massiccio al sistema brevettuale, liberandosi, così dalla dipendenza statunitense e, forse, in taluni casi, invertendo il rapporto di forza.

La proposta di direttiva sulle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici che il prossimo 6 luglio il Parlamento europeo è chiamato a votare è - come ogni altro testo legislativo frutto di iter lunghi e complessi nonché di articolati "negoziati" - certamente perfettibile e non scevra da taluni limiti ma, allo stato, non credo sia opportuno continuare ad osteggiarne l'approvazione, apparendo, piuttosto preferibile - come già scritto in passato - concentrare gli sforzi di quanti hanno a cuore l'economia europea ed il progresso dell'industria informatica su taluni correttivi e miglioramenti che è indispensabile apportare al sistema brevettuale nel suo complesso: i troppo alti costi di accesso e mantenimento della privativa, l'eccessiva complessità di talune ricerche di anteriorità e la lungaggine delle procedure di esame delle domande e di concessione del brevetto.
 

* scorza@cirfid.unibo.it

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