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Le relazioni - 23

L'inevitabile evoluzione del P2P. E non solo...

di Alberto Berretti* - 06.06.05
 
Prevedere il futuro è difficile per tutti. Ne sanno qualcosa tanti autori di fantascienza. Il 2001 è arrivato e passato, ma ancora nessuna astronave è giunta verso Saturno ed oltre, e i computer sono piccoli, stupidi e non si fanno prendere le crisi isteriche come quello del film di Kubrick. Sfido poi a trovare un autore di fantascienza che fosse stato in grado di prevedere lo straordinario successo del telefono cellulare: solo nel 1991 Wim Wenders prevedeva il vicino futuro del 2000 come pieno di videotelefoni pubblici, ed invece il telefono pubblico sta sparendo, mentre il videotelefono arranca. Ha fatto bene Lucas a collocare lo scenario temporale della sua saga fantascientifica, che tra le righe ci racconta la politica americana di oggi, nel lontano passato di un ancor piú lontano futuro: il doppio salto temporale ne rende impossibile una qualunque collocazione concreta e facilita la lettura attualizzante della sua storia.

Voglio quindi approfittare dell'occasione offertami da InterLex non per fare un bilancio degli ultimi dieci anni, ma per capire quanto le aspettative di questi dieci anni si siano realizzate o meno.

1 - Mediasaurus Rex?

Nel 1994 lo scrittore americano Michael Crichton scrisse un famoso articolo su Wired, intitolato "Mediasaurus", in cui sosteneva senza mezzi termini che nel giro di dieci anni i mezzi di comunicazione di massa cosí come li conosciamo sarebbero scomparsi:
«To my mind, it is likely that what we now understand as the mass media will be gone within ten years. Vanished, without a trace.»
A compiere la catastrofe l'asteroide internet.

A dieci anni e passa da allora, è facile prendersi gioco di Crichton e dichiarare che senza ombra di dubbio si è sbagliato. I grandi media sono ancora lì.
In realtà basta un istante di riflessione per accorgersi che la situazione è molto più complicata, per cui possiamo dire che forse la scala dei tempi di Crichton era sbagliata, e che più che di una estinzione rapida ci sia una erosione ed un lento degrado. Lo scenario dell'universo dei media è stato cambiato per sempre da internet.

Un fatto che parla da solo: qualche mese fa circolò il dato che quasi un terzo (dicesi un terzo) del traffico totale di internet fosse dovuto ad un protocollo, noto come bit torrent, che permette di condividere on line file di grandi dimensioni (film, intere collezioni di album musicali, puntate di serie televisive) senza pesare in modo intollerabile sul server.

Un problema infatti angustiava tutto coloro che auspicavano, in una forma o nell'altra, per una ragione o per un'altra, la "televisionizzazione" di internet ed il suo utilizzo per farci il fatidico "broadcast": e cioè che se per una stazione radio o tv essere ascoltata da mille o da centomila persone simultaneamente è esattamente la stessa cosa, per un sito internet è molto diverso. Se devo far "fluire" il film lungo una connessione internet con qualità sufficiente, è necessaria una certa larghezza di banda per utente, e quindi per quanto largo sia il "tubo" attraverso il quale faccio passare i dati in uscita dal server, resto vittima del mio successo: se ho pochi spettatori il gioco funziona, se ho successo il tutto si pianta perché la banda diventa insufficiente (e sì, certo, la tecnologia inventata per risolvere il problema, il cosiddetto multicast, non ha mai preso piede al di fuori di settori molto limitati). Il paradosso è inerente all'architettura client-server implicita in tutte le applicazioni in rete così come le abbiamo viste fino ad oggi.

Con bit torrent il problema scompare, perché ognuno è server di ciascun frammento di file (di film, di brano musicale, etc.) che fino a quel momento ha. In questo modo una colossale quantità di banda altrimenti inutilizzata (il cosiddetto "uplink", e cioè la banda in uscita che, nel modello asimmetrico client-server, non viene mai utilizzata dai client) viene rimessa in gioco ed utilizzata. Il risultato netto è l'utilizzo efficiente delle risorse disponibili e la possibilità di scambiare file di grosse dimensioni, che solo uno stupido può pensare trattarsi solo di distribuzioni di Linux...

Ecco finalmente il video in internet: ma per i mediasauri è un guaio, perché non è "broadcast", ma è, per coniare una parola, un "peercast", una condivisione tra pari di contenuti multimediali senza un server centrale. Contemporaneamente si sono realizzati il miglior sogno ed il peggior incubo dei mediasauri: si, finalmente il video in internet è diventato una realtà, e a proposito, il modello centralizzato di distribuzione dei contenuti multimediali è morto.
La prima reazione dell'apparato mediatico è stata una reazione rabbiosa: "È illegale! È un furto! Ci vogliono pene severe!". Negli USA hanno preso le cose sul serio, e si incriminano le ragazzine di 12 anni per aver scaricato brani musicali da internet.

Se vogliono prendere quella strada, auguri. Il problema non è etico o legale, ma pratico: è una strada che non può essere presa. Perché, nonostante tutto, la gente affolla i cinema, si abbona alla pay tv, e compra montagne di CD e DVD. E soprattutto perché quello che in realtà si realizza è uno spostamento di risorse ad un altro mercato, quello degli operatori di telecomunicazione che forniscono servizi in banda larga (perlomeno). Il problema dovrebbe essere quello di far fluire parte dei profitti verso i produttori di contenuti: su questo le migliori menti legali, economiche e tecnologiche dovrebbero esercitarsi, piuttosto che nel trovare nuove tecnologie di Digital Right Management che servono più ad impedire agli utenti legittimi il godere di ciò che hanno pagato piuttosto che ad impedire ai ragazzi cattivi di condividersi on line i contenuti (perché essendo i ragazzi cattivi, appunto, cattivi, trovano un modo per girare intorno al problema, eventualmente passando per una conversione digitale-analogico e poi digitale di nuovo che elimina qualunque forma di "protezione").

E quello a cui assistiamo è solo l'antipasto: oggi il problema è il peer to peer via internet. Domani sarà il lettore MP3 portatile a collegarsi via WiFi alla radio, allo stereo di casa, ma soprattutto ad altri dispositivi simili, realizzando reti peer to peer ad hoc, estemporanee, che durano la durata di un viaggio in treno, di una gita scolastica, di una festa di compleanno. Ogni lettore MP3 diventerà una radio a breve portata che trasmetterà ai vicini il proprio programma musicale personalizzato, e sarà registrabile sui lettori che ricevono e che quindi si riempiranno da soli. è una evoluzione inevitabile, che si unirà alla trasformazione dei telefoni cellulari in dispositivi multimediali tutto fare dando a tali reti ad hoc una portata geografica.

Già esistono telefoni cellulari che sono anche lettori MP3, che hanno la possibilità di collegarsi a reti dati wireless, che hanno hard disk di qualche giga. Già esistono console portatili per video giochi che permettono di giocare in multiplayer via radio scaricando il gioco sulla console del compagno. Intorno a queste tecnologie girerà un colossale fiume di denaro, ed il problema non è come reprimerle, ma come far sí che un rivolo finisca nelle tasche di chi produce contenuti: anzi, detto fra noi, preferibilmente ed esplicitamente nelle tasche degli autori.

Tra parentesi, mi piacerebbe sapere che fine ha fatto quel quadro di una azienda internet italiana che dieci anni fa mi diceva che, entro due-tre anni da allora, un sito web commerciale che non avesse presentato i suoi prodotti mediante file video sarebbe inevitabilmente stato sconfitto.

2 - Un mondo interconnesso?

Anni fa, nutrivamo la visione di un "mondo interconnesso", in cui un unico protocollo di comunicazione dati, erede del TCP/IP dell'internet di oggi, provvedeva a tutte le esigenze di comunicazione, creando cosí uno "spazio piatto" in cui tutto fosse connesso con tutto.

A tutt'oggi la promessa non si è (ancora) mantenuta. Il protocollo che doveva realizzare il miracolo in effetti esiste (il famoso IPv6, l'internet "versione 6"), ma non è diventato il protocollo di elezione per altri tipi di comunicazione (in particolare video) e non è nemmeno cosí diffuso in internet come avevamo pensato o sperato. La transizione verso IPv6 è ancora lenta, e alla scarsità di indirizzi di rete nell'internet tradizionale ("versione 4") si è provveduto con qualche trucchetto ad hoc (come i famosi Network Address Translator).

Se per quanto riguarda il video MPEG2 e DVB sono le sigle di riferimento, IPv6 si è in effetti diffusa là dove era in effetti probabile che la sua diffusione fosse stata maggiore: in Estremo Oriente. Basti pensare che alla Cina (il paese più popoloso del mondo) sono stati assegnati dall'IANA (ente che fra le altre cose pianifica gli indirizzi in internet) tanti indirizzi di rete IPv4 quanti ne sono stati assegnati, negli Stati Uniti, all'MIT, cioè ad una singola istituzione, ancorché grande e brillante. E' quindi in Estremo Oriente che finalmente IPv6 è una realtà, mentre nonostante tutti i vantaggi (in termini di sicurezza e facilità di gestione) che ha sulla versione precedente del protocollo.

In realtà, però, il protocollo IP sta entrando veramente nella vita quotidiana di molti di noi. è il vettore dei messaggi multimediali MMS che ci scambiamo via telefono cellulare, e addirittura oramai è difficile comprare un telefono cellulare, anche economico, che non si connetta ad internet perlomeno via GPRS. E' difficile pensare al digital lifestyle, fatto di fotocamere digitali, telefoni multimediali cellulari, lettori MP3, televisione digitale, senza una "colla" comunicativa senza la quale tutto ciò è una accozzaglia di gadget senza alcun valore aggiunto. Una colla che non può essere una singola tecnologia di trasmissione (che può essere USB, o Firewire, o Bluetooth, o altro) perché le singole tecnologie non possono risolvere tutti i problemi; una colla che non può che essere uno "strato" logico (nel senso che la parola ha nella teoria delle reti dati) che sta "sopra" lo strato fisico delle singole tecnologie di trasmissione. Internet, appunto.

3 - La rivincita delle BBS

L'era delle BBS è finita, si diceva; un'era di ragazzini brufolosi, di ego smisurati che si confrontavano in una angusta platea virtuale in ridicole sfide note in gergo come "risse telematiche". È finita l'epoca della comunicazione tra pari e dal basso, che inevitabilmente porta al caos, a "radio parolaccia" come una famosa esperienza, molti anni fa, di Radio Radicale. Ora siamo cresciuti, siamo persone serie, quindi facciamo "B2B", "B2C", comunque business, comunque qualcosa in cui c'è chi produce contenuti (pochi; meglio se i soliti) e chi li legge, ed i due ruoli sono ben distinti. Insomma "il solito", solo condito in una salsa tecnologicamente diversa.

Fortunatamente le cose non sono andate cosí. No, non si parla piú di BBS, e se nominate l'acronimo ad un ragazzo tecnologicamente evoluto di oggi manco sa di cosa si parla. Oggi la parola chiave è blog. E' cambiata la parola, è cambiata la tecnologia, è cambiata un po' la modalità della comunicazione, ma non lo spirito, ed in molti casi, nemmeno le persone. Ma il successo clamoroso del blog, con il concomitante svilupparsi di modelli di comunicazione specifici (comment, trackback, etc.) è il segnale chiaro e forte che il bisogno forte ed insopprimibile di comunicazione dal basso e tra pari trova sempre nelle nuove tecnologie di comunicazione una sua naturale valvola di sfogo.
 

* Università di Roma 2

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