Prevedere il futuro è difficile per tutti. Ne sanno
qualcosa tanti autori di fantascienza. Il 2001 è arrivato e passato, ma ancora
nessuna astronave è giunta verso Saturno ed oltre, e i computer sono piccoli,
stupidi e non si fanno prendere le crisi isteriche come quello del film di
Kubrick. Sfido poi a trovare un autore di fantascienza che fosse stato in grado
di prevedere lo straordinario successo del telefono cellulare: solo nel 1991 Wim
Wenders prevedeva il vicino futuro del 2000 come pieno di videotelefoni
pubblici, ed invece il telefono pubblico sta sparendo, mentre il videotelefono
arranca. Ha fatto bene Lucas a collocare lo scenario temporale della sua saga
fantascientifica, che tra le righe ci racconta la politica americana di oggi,
nel lontano passato di un ancor piú lontano futuro: il doppio salto temporale
ne rende impossibile una qualunque collocazione concreta e facilita la lettura
attualizzante della sua storia.
Voglio quindi approfittare dell'occasione offertami da InterLex non per fare
un bilancio degli ultimi dieci anni, ma per capire quanto le aspettative di
questi dieci anni si siano realizzate o meno.
1 - Mediasaurus Rex?
Nel 1994 lo scrittore americano Michael Crichton scrisse un famoso articolo
su Wired, intitolato "Mediasaurus", in cui sosteneva senza mezzi
termini che nel giro di dieci anni i mezzi di comunicazione di massa cosí come
li conosciamo sarebbero scomparsi:
«To my mind, it is likely that what we now understand as the mass media will
be gone within ten years. Vanished, without a trace.»
A compiere la catastrofe l'asteroide internet.
A dieci anni e passa da allora, è facile prendersi gioco di Crichton e
dichiarare che senza ombra di dubbio si è sbagliato. I grandi media sono ancora
lì.
In realtà basta un istante di riflessione per accorgersi che la situazione è
molto più complicata, per cui possiamo dire che forse la scala dei tempi di
Crichton era sbagliata, e che più che di una estinzione rapida ci sia una
erosione ed un lento degrado. Lo scenario dell'universo dei media è stato
cambiato per sempre da internet.
Un fatto che parla da solo: qualche mese fa circolò il dato che quasi un
terzo (dicesi un terzo) del traffico totale di internet fosse dovuto ad
un protocollo, noto come bit torrent, che permette di condividere on line
file di grandi dimensioni (film, intere collezioni di album musicali, puntate di
serie televisive) senza pesare in modo intollerabile sul server.
Un problema infatti angustiava tutto coloro che auspicavano, in una forma o
nell'altra, per una ragione o per un'altra, la "televisionizzazione"
di internet ed il suo utilizzo per farci il fatidico "broadcast": e
cioè che se per una stazione radio o tv essere ascoltata da mille o da
centomila persone simultaneamente è esattamente la stessa cosa, per un sito
internet è molto diverso. Se devo far "fluire" il film lungo una
connessione internet con qualità sufficiente, è necessaria una certa larghezza
di banda per utente, e quindi per quanto largo sia il "tubo"
attraverso il quale faccio passare i dati in uscita dal server, resto vittima
del mio successo: se ho pochi spettatori il gioco funziona, se ho successo il
tutto si pianta perché la banda diventa insufficiente (e sì, certo, la
tecnologia inventata per risolvere il problema, il cosiddetto multicast, non ha
mai preso piede al di fuori di settori molto limitati). Il paradosso è inerente
all'architettura client-server implicita in tutte le applicazioni in rete così
come le abbiamo viste fino ad oggi.
Con bit torrent il problema scompare, perché ognuno è server di ciascun
frammento di file (di film, di brano musicale, etc.) che fino a quel momento ha.
In questo modo una colossale quantità di banda altrimenti inutilizzata (il
cosiddetto "uplink", e cioè la banda in uscita che, nel modello
asimmetrico client-server, non viene mai utilizzata dai client) viene rimessa in
gioco ed utilizzata. Il risultato netto è l'utilizzo efficiente delle risorse
disponibili e la possibilità di scambiare file di grosse dimensioni, che solo
uno stupido può pensare trattarsi solo di distribuzioni di Linux...
Ecco finalmente il video in internet: ma per i mediasauri è un guaio,
perché non è "broadcast", ma è, per coniare una parola, un "peercast",
una condivisione tra pari di contenuti multimediali senza un server centrale.
Contemporaneamente si sono realizzati il miglior sogno ed il peggior incubo dei
mediasauri: si, finalmente il video in internet è diventato una realtà, e a
proposito, il modello centralizzato di distribuzione dei contenuti multimediali
è morto.
La prima reazione dell'apparato mediatico è stata una reazione rabbiosa:
"È illegale! È un furto! Ci vogliono pene severe!". Negli USA hanno
preso le cose sul serio, e si incriminano le ragazzine di 12 anni per aver
scaricato brani musicali da internet.
Se vogliono prendere quella strada, auguri. Il problema non è etico o
legale, ma pratico: è una strada che non può essere presa. Perché, nonostante
tutto, la gente affolla i cinema, si abbona alla pay tv, e compra montagne di CD
e DVD. E soprattutto perché quello che in realtà si realizza è uno
spostamento di risorse ad un altro mercato, quello degli operatori di
telecomunicazione che forniscono servizi in banda larga (perlomeno). Il problema
dovrebbe essere quello di far fluire parte dei profitti verso i produttori di
contenuti: su questo le migliori menti legali, economiche e tecnologiche
dovrebbero esercitarsi, piuttosto che nel trovare nuove tecnologie di Digital
Right Management che servono più ad impedire agli utenti legittimi il
godere di ciò che hanno pagato piuttosto che ad impedire ai ragazzi cattivi di
condividersi on line i contenuti (perché essendo i ragazzi cattivi, appunto,
cattivi, trovano un modo per girare intorno al problema, eventualmente passando
per una conversione digitale-analogico e poi digitale di nuovo che elimina
qualunque forma di "protezione").
E quello a cui assistiamo è solo l'antipasto: oggi il problema è il peer to
peer via internet. Domani sarà il lettore MP3 portatile a collegarsi via WiFi
alla radio, allo stereo di casa, ma soprattutto ad altri dispositivi simili,
realizzando reti peer to peer ad hoc, estemporanee, che durano la durata
di un viaggio in treno, di una gita scolastica, di una festa di compleanno. Ogni
lettore MP3 diventerà una radio a breve portata che trasmetterà ai vicini il
proprio programma musicale personalizzato, e sarà registrabile sui lettori che
ricevono e che quindi si riempiranno da soli. è una evoluzione inevitabile, che
si unirà alla trasformazione dei telefoni cellulari in dispositivi multimediali
tutto fare dando a tali reti ad hoc una portata geografica.
Già esistono telefoni cellulari che sono anche lettori MP3, che hanno la
possibilità di collegarsi a reti dati wireless, che hanno hard disk di qualche
giga. Già esistono console portatili per video giochi che permettono di giocare
in multiplayer via radio scaricando il gioco sulla console del compagno.
Intorno a queste tecnologie girerà un colossale fiume di denaro, ed il problema
non è come reprimerle, ma come far sí che un rivolo finisca nelle tasche di
chi produce contenuti: anzi, detto fra noi, preferibilmente ed esplicitamente
nelle tasche degli autori.
Tra parentesi, mi piacerebbe sapere che fine ha fatto quel quadro di una
azienda internet italiana che dieci anni fa mi diceva che, entro due-tre anni da
allora, un sito web commerciale che non avesse presentato i suoi prodotti
mediante file video sarebbe inevitabilmente stato sconfitto.
2 - Un mondo interconnesso?
Anni fa, nutrivamo la visione di un "mondo interconnesso", in cui
un unico protocollo di comunicazione dati, erede del TCP/IP dell'internet di
oggi, provvedeva a tutte le esigenze di comunicazione, creando cosí uno
"spazio piatto" in cui tutto fosse connesso con tutto.
A tutt'oggi la promessa non si è (ancora) mantenuta. Il protocollo che
doveva realizzare il miracolo in effetti esiste (il famoso IPv6, l'internet
"versione 6"), ma non è diventato il protocollo di elezione per altri
tipi di comunicazione (in particolare video) e non è nemmeno cosí diffuso in
internet come avevamo pensato o sperato. La transizione verso IPv6 è ancora
lenta, e alla scarsità di indirizzi di rete nell'internet tradizionale
("versione 4") si è provveduto con qualche trucchetto ad hoc (come i
famosi Network Address Translator).
Se per quanto riguarda il video MPEG2 e DVB sono le sigle di riferimento,
IPv6 si è in effetti diffusa là dove era in effetti probabile che la sua
diffusione fosse stata maggiore: in Estremo Oriente. Basti pensare che alla Cina
(il paese più popoloso del mondo) sono stati assegnati dall'IANA (ente che fra
le altre cose pianifica gli indirizzi in internet) tanti indirizzi di rete IPv4
quanti ne sono stati assegnati, negli Stati Uniti, all'MIT, cioè ad una singola
istituzione, ancorché grande e brillante. E' quindi in Estremo Oriente che
finalmente IPv6 è una realtà, mentre nonostante tutti i vantaggi (in termini
di sicurezza e facilità di gestione) che ha sulla versione precedente del
protocollo.
In realtà, però, il protocollo IP sta entrando veramente nella vita
quotidiana di molti di noi. è il vettore dei messaggi multimediali MMS che ci
scambiamo via telefono cellulare, e addirittura oramai è difficile comprare un
telefono cellulare, anche economico, che non si connetta ad internet perlomeno
via GPRS. E' difficile pensare al digital lifestyle, fatto di
fotocamere digitali, telefoni multimediali cellulari, lettori MP3, televisione
digitale, senza una "colla" comunicativa senza la quale tutto ciò è
una accozzaglia di gadget senza alcun valore aggiunto. Una colla che non può
essere una singola tecnologia di trasmissione (che può essere USB, o Firewire,
o Bluetooth, o altro) perché le singole tecnologie non possono risolvere tutti
i problemi; una colla che non può che essere uno "strato" logico (nel
senso che la parola ha nella teoria delle reti dati) che sta "sopra"
lo strato fisico delle singole tecnologie di trasmissione. Internet, appunto.
3 - La rivincita delle BBS
L'era delle BBS è finita, si diceva; un'era di ragazzini brufolosi, di ego
smisurati che si confrontavano in una angusta platea virtuale in ridicole sfide
note in gergo come "risse telematiche". È finita l'epoca della
comunicazione tra pari e dal basso, che inevitabilmente porta al caos, a
"radio parolaccia" come una famosa esperienza, molti anni fa, di Radio
Radicale. Ora siamo cresciuti, siamo persone serie, quindi facciamo
"B2B", "B2C", comunque business, comunque qualcosa in cui
c'è chi produce contenuti (pochi; meglio se i soliti) e chi li legge, ed i due
ruoli sono ben distinti. Insomma "il solito", solo condito in una
salsa tecnologicamente diversa.
Fortunatamente le cose non sono andate cosí. No, non si parla piú di BBS, e
se nominate l'acronimo ad un ragazzo tecnologicamente evoluto di oggi manco sa
di cosa si parla. Oggi la parola chiave è blog. E' cambiata la parola,
è cambiata la tecnologia, è cambiata un po' la modalità della
comunicazione, ma non lo spirito, ed in molti casi, nemmeno le persone. Ma il
successo clamoroso del blog, con il concomitante svilupparsi di modelli di
comunicazione specifici (comment, trackback, etc.) è il segnale
chiaro e forte che il bisogno forte ed insopprimibile di comunicazione dal basso
e tra pari trova sempre nelle nuove tecnologie di comunicazione una sua naturale
valvola di sfogo.
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