La gestione dei diritti d'autore su supporto digitale
- Digital Rights Management, "DRM", nella dizione americana - ha
ottenuto il primo riconoscimento legislativo nel Digital Millennium Copyright
Act (DMCA) americano, seguito da altre legislazioni, in particolare europee.
La "gestione" riguarda i contenuti digitali, il diritto tutelato è
primariamente quello dell'autore di un'opera dell'ingegno contro l'uso
non autorizzato della sua opera. Nella sfera dell'autore ruotano numerosi
altri titolari di "diritti". Non vengono però annoverati, fra i soggetti
protetti, i consumatori: si sostiene che è troppo complicato distinguere fra
cittadini onesti e disonesti e, nei conflitti che potrebbero crearsi, eventuali
diritti del consumatore dovrebbero retrocedere dinanzi al preminente interesse,
riconosciuto come compito prioritario dalle istituzioni dello Stato, di
combattere i "pirati".
Grande deferenza veniva in altri tempi tributata al consumatore. Nell'Inghilterra
del 15° secolo, per esempio, con limitate opportunità di commercio, venditori
riluttanti dall'offendere i clienti, mercati c.d. aperti, una Chiesa
autorevole in grado di scoraggiare comportamenti sleali e scorretti, il cliente
era "Re".
Nella relazione della Commissione presieduta da Paolo Vigevano (2004) fa bella
mostra una tavola riassuntiva che parla appunto dei "Re"; al plurale. La
Commissione identifica come "Re" chi crea, produce, distribuisce, gestisce
servizi, vende macchine e programmi (non però l'ente preposto alla
riscossione); e anche chi consuma. Tuttavia, nel mondo digitale reale, il
consumatore non ha apprezzabili prerogative regali. Infatti, se da un lato i "Re"
dei contenuti hanno il diritto di impedire l'accesso, quali diritti hanno i
cittadini-consumatori di difendersi dall'esercizio eventualmente esagerato,
ingiustificato, o anche illegittimo di questo diritto?
Intimamente collegata è un'altra domanda: quali sono i doveri correlati ai
diritti, che Richard Stallman ribattezza "limitazioni" ("R" come restrictions)?
Alla nozione di "DRM" dovrebbe corrispondere quella di "DRMD", Digital
Rights Management Duties, che dovrebbe comprendere il rispetto del diritto
(i) di esprimere liberamente la propria opinione, (ii) alla riservatezza, (iii)
al segreto (con esclusione di qualsiasi altro dall'accesso non autorizzato al
proprio computer), (iv) di indisturbato godimento della proprietà.
La costituzionalmente garantita libertà di parola, rafforzata dalla
presunzione di illegittimità di chi voglia impedirne il pieno esercizio, viene
invece limitata, e anche impedita, nel mondo digitale; la riservatezza non
esiste ("non state a lamentarvi, la vostra riservatezza è pari a zero [in
Internet]", sono le parole del presidente della Microsystems Scott McNeily,
che evocano la celebre frase di George Orwell "dovete vivere nella convinzione
. . . che qualunque suono verrà ascoltato e che, tranne nell'oscurità, ogni
vostro movimento verrà controllato)".
Nel 1985, quando gli Stati Uniti dirottarono l'aereo di linea egiziano che
trasportava, fra gli altri passeggeri, alcuni terroristi ricercati dall'America,
il presidente Reagan lanciò la sfida ai terroristi "potete correre ma non
potete nascondervi". Vent'anni dopo, la frase ricomparve, usata questa volta
dall'industria dei contenuti, la quale, pur non essendo titolare di alcun
pubblico potere e pur non avendo alcun diritto di farlo, minacciò gli utenti di
Internet con la frase "potete cliccare ma non potete nascondervi". Cosa
significa? Che l'industria ha libertà di controllare tutti coloro che "cliccano",
monitorare le loro abitudini, i siti che visitano, per scoprire se, "cliccando",
copiano abusivamente? Dati e comportamenti personali, costituzionalmente
protetti, di tutti i cittadini, sistematicamente violati?
E cosa dire dell'intrusione - presuntivamente non autorizzata - nel
computer altrui (reato, in Italia) da parte di venditori di pubblicità,
raccoglitori di profili di utenti, e da parte di chi inserisce dispositivi di
indirizzamento ripetitivo a siti preferenziali?
Cosa dire della suddivisione del Pianeta in sei regioni, scontro aperto fra l'industria
dei contenuti e il diritto di proprietà? Chi prova a inserire un vecchio DVD
(comprato in USA quattro anni fa) in un lettore acquistato oggi in Europa, si
vedrà apparire la scritta (in inglese, naturalmente) sullo schermo televisivo
"numero regionale disco incompatibile - impossibile mostrare contenuto".
Sarà questo il momento in cui l'acquirente tipico consulterà il libretto di
istruzioni - che era nel pacco sigillato al tempo dell'acquisto - e vi
troverà effettivamente l'informazione - a pag. 17 per esempio, nel caso di
un noto e costoso produttore di apparecchi stereo - che i produttori si sono
suddiviso il mercato, attribuendosene le fette per eliminare la concorrenza.
La restrizione regionale potrebbe essere agevolmente superata inserendo nel
lettore un chip da 10x10x1 mm. Sarebbe legittimo farlo? In Italia sì, secondo
il tribunale di Bolzano (ordinanza del 31 dicembre 2003), dove il giudice notò
che la macchina non ha un suo proprio diritto di copyright. In altri Paesi no.
Negli Stati Uniti, per esempio, qualunque violazione di misura tecnologica può
costare la prigione (cinque anni per ogni violazione, dieci in caso di recidiva)
anche se nessun diritto di copyright è coinvolto. Ricordate Dmitri Sklyarov, il
prof. Felten, il suo studente Halderman, i telecomandi Skylink?
Cosa è successo con gli usi legittimi? La corte d'appello federale
americana di New York osservò, nella sentenza Universal City Studios c. Corley
del 2001, che né il Copyright Act né tanto meno la costituzione
garantiscono l'esercizio del diritto di fair use "copiando dall'originale".
Secondo la Corte d'appello, il precetto della legge è soddisfatto ogni volta
che sia possibile fare comunque una copia, per esempio (nelle parole della
corte), puntando la telecamera o il microfono verso il televisore.
A corto di argomenti giuridici idonei a giustificare la limitazione dei
diritti dei consumatori, si ripiega spesso sulle spiegazioni banali: "è colpa
dei computer", "il codice dei programmi è chiuso e non possiamo intervenire".
È il discorso di "Cyberpatrol" e del "Cybernot Oversight
Committee", gestori di servizi che proibiscono l'accesso, a tutti,
quando appaiono, nei messaggi, le tre "x", le lettere s-e-x, la parola "breast",
con il risultato che vengono eliminati XXX Superbowl, Sexton, Sextant,
Sexagesima, Sextett, Middlesex, Mars Exploration, Staatsexamen, Breastfeed,
Breast Cancer, Breastplate. È il discorso di MSN Moxilla Firefox (maggio 2005)
che proibisce l'accesso alle parole che contengono riferimento al nazismo ("nazi"),
con il risultato che viene eliminato il Parco Nazionale dell'Appennino
Tosco-Emiliano.
Chi è allora veramente "Re"? Dovremo rassegnarci ad abbandonare le
nozioni tradizionali e affidarci, in loro vece, alla tecnologia. La tecnologia
è "Re". Essa permette di verificare in tempo reale la titolarità del
diritto d'autore, applicare le restrizioni in modo selettivo, di evitare
blocchi generalizzati. Il giudice di primo grado della causa Universal City
Studios, sopra citata, notò, nel 2000: "È pensabile che la tecnologia futura
ci darà mezzi idonei a limitare l'accesso solo a materiale coperto da
copyright, e solo per usi che violerebbero i diritti del titolare di copyright.
Per ora, non siamo ancora a questo punto [di tecnologia avanzata]".
Se ci si fosse sforzati, forse già allora (nel 2000) si sarebbero trovate
"misure tecnologiche" idonee a rispettare, secondo l'auspicio del giudice
Kaplan, i diritti di tutti. Si sarebbe potuto, per esempio, re-introdurre l'obbligo
di registrazione delle opere che si vogliono proteggere - con archivi
centralizzati e codici, come si fa coi brevetti - non un grave onere con i
mezzi del giorno d'oggi, e proteggere solo i veri titolari di diritti d'autore,
controllando efficacemente gli usi, e anche gli abusi.
La situazione attuale del DRM è confusa e insoddisfacente. Non esiste chiara
distinzione fra vero copyright, interessi meramente commerciali, accesso
illegale alle macchine, violazione dei diritti dei consumatori. La perenne
domanda ha connotazione etica, riguarda la correttezza e la buona fede nella
conduzione degli affari. In America si dice che occorre ristabilire la pari
condizione sul campo da gioco, il "level playing field".
Ne siamo assai lontani. Venticinque anni di prigione per chi, in una
conferenza, spiega come si possano facilmente aggirare le deboli misure
tecnologiche della eAdobe, pretese di risarcimenti e minaccia di prigione per il
professore universitario che si accinge a comunicare i risultati delle sue
analisi sulla Secure Digital Music Initiative, o per il suo studente il
quale svela, in Internet che premendo il tasto maiuscola, cosa a tutti nota, si
esclude l'autorun. Sarebbe questo il level playing field?
Quale diritto, assistito da norma di repressione penale, hanno Palladium/NGSCB,
o i "padroni" delle sei regioni all'uso esclusivo di misure tecnologiche;
quale diritto il senatore americano Hatch di scrutare l'uso e, se riscontrato
illegittimo, distruggere fisicamente i computer di chi copia abusivamente; quale
"diritto" di vietare ai consumatori di eludere le misure tecnologiche
abusivamente applicate da Overlay Software, Gator, Contextual Advertizing,
Spywares?
Avranno i consumatori il diritto di partecipare alla battaglia nelle "guerre"
fra titolari di misure tecnologiche in reciproco conflitto, o sarà il loro
intervento considerato elusione, penalmente repressa, mentre gli appartenenti
all'industria belligerante godrebbero tutti della protezione di tipo DMCA?
|