È inutile nasconderselo, i brevetti software sono una
presenza alquanto ingombrante. Proprio in questi mesi in Europa si è al centro
di un'aspra battaglia
tra i fautori della liberalità massima e coloro che vi si oppongono, con lobby
scatenate, scarsa attenzione alle regole procedimentali e disdoro della
democrazia istituzionale (cosa che avviene, bisogna dirlo, per lo più in campo
"a favore"). I lettori di questa rivista ne sono stati ottimamente
informati. Ogni notizia in proposito rende più chiaro lo scenario che potremmo
avere nel caso la direttiva sui brevetti andasse fino in fondo alla scelta di
consentire sempre più i brevetti software.
Un esempio recentissimo: Nokia, che possiamo ascrivere al
campo di coloro che stanno dalla parte della brevettabilità del software, pur
con un certo distacco, ha appena rilasciato un "legally
binding commitment" (impegno legalmente vincolante) a non avvalersi dei
propri brevetti se e in quanto questi vengano violati da Linux (inteso come il kernel di
GNU/Linux). Ciò offre molti spunti di ragionamento sul rapporto tra il software
libero (di cui Linux è uno dei principali attori) e i brevetti.
Il valore dei brevetti e il significato della mossa di Nokia
Molti danno per persa la battaglia e prossima l'adozione
della posizione più liberistica. Vi è una tale ondata pessimistica anche nel
campo del software libero. Si è affacciata però una proposta che si propone di
salvare i cavoli dei brevetti e la capra del software libero, ovvero di esentare
dalla tutela dei brevetti, appunto, quest'ultimo. Personalmente non sono
granché favorevole a tale via d'uscita, sia perché ritengo che la
brevettabilità pura e semplice del software sia un male in sé, sia perché
ritengo improbo lo sforzo di dare una definizione compiuta di software libero
(od opensource, ancora peggio), sia - in ultimo - perché salvare la propria
anima a discapito di quella dei più mi sembra disdicevole e poco elegante.
In tutto questo la mossa di Nokia suona come un passo avanti
proprio nella direzione di esentare il software libero dalla tutela dei brevetti
(e non è la prima a fare tale mossa, è stata preceduta ad esempio da IBM). Qualcuno potrebbe intenderla come un tentativo di
spezzare il fronte degli anti-software-patents, ma personalmente preferisco
considerarlo un atto di moderata saggezza e sano realismo. Tradizionalmente gli
accordi di mutua desistenza rispetto alle pretese brevettuali (cross license
agreement) venivano e vengono conclusi tra titolari di importanti portafogli
brevettuali. In questo caso la desistenza è invece unilaterale (il software
libero, in realtà, non ha un patrimonio di brevetti, ma "solo"
copyright).
Nokia è un'impresa, come tale deve perseguire, ed è bene
che persegua, obiettivi egoistici, per cui se sponsorizza con un atto
unilaterale il software libero, rinunciando alla tutela dei suoi diritti, vuol
dire che ne ha un giovamento. Esso può consistere, a priori, in uno o più dei
seguenti casi:
* Il software libero è una realtà anche dal punto di vista
dei "diritti di proprietà intellettuale" (per coloro a cui piace il
termine), che vale la rinuncia alla tutela brevettuale quando vi contrasti; in
altri termini, la possibilità di usare software libero per fini commerciali è
talmente importante da dover dare qualcosa in cambio per favorire tale
movimento.
* I brevetti vengono riconosciuti particolarmente deboli, per cui fare il beau
geste di sorvolare, ora e in futuro, su loro violazioni equivale far buon
viso a cattivo gioco, e si fa più bella figura.
* Si spera di ottenere vantaggi di immagine nella comunità degli sviluppatori,
in modo da acquisire più sviluppo gratuito in parti del software estranei al
nocciolo duro su cui si intende guadagnare, concentrando gli sforzi su
quest'ultimo senza dover necessariamente pagare pedaggio in termini di licenze
commerciali.
Probabilmente si tratta di un miscuglio di queste tre
ragioni. Al di là delle considerazioni di tipo etico che è possibile trarre,
è interessante la connotazione di valore che in due su tre di tali punti il
software libero assume. Soprattutto mi sembra che si possa enucleare una
possibile evoluzione, che contrasta con l'opinione comune. Si pensa usualmente
che i brevetti possano portare alla fine del software libero, e sono sicuramente
un grande ostacolo. Ma è anche possibile che tali brevetti, invece di rendere
proprietario ciò che è pubblico, subiscano le conseguenze della forza del
software libero - nella sua accezione più rivoluzionaria di "copyleft"
- e che così nel conflitto degli opposti diritti si venga a creare una
situazione in cui ciò che è privato diventi pubblico, perché altrimenti
darwinianamente destinato all'estinzione. È successo lo stesso con Unix e con
Netscape, il modello potrebbe ripetersi.
Un tentativo di qualificare il "legally binding
commitment" con le categorie interne
Concludo con considerazioni meno politiche e più
strettamente legali sulla natura dell'atto di Nokia. Come dicono i giuristi: quid
iuris? È esso un contratto? Parrebbe di no, né si propone di esserlo. È
piuttosto una manifestazione unilaterale di un proponimento, di cui si avvale
chiunque ne sia il destinatario attuale o futuro. Si connota dunque per la
genericità e per la pubblicità. Suona una campana? A me ricorda molto la GNU GPL, e
in genere le licenze generali pubbliche, come anche le Creative Commons. È
un impegno che non richiede adempimenti o accettazioni, né è indirizzato ad
alcuno in particolare, semplicemente dispone di un diritto a determinate
condizioni e in senso generale. I destinatari di tale comunicazione (ovvero la
generalità dei consociati) si vedono attribuire direttamente una posizione
giuridica soggettiva indifferenziata, ma propria e piena, da parte del titolare,
e non semplicemente la possibilità di aderire a una convenzione, come
nell'offerta pubblica.
Questo genere di atti sono una categoria di atti dispositivi
di diritti che consistono più nella rinuncia pubblica a una parte quest'ultimi
(ad esempio: i brevetti non vengono abbandonati, come pure sarebbe possibile, si
rinuncia all'azione che danno, a determinate condizioni) che l'incontro di
volontà, il consenso. Dunque resta difficile qualificarli come contratti. O se
sono contratti, lo sono in un'accezione nuova, che non consente per la loro
natura di avvalersi di molti, di quasi tutti gli istituti contrattuali
(formazione, recesso, annullamento, cedibilità, risoluzione, rappresentanza,
consensualità).
E' un campo affascinante, nuovo, quasi sconosciuto, affine al
campo contrattuale, ma altro da esso, che sostituisce il "consenso"
con la "pubblicità" o con l'apparenza per la genesi di una situazione
vincolante. La cosa ha precedenti illustri nella simulazione, nella
rappresentanza apparente e in generale nella tutela dell'affidamento, nei
contratti con i consumatori (come il TAEG pubblicizzato per i contratti di
credito a consumo), ma ancora più risalentemente nella dicatio ad publicum
o nella dicatio ad cultum.
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